Il fumetto che celebra l’ultimo per antonomasia

Allora arrivare ultimi era come vincere

Ricordando il tortonese Luigi Malabrocca, si ritorna a parlare di quando al Giro d’Italia c’era la Maglia Nera

Crpiemonte
6 min readJun 22, 2020

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di Mario Bocchio

Vi sono personaggi, che attraverso lo sport diventano leggende, da qualsiasi verso li si veda. Primi e ultimi. Uno di questi si chiamava Luigi Malabrocca, classe 1920, nato a Tortona, ma fin da giovane si trasferì a Garlasco, ed era un ciclista professionista. Perché divenne famoso?

Luigi Malabrocca in allenamento con Fausto Coppi

Era la Maglia Nera del Giro d’Italia, che arrancava con la bici in spalla, si fermava nei fienili, correva al rallentatore, però senza sforare il tempo massimo. Il dopoguerra dei sopravissuti correva dietro a Coppi e Bartali, ma strizzava l’occhio a Malabrocca. Tanto che nel ’46 il Giro si regala la Maglia Nera per l’ultimo in classifica a sdoganare la follia istrionesca del corridore-campione. Maglia che fu assegnata fino al 1951.

Malabrocca in corsa

Luigi Malabrocca e Sante Carollo erano famosi quanto quelli Gino Bartali e Fausto Coppi. È capovolgimento carnevalesco, giravolta assurda: premiare l’ultimo come riconoscimento alla perseveranza, alla condanna di pedalare più a lungo di tutti. Divenne esaltazione e ambizione. La Maglia Nera divenne desiderio per molti. Le sue origini erano calcistiche: si ispirava alla maglia di Giuseppe Ticozzelli, mediano del Casale, maglia nera con stella bianca sul petto, iscrittosi per passione al Giro del 1926: uno che non aveva ambizioni di vittoria, che si fermava a pasteggiare in trattoria e che dopo essere stato investito da una moto alla terza tappa, in osteria schiacciò pure un pisolino.

Nani Pinarello con la Maglia Nera

Divenne un mito popolare. Divenne ispirazione per un premio ambitissimo. Vestire questa maglia infatti significava applausi, soprattutto premi: in palio c’erano salami, prosciutti, formaggi, generi alimentari, soldi. E nell’Italia del secondo dopoguerra tutto ciò rappresentava un’attrazione. Luigi Malabrocca era corridore di talento, uno che nei dilettanti vinceva spesso e volentieri, 113 corse in pochi anni. Passato professionista, visti Coppi e Bartali, e Magni e compagnia, capì di non poter mai competere per la vittoria finale del Giro. Capì che meglio ultimi che nel gruppo. Divenne uno specialista dell’arrivare in fondo. A ogni tappa, specialmente in quelle in salita, trovava stratagemmi perdenti: partiva in fuga e poi si nascondeva, in cascine, fienili, una volta addirittura in un pozzo vuoto.

Malabrocca campione di ciclocross

Quando il contadino proprietario del terreno lo scoprì e gli chiese cosa stesse facendo laggiù rispose: “Sto correndo il Giro d’Italia”. Lo cacciò forcone in mano. Si arrampicò su Rolle, Pordoi, Campolongo e Gardena, tutto il meglio delle Dolomiti, e arrivò ultimo: Maglia Nera. Era il 1946. La rivinse nel 1947. Nel 1948 non partecipò al Giro a causa di un problema fisico. L’anno dopo trovò Sante Carollo. E fu beffa. Carollo faceva il muratore di professione, in bici ci andava per diletto, forte, ma pur sempre per diletto. Venne chiamato dalla Wilier e la sua preparazione approssimativa lo fece arrivare ultimo praticamente sempre. Un’offesa per uno come Malabrocca. Carollo aveva oltre due ore di ritardo da Luisin. Nell’ultima tappa, la Torino-Monza, il colpo di genio: finge una foratura, entra in un’osteria, si finge interessato agli utensili da cucina e da lavoro, va a pescare con il padrone, si rimette in bici e si dirige verso l’arrivo. Recupera le due ore. Peccato che i cronometristi stanchi di aspettare gli avessero attribuito il tempo del gruppo. [1]

