La repressione nell’Argentina soffocata dalla dittatura militare

Borgomanero a Buenos Aires: la saga familiare di emigrazione, vino e dittatura di María Josefina Cerutti

Una storia emblematica sull’emigrazione e sull’ingiustizia della dittatura argentina

Crpiemonte
3 min readMay 12, 2020

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di Mario Bocchio

Vino amaro. Una storia di emigrazione e dittatura è il titolo di María Josefina Cerutti, autrice argentina di origini familiari novaresi, che lo scorso ottobre era giunta in Italia - da Cuneo a Biella, da Genova a Roma fino a Palermo - per presentare il suo libro di memorie edito da Interlinea. Vino amaro è una storia emblematica sull’emigrazione e sull’ingiustizia della dittatura argentina. Il romanzo autobiografico prende avvio da rapimento, scomparsa e uccisione del nonno dell’autrice, alla cui famiglia la dittatura sottrasse la casa assieme a tutti i vigneti. La vicenda, tra passioni e dolori, è raccontata in prima persona con gli occhi di una testimone della tragedia collettiva vissuta dall’Argentina di quegli anni, ma è anche una storia italiana che racconta chi erano e come vivevano i nostri emigrati, che fondarono l’ancora fiorente industria argentina del Malbec.

Il libro Vino amaro

Come scrive nell’introduzione Giovanni Cerutti (direttore scientifico dell’Istituto Storico Fornara che ha collaborato al progetto), «condotto sul registro narrativo, è il racconto fedele di una vicenda vissuta, senza concessioni all’invenzione letteraria, che attinge ai propri ricordi e ai ricordi di chi ha accettato di condividerli con l’autrice. È, dunque, soprattutto la storia di una famiglia, ricostruita con grande affetto e partecipazione, affetto che è soprattutto il riflesso di un’infanzia felice, ma senza indulgere al sentimentalismo che edulcora la realtà. Una storia ben radicata nel tempo e nello spazio; perciò è anche una storia di emigrazione, di Italia e di italiani». Una citazione da Vino amaro: «Adesso la facciata della Casa Grande è dipinta di bianco e sabbia, ma allora, nella sua versione originale, in linea con l’architettura piemontese, era di mattoni a vista. La porta, o meglio il portone, era di rovere e aveva quattro ante. Era fatto così perché ai tempi di Mazzolari entravano nel patio a cavallo. Il nonno Manuel entrava con la macchina. Ma Josefina non lo permise mai: né macchine né cavalli. “È una cosa da indios” insisteva. Sopra il portone c’era una meridiana di quattordici spicchi, rosso, ambra, verde e blu. E sopra la meridiana, un grappolo d’uva come stemma. Gli immigrati fondarono stirpi vinicole italiane fuori dall’Italia con il loro modo contadino di relazionarsi con la terra. A tenerli insieme furono sapori, profumi, consistenze, paesaggi».

Le Madri di Plaza de Mayo

María Josefina Cerutti, italoargentina, pronipote di Emanuele Cerutti nato nel 1864 a Borgomanero, in provincia di Novara, è nata a Mendoza, ai piedi delle Ande. Si è laureata in Sociologia a Buenos Aires e a Trento con due tesi sul ruolo degli emigrati italiani nel mondo del vino e da allora si è dedicata a studiare l’emigrazione italiana in Argentina.

María Josefina Cerutti

María Josefina continua a scrivere anche su varie testate di Buenos Aires, si dedica alla diffusione della cultura e della letteratura del vino e insegna yoga all’Università Nazionale delle Arti di Buenos Aires. Maria Josefina Cerutti ha una formazione sociologica e lunghe ricerche sull’emigrazione italiana alle spalle, la cui solidità traspare nella ricostruzione puntuale e accurata del contesto socio-economico entro cui si è sviluppata la presenza italiana in Argentina e nella precisione con cui restituisce nel libro Vino amaro la mentalità di questi nostri connazionali, in cui non è poi così difficile identificarsi.

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