Sua Maestà il bue grasso

Alla scoperta della tradizione del bue grasso

A questo splendido animale sono legate le storie delle nostre campagne e delle fiere del bestiame

Crpiemonte
5 min readNov 6, 2020

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di Mario Bocchio

Il bue grasso è un bovino adulto di razza piemontese che ha almeno 4 anni di età e che è stato castrato dopo 5 mesi circa dalla nascita. Finché ha meno di 4 anni di vita viene chiamato semplicemente manzo. La castrazione serve per favorire l’aumento di peso, che può superare abbondantemente la tonnellata, e la qualità della carne.

Il bue grasso di Carrù, nel Cuneese

Per poter partecipare alla Fiera Nazionale del Bue Grasso che sei tiene fin dal 1910 a Carrù (Cuneo) nel mese di dicembre, essa deve essere fatta in modo tale da mantenere integro lo scroto dell’animale. Si dice grasso perché viene ingrassato da fine estate fino ai primi di Dicembre per essere poi riservato alle feste natalizie. L’alimentazione è a base di fieno fresco, mais, fave e crusca per conferire alle carni la tipica marezzatura che le distingue in sapore e tenerezza.

Storica fotografia della Fiera di Carrù, con l’animale premiato con la gualdrappa

È il caso di ricordare, o precisare, subito una cosa: la carne del bue g…non è davvero grassa, anzi. Lo è, certamente, rispetto alla media delle carni piemontesi: è soprattutto visibile intorno ai tagli, con uno spessore inequivocabile. Ma da quando, a fine del 1800, una mutazione genetica spontanea si è diffusa proprio in Piemonte, la razza locale si è caratterizzata proprio per la sua ridottissima percentuale di grasso (0,5 -1% contro il 3% in media delle altre razze bovine).

Il bue va al mercato

La mutazione, senza diventare troppo tecnici, ha riguardato i livelli della miostatina, la proteina inibitrice dello sviluppo muscolare, generando un aumento ragguardevole delle masse muscolari, accompagnato dalla diminuzione del grasso intramuscolare. È una carne meravigliosa, che però merita di essere maggiormente conosciuta nelle sue caratteristiche, soprattutto per poterla cucinare e quindi apprezzare al meglio.

Dall’album dei ricordi di Moncalvo

Quella della cottura, infatti, è una delle questioni cruciali per la valorizzazione di qualsiasi carne, ma per questa in particolare, che come dicevamo eccelle per la sua magrezza, è ancora più importante. Omaggio, tra storia e riti al re delle stalle: La Stampa, edizione di Asti, lo scorso 20 ottobre ha pubblicato un articolo di Elisa Schiffo dedicato al bue grasso. Fausto Solito, veterinario di Calamandrana in forza all’Asl di Asti, ha ricostruito un piccolo mondo fatto di ritualità e di usanze che dal 1800 accompagna le fiere del bue grasso, da Moncalvo a Nizza, da Carrù ad Asti fino a Montechiaro d’Acqui e Ceva. Una ricerca diventata libro (Il bue nella storia dell’uomo e nelle tradizioni del Piemonte, L’Artistica editrice) su cui hanno messo il sigillo i Dipartimenti di Scienze veterinarie, agrarie, forestali e alimentari dell’Università di Torino. Un lavoro a sei mani con due luminari del Polo torinese, Franco Guarda, già docente di Anatomia patologica veterinaria e Davide Biagini, professore aggregato al dipartimento di Scienze agrarie.

Gli animali in mostra sotto i portici di Moncalvo

Per capire l’importanza del bue basta pensare che nella Bibbia compare per 284 volte, che è raccontato nelle favole di Esopo (La pulce e il bue) e Fedro (la rana e il bue), dalle leggende, dai miti e dai poeti, ci viene in mente Tonino Guerra che tra l’altro scrive in dialetto romagnolo: “Ditelo ai miei buoi che è finita, che il loro lavoro non ci serve più e che oggi si fa prima con il trattore… E poi ci commuoviamo pure a pensare alla fatica che hanno fatto per millenni mentre eccoli lì che se ne vanno a testa bassa dietro la corda lunga del macello”. Particolare anche il racconto che Tolstoj dedica all’ animale castrato: “Esiste una vecchiaia maestosa, esiste una vecchiaia disgustosa, ne esiste una misera. Ne esiste una disgustosa e maestosa insieme”. Cosa ha rappresentato il bue nelle tradizioni contadine? La dice lunga la citazione “Una cascina, una donna, un bue e un aratro”, la dimostrazione che il bue era quasi un membro del nucleo familiare perché assicurava la forza lavoro. Con quella di Carrù, quella di Moncalvo è una fiera nazionale. Se ne parla dal XV secolo, nell’archivio storico del Comune si conserva un documento che ne attesta la storicità - “Ubi dicitur mercatum bovum” - con la prima indicazione della presenza di un mercato bovino.

La Fiera del bue grasso a Moncalvo, nel Monferrato astigiano

La sua caratteristica è che è dedicata solo ai buoi da macello. Per la posizione strategica come ricordano le fonti: “Ci venivano a comprare il bestiame dal Piemonte, dal Genovesato e dal Milanese”. Una conferma arriva anche dal giornale Il Monferrato del 15 dicembre del 1928 in cui emerge che, il giovedì della fiera organizzata per iniziativa dell’onorevole Vincenzo Buronzo, con oltre 700 capi “a commercio terminato ben 24 vagoni di bestiame vennero spediti ai mercati bovini di Milano e di Piacenza”.

La pregiata razza bovina piemontese

Anche Nizza Monferrato ha una radicata tradizione con il bue grasso, è sempre stata importante per il mercato: le fotografie d’epoca mostrano piazza Garibaldi, negli anni Trenta, stracolma, si contavano anche 400 capi. Dai paesi vicini arrivavano presto, già dalle 3 del mattino, quelli che arrivavano dai posti più distanti si appoggiavano allo stallaggio Aluffi, di fronte alla stazione. I buoi che giungevano dalla valle Bormida erano accompagnati dai cosiddetti “parau”, garzoni senza fissa dimora che si offrivano in cambio di un piatto di minestra e di un bicchiere di vino.

Fine prima parte

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