1886, i piemontesi fondarono San Francisco
In Argentina i piemontesi si contano a milioni (da 3 a 3 e mezzo)
I piemontesi, gente ricca soltanto della forza delle sue braccia ha rivoltato la Pampa e ha costruito un continente. Praterie deserte sono diventate campi coltivati. Chi voleva vendere trattori e macchine agricole imparava il dialetto piemontese, altrimenti era difficile parlare e impossibile fare affari. Significativa l’ininterrotta operatività fino al 1934 a Buenos Aires della “Compania d’arte piemonteisa” che eseguiva spettacoli teatrali in piemontese con grande presenza di pubblico specialmente nelle provincie di Santa Fé e Cordoba. Le provincie di Cordoba (gemellata con Torino) e di Santa Fé (gemellata con Cuneo) sono un’enorme regione dove gli immigrati dal Piemonte raggiungono percentuali vicine al 90% della popolazione.
Chi vende insegne per negozi ne fabbrica nove su dieci con i colori bianco, rosso e verde della bandiera italiana. Il piemontese è la lingua che usano le massaie quando vanno a fare la spesa e le radio private mandano in onda ogni giorno servizi in piemontese. San Francisco nella provincia di Cordoba, città gemellata con Pinerolo, con 70.000 abitanti fu fondata nel 1886 dai piemontesi: per primo arrivò Alessandro Sema di Pancalieri, poi i quattro fratelli Casalis di Carmagnola. Nel 1986 si inaugurò il Monumento Nazionale all’Immigrante Piemontese, con accanto una Mole Antonelliana di 17 metri di altezza, una cappella dedicata alla Madonna della Consolata, un salone per manifestazioni e sale per iniziativi culturali e di incontri. Il 9 luglio 1989 venne sottoscritto il protocollo per il gemellaggio con il Monumento “Ai Piemontesi nel Mondo” di San Pietro Val Lemina.
Uno dei principali giornali di Buenos Aires “Clarin” il 15 dicembre 1977 scriveva: “Tre milioni e mezzo di nostri cittadini sono oriundi o vengono dal Piemonte dove c’è storia, passato, leggenda. Sono qui con noi, parlano e cantano in piemontese, però sono argentini, molto argentini e stanno facendo giorno per giorno il nostro sviluppo”. Il defunto senatore Giulio Salusso di Cordoba oriundo di Cavour, dove ritornava sovente quand’era in vita, su un giornale locale, descrivendo gli emigrati piemontesi, affermava: “Sono gli eredi e custodi dell’impegno ad ogni livello di audaci e umili colonizzatori, guerrieri senza armi, sognatori con braccia e cuore d’acciaio, emigrati della povertà, del feudalismo e delle guerre europee, che vennero qui — asciugando le lacrime dello sradicamento — per imporsi sopra un solco nuovo in un paese da costruire. Vennero a ‘ farsi l’America’, direbbero gli indifferenti, vennero a ‘fare l’America’ spiegherebbero meglio gli osservatori più attenti. E per questo ci rimasero: questa fu ed è la loro nuova Patria. E qui ci sono i morti delle generazioni precedenti, ci sono uomini, i figli ed i nipoti. Il passato ed il presente, l’epopea ed il futuro. Nei vecchi cimiteri dell’Argentina giacciono innumerevoli gli emigrati piemontesi vittime della solitudine e della nostalgia che seppero vivere in pace con i nativi creoli e con gli aborigeni, senza dovere pesare sulla loro coscienza la morte di nessun indio. E furono anche servi della gleba, muratori, manovali, schiavi delle rotaie Così l’enorme distesa di terra Argentina senza confini e senza prospettive ha conosciuto poco a poco la fibra di questi uomini e donne che perfino imposero ‘la parlata piemontese’ ai nativi”. Come non giustificare questa espressione di “pampa gringa?”.
Infine un doveroso richiamo al trattato storico di grande significato che aveva impresso una svolta determinante alle relazioni ufficiali fra Argentina e Italia sottoscritto nel 1837 dal Regno Sardo-Piemontese con Carlo Alberto, prima potenza nel mondo a riconoscere la Repubblica Argentina nata dalla fusione della Repubblica di Buenos Aires e di quella di Rio della Plata.
Fonte: Michele Colombino, Gauchos con il cuore ai piedi delle Alpi