Arrivano i piemontesi: in 124
55 anni fa veniva firmato lo storico accordo tra Fiat e governo dell’Urss sulla produzione in quel paese della copia sovietica della Fiat 124. Un colpo di scena costruito negli anni da Vittorio Valletta e dai suoi uomini
di Pino Riconosciuto
Sono passati 55 anni da quel giorno, esattamente il 15 agosto 1966, in cui Aleksandr Tarasov, ministro dell’industria automobilistica dell’URSS e Vittorio Valletta, presidente della casa automobilistica FIAT, firmarono la storica intesa che prevedeva la costruzione da parte dell’industria torinese di uno stabilimento in quel paese per la realizzazione di una 124 adattata alle condizioni viarie e ambientali dell’Urss. Lo stabilimento sorse a Togliatti (erroneamente nota in occidente con il nome di Togliattigrad), una cittadina sulle rive del Volga, che da piccolo centro industriale si trasformò nel giro di pochi anni nella “città dell’auto” sovietica, sul modello della Torino di allora e di Detroit.
Fu un’intesa di grande significato, non solo economico, ma anche e soprattutto geopolitico. Erano gli anni della guerra fredda, il primo mattone che avrebbe segnato la nascita del muro di Berlino era stato posto solo cinque anni prima. Eppure in quel clima la rete tessuta da Valletta, d’intesa con il governo italiano e con l’assenso più o meno tacito degli alleati, a partire dagli Stati Uniti, riuscì a cogliere un prestigioso successo che proiettò ancora di più all’attenzione mondiale il gruppo torinese, aprendo una strada di collaborazione industriale ed economica tra est e ovest che avrebbe visto altre tappe importanti percorse da altri paesi.
I rapporti tra Fiat e Urss risalgono addirittura agli anni ’20, quando la casa torinese si rivolse a un esule antifascista in Francia, Oddino Margari, un giornalista torinese, per avviare rapporti con le autorità sovietiche. I risultati arrivarono: negli anni 30 la Fiat realizzò il progetto completo per la costruzione di una grande fabbrica per produrre cuscinetti a sfera nei pressi di Mosca e, prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, collaborò alla costruzione di un altro impianto.
Negli anni ’50, a fianco ai forti rapporti intrapresi con gli Stati Uniti, anche attraverso l’ambasciatrice USA a Roma Clare Booth Luce, Valletta riaprì le relazioni con le autorità sovietiche, intuendo il potenziale che dal blocco dell’est poteva venire per il futuro dell’auto e della stessa Fiat. Già nel ’61 venne realizzata una prima collaborazione industriale per la realizzazione di petroliere con Ansaldo, di cui la Fiat forniva i motori. Nel frattempo si stringevano intese per la produzione di auto con altri due paesi d’oltrecortina, la Jugoslavia e la Polonia.
Sul piano politico, dopo aver ottenuto il consenso del governo italiano (il presidente del Consiglio Amintore Fanfani, con la fine dello stalinismo, propugnava una politica distensiva e di apertura commerciale con l’est), Valletta nel maggio del 1962 vola negli Stati Uniti, dove incontra il presidente Kennedy, di cui registra l’intesa su una politica di sviluppo dei rapporti economici con l’Urss, anche attraverso la collaborazione industriale per la produzione in quel paese di beni di consumo. L’idea di fondo che piace agli americani è che lo sviluppo della produzione di beni di consumo in una società comunista avrebbe introdotto germi di capitalismo in grado di sgretolare dall’interno il sistema. Successivamente Valletta incontra anche esponenti del governo americano e della stessa Cia. Le condizioni politiche per il grande passo ci sono quindi tutte.
Il governo sovietico, dal canto suo, è interessato alla produzione di un’auto su grande scala per la motorizzazione dell’intera società. Una sorta di “auto del popolo”, in grado di soddisfare i desideri dei lavoratori sovietici e di dimostrare che anche nella corsa alla motorizzazione l’Urss non è seconda al mondo occidentale. Nel dopoguerra l’industria automobilistica sovietica si era cimentata nella produzione della Moskvich 400, una copia della Opel Kadett. Quale miglior partner per sviluppare l’industria dell’auto della Fiat, simbolo del boom italiano del dopoguerra? Un colosso con i suoi 130mila operai, che all’epoca produceva quasi 1 milione di auto all’anno. Una società che aveva motorizzato l’Italia con le utilitarie, prima la Balilla e la Topolino, poi la 500, la 600 e la 1100.
Nel 1965 il primo ministro sovietico Kossighin visita lo stabilimento di Mirafiori, a Mosca successivamente viene siglata un’intesa di massima nel settore automobilistico. Per sottolinearne l’importanza e segnare l’inizio di una svolta storica, il consiglio comunale di Torino, a maggioranza democristiana, decide di intitolare all’Unione Sovietica il corso che dal centro cittadino porta a Mirafiori. Prima si chiamava via Stupinigi, perché conduceva all’omonima e sabauda palazzina di caccia.
Così si arriva all’accordo del 1966. Lo stabilimento, 5 milioni di metri quadri, viene costruito lavorando fianco a fianco dai russi e dai tecnici italiani (circa 700) nella città di Togliatti, sulle rive del Volga e vicina ai monti Zhigulì. Da qui il nome della vettura (si chiamerà Lada il modello per l’esportazione) e, non a caso, anche di una caramella prodotta in Italia. I rapporti tra le due comunità sono strette, molti russi vengono anche a Torino per i necessari approfondimenti tecnici e si stabiliscono soprattutto nel quartiere di Santa Rita, in cui qualcuno ricorda ancora le loro code davanti al girarrosto della piazza per comprare pollo allo spiedo e patate. Molti italiani si sposano con donne russe conosciute in fabbrica (sarebbero oltre 150 i matrimoni misti in soli tre anni).
Nel novembre del 1972 va a regime lo stabilimento del VAZ (acronimo in russo di Stabilimento Automobilistico del Volga) e la Fiat, secondo gli accordi, lo consegna chiavi in mano all’Unione Sovietica. La produzione, iniziata nel 1969, sarà, su base annua, di 600.000 vetture, di cui 400.000 Fiat 124 (berlina e familiare) e 200.000 Fiat 125, opportunamente modificate dalla stessa Fiat per fronteggiare le condizioni climatiche e infrastrutturali del territorio sovietico, con una occupazione di circa 60.000 lavoratori.
Nello stabilimento, fino al 2014, sono stati prodotti 15 milioni di auto Zhigulì. Oggi la Fiat non ha alcuna forma di presenza a Togliatti. Renault e Nissan gestiscono quasi il 50% dell’azienda, il resto è statale. La crisi mondiale dell’auto non ha risparmiato neanche quello storico stabilimento, il risultato dell’intuizione e dell’azione di un grande piemontese del secolo scorso .