Una combriccola di spalloni in un vecchia immagine

Andar di frodo oltre confine con la bricolla in spalla

Lo “sfrusadur” era colui che praticava il mestiere dell’andar di frodo (“da sfroos”, in dialetto), grazie al contrabbando

Crpiemonte
6 min readOct 25, 2018

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di Marco Travaglini

Uno dei vecchi “spalloni”, in una intervista, sosteneva come la parola già dicesse tutto:“Cosa significa, “contrabbando” se non contravvenire al “bando”, cioè alla legge che esige un tributo minacciando una pena? Noi contrabbandieri realizzavamo un guadagno violando la legge. A condizione, ovviamente, che il ricavo fosse tale al punto che il costo del passaggio del confine della merce fosse inferiore al prezzo che si pagava praticando le vie legali. Alla faccia del dazio e delle gabelle”.

Contrabbandieri

Il confine rappresentava il teatro naturale delle gesta dei contrabbandieri. Era un mondo che aveva le sue “regole”. A volte capitava che contrabbandieri e guardie di confine si trovassero nella stessa osteria prima di “andare al lavoro”, e le guardie non avevano le fette di salame sugli occhi ma, consapevoli che i loro paesani erano costretti per fame a fare un viaggio pericoloso sui sentieri di montagna o sulle barche, chiudevano spesso un occhio e a volte anche tutti e due. In alcuni casi lasciavano che gli spalloni attraversassero il confine, limitandosi a sequestrare una parte della merce,segnalando sul rapporto che era stata confiscata ad ignoti. Nei racconti di chi ha fatto quella vita emergono storie al limite dell’incredibile, a riprova di come il bisogno aguzzasse l’ingegno.

Contrabbandieri in una foto della TV Svizzera

Sul lago di Lugano avevano persino sperimentato un piccolo e rudimentale sommergibile a pedali che viaggiava sott’acqua:il “sigaro del Ceresio”. Era il 1948 e veniva usato per trasportare merce di contrabbando attraverso il lago. Tre mesi di “servizio”, tre viaggi al giorno per quasi tre quintali di merce a viaggio. Poi, nel novembre di quell’anno, a Porlezza, sulla sponda comasca, il “sigaro” ,che faceva la spola di qua e di là dal confine , “esportando” in Svizzera riso,carne e alcolici, “importando” altri beni, era stato catturato e sequestrato.

Fabbrica dei Tabacchi di Brissago in una foto degli anni 40

Sulle montagne all’estremo nord del Piemonte, tra la Valle Anzasca e il passo del Gries, fino a ridiscendere sulle rive dell’alto lago Maggiore, attraversando le valli Vigezzo e Cannobina, erano ben 36 i colli e canaloni di confine frequentati più o meno assiduamente dai contrabbandieri. E non erano certo incustoditi. Lo stesso valeva per le sponde dei laghi “confinari”, come il Verbano con la Svizzera. In un interessante rapporto redatto da un ufficiale al comando del IV° Circondario Svizzero, risulta che nel 1935 ,tra il lago Maggiore e il passo di Nufenen (il passo della Novena) sul versante italiano del confine, erano schierate ben 579 tra guardie di finanza e militi confinari e su quello svizzero 159 guardie doganali.

Finanzieri e spalloni in una copertina della Domenica del Corriere del gennaio 1934

Nel contrabbando, oltre a quello del sale che risale alla notte dei tempi, si possono distinguere tre periodi che prendono il nome dalle merci che andavano per la maggiore: dalla seconda metà dell’ottocento fino al primo dopoguerra ci fu il periodo del caffè , poi venne quello del riso che copriva gli anni della seconda guerra mondiale e infine un terzo , quello delle sigarette e del tabacco, che durò dagli anni ’50 fino a poco dopo gli anni ’60.

Il Sigaro del Ceresio

A dire il vero ci fu anche il periodo della Resistenza e dell’opposizione al fascismo quando, insieme alle bricolle da trenta e più chili portate in spalla, molti degli “sfrusit” diventarono anche dei “passatori”, aiutando ebrei, antifascisti e militari alleati a superare quella frontiera elvetica che equivaleva alla salvezza. Le “fasi” del contrabbando, com’è facilmente intuibile,prendevano il nome dal tipo di merce che “passava” la frontiera:

La bricolla del contrabbandiere

caffè, riso, sigarette ma anche saccarina, dadi,cioccolata, zucchero,orologi, tabacco sfuso, cartine per sigarette, accendini , scarpe, liquori, stoffe, calze di nylon e tutto quello che veniva richiesto sul mercato di entrambe le nazioni. Con tutti i rischi del caso. Si correvano i pericoli sui sentieri percorsi di notte, quando le nubi si mangiavano le stelle: bastava mettere un piede in fallo e si finiva giù, negli strapiombi. Dal tardo autunno a inizio primavera, in quei lunghi inverni, capitavano delle bufere di neve con tremende slavine che hanno seppellito molta gente.

Museo dello spallone a Masera (Vb)

Sul lago, invece, si remava nelle notti senza luna, meglio ancora se c’era un tempo da lupi, a volte dentro a tempeste che strappavano preghiere e maledizioni. C’erano anche le sparatorie e si contavano in quel caso feriti ed anche caduti sotto il piombo della guardia confinaria. Ma il rischio più frequente era il sequestro delle merci con annessi sei giorni di galera e una salatissima multa che poteva variare dal doppio fino a dieci volte il valore della merce sequestrata, nonché — durante i periodi bellici — l’arruolamento forzato. Chi non aveva i soldi per pagare la multa scontava un ulteriore giorno di carcere ogni 10 lire di ammenda.

Spalloni in una foto del 1946

Se erano in due potevano rischiare sei mesi di prigionia per espatrio clandestino, che salivano a cinque anni nei casi di recidiva e quando venivano “pizzicate” più di tre persone insieme. Ma la vita su quel pugno di terra e acqua tra Italia e Svizzera era anche fatta di questi pericoli e i contrabbandieri non badavano alle pietre che segnavano il confine. C’era anche un linguaggio degli sfrosadori i quali, condividendo un’attività che richiedeva complicità e segretezza, parlavano in “codice”. Quando “commerciavano” in “ossa di morto” si riferivano allo zucchero. Il “coniglio bianco” era la saccarina e le “bionde” le sigarette, mentre per “foglie di Brissago” s’intendeva il tabacco. Dalla manifattura tabacchi del paesino ticinese, appena oltre confine, dove lavoravano centinaia di donne, uscivano dei sigari straordinari e un tabacco dall’aroma inconfondibile che — nei giorni di vento — passava allegramente il confine senza per questo pagar dazio.

Museo dello Spallone

Con le “bricolle” in spalla e le pedule ai piedi, organizzati in “combriccole” guidate da un capo al servizio di un “impresario”, i contrabbandieri cercavano di ingannare le pattuglie dei “canarini” della Finanza (dal colore giallo del simbolo dell’arma). A pochi chilometri da Domodossola, nel comune di Masera (VB) è stato allestito il Museo dello Spallone che ricorda, con esposizioni ed eventi, la storia dei contrabbandieri in val d’Ossola e le fatiche della vita di montagna. Non una scelta casuale perché l’abitato di Masera, situato a fondovalle, era una delle realtà più importanti dei contrabbandieri: strategica per lo smistamento delle merci, ben collegata con strade e ferrovie, meno controllata dalle milizie confinarie. Nel museo, ospitato in un edificio comunale che nel tempo è stato carcere, latteria sociale e, infine, scuola elementare, si possono vedere documenti e bricolle, vecchi arnesi ed ex voto che raccontano la dura vita degli “sfrusit” .

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