Aprile 1945, il mese prima del 25
La primavera della libertà in Piemonte
di Mario Bocchio
La guerra sta per finire, ma ancora non lo sa nessuno. Il freddo dell’inverno si è appena ritirato dalle montagne, le valli si scrollano di dosso la neve e gli alberi cominciano a fiorire, come se anche la natura aspettasse, trattenendo il respiro, qualcosa di grande.
Da Torino alle Langhe, dal Monferrato alle Alpi cuneesi, si sente che qualcosa sta cambiando. Non è solo il vento che spira diverso. Sono le staffette che corrono più in fretta, gli uomini con i fazzoletti rossi, azzurri e verdi che salgono sulle colline armati di vecchi fucili, e le radio clandestine che gracchiano ordini nervosi da Milano e da Roma: “È tempo. Preparatevi. La fine è vicina”.
I rastrellamenti tedeschi continuano, e i fascisti della Repubblica Sociale si muovono con crescente ferocia. Sanno che il tempo stringe. I partigiani, invece, stringono i denti. Hanno fame, hanno freddo, ma hanno anche una convinzione che non vacilla: la libertà è a un passo.
Nei piccoli paesi, i contadini offrono un piatto caldo e un nascondiglio nei fienili. I parroci passano messaggi sotto il naso dei fascisti. Le donne — madri, sorelle, ragazze — diventano le ombre silenziose che portano ordini, armi, e lettere d’amore sulle spalle. Alcune finiranno fucilate. Altre diventeranno eroine senza nome.
Nel Cuneese, le brigate Garibaldi e Giustizia e Libertà presidiano le valli, organizzano agguati, sabotano ferrovie. A Torino, le fabbriche sono diventate focolai di ribellione: gli operai hanno imparato a sabotare i macchinari, a fermare la produzione per aiutare i compagni sulle montagne.
Il conto alla rovescia.I giorni scorrono con lentezza e furia. Il 15 aprile, arrivano notizie: gli Alleati sono sul Po, Milano è in fermento. Il comando partigiano piemontese si riunisce in fretta. Le notti sono rischiarate dalle luci degli incendi e dei bombardamenti, ma in mezzo al fumo e alla paura, si prepara la resa dei conti.
Il 18 aprile, il CLN lancia l’ordine: “Insurrezione generale”. Non è solo una parola: è un grido che attraversa il Piemonte come un tuono. Le brigate scendono a valle. Si attaccano caserme, si assaltano municipi, si innalzano barricate nelle strade. In città, i civili aprono le finestre e, per la prima volta in anni, urlano a voce alta il nome dell’Italia libera.
Il 25 aprile 1945, mentre le campane suonano a stormo da Torino a Domodossola, i tedeschi iniziano a ritirarsi e i fascisti fuggono o si arrendono.
In raalcuni casi, vengono catturati. Il sangue non smette di scorrere subito: ci saranno vendette, processi sommari, fucilazioni. La guerra non finisce mai in silenzio.
Ma nel cuore del Piemonte, la Resistenza ha vinto. A Torino, è il comandante partigiano Giulio Bolaffi, insieme ad altri membri del CLN, a entrare nei palazzi del potere. Le bandiere tornano a sventolare, ma stavolta non sono quelle nere o rosse con l’aquila: sono tricolori cuciti a mano da madri e sorelle, tenuti nascosti per anni in fondo ai cassetti.
Quel mese rimane scolpito nella memoria della regione come una rinascita. Ogni paese, ogni strada, ogni cascina del Piemonte ha la sua storia di aprile. Una storia di coraggio, di paura, di sangue, ma anche di speranza.
I nomi dei partigiani e delle partigiane, delle vittime e dei salvati, oggi sono scritti sulle lapidi, nei giardini delle scuole, nei monumenti delle piazze.
Ma più di tutto, restano nelle voci di chi, anche oggi, a ogni 25 aprile, racconta:”Io c’ero. Era aprile. E finalmente, abbiamo respirato libertà”.