Sante Carollo indossa la Maglia Nera nella camera d’albergo

Arrivare ultimi, in quei tempi dove ogni occasione poteva essere utile per vivere una rivincita sui disastri di un conflitto immane, rappresentava qualcosa di diverso: era un esercizio di abilità. Non c’erano le rassicuranti pedalate nella rete del gruppone, una foratura significava minuti, non c’erano rifornimenti dall’ammiraglia o dalle moto al seguito; i gregari, o gli umili che ancor non sapevano di quali valori fossero intrisi, imbastivano ad ogni prova una lotta di sopravvivenza e di qualità. Quella maglia, dal colore più tetro che ci sia, andava premiata. De Coubertin non era lontano e nell’intorno dello sport, c’era la voglia di vivere col cuore intinto di sentimenti. Spesso, ci si aggrappava alla solidarietà della gente, a quei tanti che si ponevano ai margini delle strade per un attimo di festa e di gioia.

Si narrava la storia senza possedere il sinistro modus del narcisismo e della fama, del danaro per soggiogare, dei soldi per comprare il lusso. C’era la fame e niente è più onesto della miseria per sviluppare tanto l’arguzia, quanto, incredibilmente, anche se oggi l’abbiamo dimenticato, una pura bontà d’animo. Arrivare ultimi, garantiva premi e simpatia nei gruppi sportivi d’allora, tutti diretti e gestiti da chi produceva biciclette. Significava essere qualcuno, ma non era facile, anzi, difficile quasi quanto vincere come Coppi o Bartali. Lo spettro del tempo massimo, diventava enorme negli imprevisti sempre presenti sulle quelle strade sassose, sterrate, piene di buche, dove l’asfalto di oggi era un sogno. Per giungere ultimi servivano gambe, perché per restare in tempo massimo, ti poteva capitare di dover percorrere gli ultimi chilometri nel medesimo tempo dei primi. C’erano avversari e solo alcuni non bluffavano. Luisin Malabrocca è stato un genio, e come detto aveva pure un discreto talento. Non avrebbe vinto altrimenti una Coppa Agostoni, la Parigi-Nantes, la Parigi-St Valery e il Giro di Croazia e Slovenia. Lo sapevano i suoi compagni ed i suoi avversari e gli volevano bene. E poi, a Malabrocca spetta la palma di pioniere del ciclocross nazionale: una specialità che gli ha dato tricolori e lo ha visto apristrada di assi quali Amerigo Severini e il grandissimo Renato Longo. Intenerì l’Ignis, di un uomo come il Commendator Borghi, una figura che ha giocato un ruolo notevole nell’evoluzione del ciclismo e dello sport italiano degli anni della rinascita economica. Malabrocca, ha così raggiunto il suo avversario scolpito, senza la sua fama e senza possedere volontà e velleità ciclistiche: il muratore vicentino Sante Carollo.

La vita da gregario

Fra i due vi fu un unico duello, nell’unica annata da professionista del veneto, il 1949. Carollo era un modesto, troppo modesto per non vincere…la Maglia Nera. Ma fu bravo, perché riuscì ugualmente ad assorbire le furbizie del tortonese, senza finire fuori tempo massimo. Per Luisin fu una disdetta, in quanto il Sante di Montecchio Vicentino, non doveva correre quel Giro, ma all’ultimo momento, il vincitore uscente Fiorenzo Magni fu costretto a dare forfait e la Willier Triestina, lo chiamò a sostituire proprio il “terzo uomo”. Una storia simile, la visse pure “Nane” Pinarello, la terza nota Maglia Nera, due anni dopo. Dei quattro protagonisti del celebre libro di Benito Manzi, dunque, non è rimasto qua più nessuno, ma resta intatto l’alone della loro epopea. Le leggende corrono in cielo e lasciano a noi il compito di accarezzarle come penati [2].

Malabrocca finì per diventare un autentico personaggio

Proprio il 22 giugno 2020 è stato il centenario della nascita di Luisin. I suoi occhi a mandorla e quel sorriso così capace di uscire dal fango, sono stelle che hanno saputo illuminare anche il nero. Chapeau!

Bibliografia: [1] Chi arriva ultimo? Quando la sfida per la maglia nera era più seguita di quella per la maglia rosa, giridiruota.it; [2] Luigi Malabrocca. Quando si dice che gli albi d’oro vanno presi con le molle!, Maurizio Ricci, Cycling Museum

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