Da Chivasso a Borgosesia, il Carnevale fra maschere e riti antichi
Chi sono Bela Tolera e Abbà, Peru Magunella e Gin Fiammàa, protagonisti del folclore locale
di Elena Correggia
Imprescindibile appuntamento per la città di Chivasso, il “Carnevalone” prese avvio nel 1951 diventando, in poco tempo, una manifestazione seguita e apprezzata anche a livello regionale e oltre. I carri allegorici, provenienti da tutti i principali centri piemontesi e risultati vincitori dei rispettivi concorsi, assumono spesso dimensioni spettacolari. Ad accompagnarli ci sono gruppi folcloristici, bande musicali, maschere reclutati da Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria e Lombardia, per un insieme di oltre 4mila figuranti. E, parlando di numeri, sono più di 30mila gli spettatori che ogni anno seguono la suggestiva sfilata che si apre al suono dei pifferi, cappeggiata dalle maschere locali, Bela Tolera e Abbà, sul carro dorato circondate dai personaggi della loro corte e seguite dalle maschere degli altri Carnevali piemontesi e delle regioni limitrofe.
La figura della Bela Tolera nacque nel 1905, su iniziativa del circolo “L’Agricola”, l’antenato dell’odierna Pro loco Chivasso “L’Agricola”, per promuovere le produzioni locali. Bela Tolera è in effetti la regina del mercato e il suo nome prende origine dall’appellativo “face ‘d tòla”, che veniva attribuito ai Chivassesi dato che, in passato, il campanile del duomo della città era sormontato da una guglia fasciata di latta, che rifletteva i raggi del sole, poi abbattuta dopo i danni subiti durante l’assedio del 1705.
Dal 1948 la Bela Tolera è affiancata dall’Abbà, da quattro damigelle e alfieri e da due paggetti. In realtà l’Abbà, il Signore del Carnevale, vanta origini ben più antiche che risalgono al XIV secolo, collegate a feste in un primo tempo pagane e successivamente cristiane. Egli fu scelto per guidare con toni goliardici la “Confraternita o Società degli Stolti”. Dopo vari, ma inutili tentativi di sciogliere d’autorità la Società, furono le argomentazioni religiose del prevosto locale a persuadere i soci a cambiare costumi e ad assumere come patrono San Sebastiano. La festa della confraternita si trasformò quindi in cerimonia religiosa di cui l’Abbà divenne mecenate e il 20 gennaio, festa di San Sebastiano, dopo aver assistito ai Vespri solenni in Duomo, l’Abbà sfilava per la città regalando alla gente dolci e arance. Solo durante il Carnevale egli tornava a poter godere di speciali poteri e privilegi, fra cui quello di giudicare le controversie fra i Chivassesi e liberare i carcerati. Caratteristiche che mantenne fino al 1878, quando la sua figura scomparve dalle tradizioni carnevalesche locali per poi ricomparire quindi nel secondo dopoguerra accanto alla Bela Tolera.
Il Mercu Scûrot, un singolare evento nato a Borgosesia
Uno dei riti più originali del Carnevale di Borgosesia trovò terreno fertile nella seconda metà dell’Ottocento, quando il paese era già un mercato importante per la lana e la filatura ed era abitato da un nucleo attivo di borghesi anticlericali. Si tramanda che uno di questi, un tintore alsaziano di nome Bomen (o Baumann), probabilmente a causa di una bella sbronza, la notte del martedì grasso decise con la sua compagnia di amici di prolungare i festeggiamenti fino al giorno dopo, il mercoledì delle Ceneri simulando il funerale del re Carnevale.
Il gruppo si vestì molto elegantemente, con frac e cilindro, come si conveniva per le pubbliche manifestazioni di alto rango. Era il primo mercoledì di Quaresima del 1854 e nasceva così il Mercu Scûrot, un evento che, sconfinando oltre il tempo consentito da calendario per “fare baldoria” possedeva una forte valenza di trasgressione, ma la cui popolarità è arrivata fino a oggi. La scanzonata compagnia dei buontemponi, data l’ottima riuscita della messinscena, decise infatti di replicare ogni anno l’allegro funerale. Al posto però di un generico re Carnevale venne data nuova identità al povero fantoccio, che assunse le sembianze di Peru Magunella, la maschera per eccellenza di Borgosesia. Peru (Pietro) Magunella, (da magun o magone, ovvero gozzo, malattia molto diffusa in Valsesia nell’epoca preindustriale), è un giovane contadino semplice ma coraggioso, che ubbidisce alla sua patria (da poco formata) e va a combattere in Africa per difendere le allora colonie in Eritrea e Abissinia. Si narra che al suo ritorno al paesello lo accolse la brutta sorpresa di scoprire che la sua amata Gin Fiammàa si era consolata nel frattempo con un altro. Per il dolore, il povero Peru decise di buttarsi nelle acque del Sesia cercando di annegarsi. Le reti di un abile pescatore lo salvarono e questa fortuna lo ricondusse a ragione. Il suo secondo ritorno a casa indusse Gin Fiammàa a cambiare idea, con un inevitabile lieto fine che portò i due a convolare a nozze. Primo interprete in carne e ossa di Peru fu nel 1886 Battista Mongini, autore di una poesia che fissò i canoni della maschera osservati ancora oggi. Peru indossa la “vaianna”, una specie di frac (ma abbottonato sul davanti) di mezzalana di colore rosso, ampio bavero, camicia bianca con collo a punta, panciotto bianco, una catena color oro, pantaloni alla zuava verdi, fascia multicolore, calze di lana intessute con anelli bianchi e rossi, scarpe basse di cuoio e cappello a cilindro grigio chiaro, per simboleggiare la supremazia su tutti gli altri cilindrati che portano invece il tradizionale cilindro nero.
La sua sposa Gin Fiammàa è campagnola ma elegante. Indossa una lunga gonna di seta azzurra, un corpetto di seta ricamata, un grembiule cangiante e color fragola, lo scialletto a fiori, le scarpe di stoffa rosse, le “mitene” di rete bianca e con fiocchi alle mani e un cappello di feltro marrone ravvivato da un nastro di seta multicolore.
Fonti: Carnevale in Piemonte. Maschere, personaggi e costumi della tradizione, edito dal Consiglio regionale del Piemonte, 2020.
Siti web
https://www.comune.chivasso.to.it/it/page/carnavalone-di-chivasso