Dalida e Luigi, si amavano tanto
Il cantautore alessandrino si suicidò a Sanremo nel 1967
di Mario Bocchio
Il cantante italiano Luigi Tenco, nato a Cassine nell’Alessandrino, ha vissuto una relazione appassionata con Dalida, al secolo Iolanda Cristina Gigliotti, italiana naturalizzata francese. Si è suicidato nel 1967, segnando l’inizio di una serie di tragedie per il cantante, a cui è dedicato un film biografico.
Proprio nel gennaio del ’67 la coppia partecipa al Festival della Canzone di Sanremo eseguendo Ciao amore, Ciao, scritto dallo stesso Tenco.
È il suo volto — o almeno quello dell’attore Alessandro Borghi che presta i suoi lineamenti — che compare accanto a quello di Dalida - interpretata da Sveva Alviti - dalle prime immagini del film biografico di Lisa Azuelos dedicato alla cantante, uscito nelle sale nel 2016. Un viso ruvido, ostinato, ma illuminato da uno sguardo malinconico e smarrito. Questo giovane di 29 anni ha solo poche settimane di vita.
Nella notte tra il 26 e il 27 gennaio Tenco fu trovato morto con una pallottola in testa nella stanza 219 di una dépendance dell’Hotel Savoy a Sanremo, sulla costa ligure. Inserendo fin dall’inizio la figura di questa cantante italiana nel loro film, sceneggiatori e regista di Dalida hanno voluto farne la prima pietra miliare della litania di destini spezzati che si intrecciava con quella, tragica, dell’interprete di Bambino, che perse la propria vita nel 1987. Il suicidio iniziale, si potrebbe dire.
Dalida e Luigi Tenco si sono amati a prima vista, come affermano le compiaciute biografie? Questa donna - che cercherà di accompagnarlo nella morte tentando anche di porre fine alla sua vita un mese dopo in una stanza dell’Hotel Prince de Galles di Parigi - era la sua unica vera passione? È stata ripagata? E se fossero stati solo i pupazzi consenzienti di uno storytelling costruito su misura per aumentare gli ascolti del Concorso Internazionale della Canzone di Sanremo in onda dalla RAI, al quale hanno partecipato interpretando, uno dopo l’altro, lo stesso brano, Ciao amore, ciao ? Gli amori di uno sconosciuto oscuro che si sognava come cantante di testi sul modello dei suoi idoli Ferré, Brel e Brassens e di colui che era già una star pronta a cedere a tutte le mode: vincere per attirare favori della giuria e vendere una scia di milioni di LP (come si diceva allora) su entrambi i versanti delle Alpi.
Ma quella sera sul palco del Casinò di Sanremo va tutto storto (il festival non si sposterà al Teatro Ariston fino al 1977). Luigi Tenco, che è costretto a partecipare a questo concorso che disprezza, massacra l’interpretazione della sua canzone. Aspirando alla notorietà, soffre dei compromessi che questa gli impone. Lo vuole. Come al solito, beveva troppo e abusava di tranquillanti. L’interpretazione di Ciao amore, ciao di Dalida non riesce a salvare il duo eliminato nella prima serata del festival.
Imbronciato, arrabbiato con sé stesso e con lo star-system a cui si rifiuta di sottomettersi, Tenco accompagna Dalida in un ristorante dove la lascia per tornare al suo hotel. Nessuno lo vedrà più vivo. Su una cassettiera, nella sua stanza, accanto al suo corpo, troveranno una nota manoscritta, dettata dal risentimento: “Ho amato il pubblico italiano, ho sacrificato inutilmente cinque anni della mia vita a loro (…)”. Ciao, Luigi. Puoi morire per una canzone? Il festival non si è nemmeno interrotto in segno di lutto.
Poi iniziano cinquant’anni di verità contraddittorie. La notte di Sanremo, titolo del romanzo modianesco del giornalista drammatico Philippe Brunel (Grasset, 2012), divide ancora in Italia i fautori della tesi del suicidio e i sostenitori di quella dell’omicidio. Omicidio? Pur in assenza di un apparente movente, molte domande rimaste senza risposta al termine dell’indagine pasticciata nella notte dall’ufficiale dei carabinieri alimentano il dubbio.
Un suicidio con zone grigie. Perché Tenco destrorso si è sparato alla tempia sinistra? Perché i suoi coinquilini, incluso il cantante Lucio Dalla, non hanno sentito uno sparo? Perché non hanno svolto le analisi per certificare che il cantante avesse effettivamente premuto il grilletto lui stesso? Perché nelle foto scattate al cadavere dalla polizia si vede il calcio di una pistola Beretta quando aveva una Walter PKK? Perché il suo corpo, dopo essere stato portato all’obitorio, è stato poi riportato nella stanza d’albergo? Perché Dalida, che per prima ha scoperto il corpo, ha impiegato quaranta minuti per viaggiare dal ristorante al vicino Hotel Savoy? Perché le è stato permesso di tornare in Francia non appena è stata presa la sua dichiarazione? Cosa ci faceva Lucien Morisse, mentore ed ex marito della cantante, da quelle parti? Ciascuna delle domande sembra aprire il capitolo di un romanzo noir mimetizzato sotto un idillio d’acqua di rose.
Nel febbraio 2006 il tribunale ha disposto l’esumazione del corpo di Luigi Tenco per l’autopsia. Le sue conclusioni sono formali. “Tutti gli elementi raccolti confermano che si tratta di un suicidio”, ha detto il magistrato. Allora perché ancora dubitare? “Siamo un popolo a cui sono state raccontate così tante bugie che facciamo fatica ad accettare le verità che ci vengono presentate come indiscutibili”, dice il giornalista Renzo Parodi, che ha dedicato una biografia a Luigi Tenco (Canterò finché avrò qualcosa da dire , Sperling & Kupfer, non tradotto, 2007). Tenco si è suicidato, questo è certo, ma forse stordito. Ma ogni dieci anni, nell’anniversario della sua morte, ci verrà in mente la tesi dell’assassinio. Entrò nella categoria dei grandi misteri di questo paese. In questa storia, Philippe Brunel dice a uno dei personaggi della sua storia, ognuno ha voluto dare la propria versione. “Ecco perché non abbiamo mai trovato una spiegazione razionale per il suicidio di Tenco. E dubito che ci arriveremo mai”.
Ogni anno dal 1974, a margine del Festival di Sanremo, viene assegnato il Premio Luigi Tenco a un artista-autore-compositore che ha saputo mettere in luce “anche attraverso la musica leggera dignità artistica e realismo poetico”. Dignità e realismo, in Ciao amore, ciao non sono mancati. Le sue parole dicono: “Guarda tutti i giorni / Se piove o c’è il sole / (…) / Se devi vivere o morire / E un bel giorno dì basta e vattene”.
Fonti:
Renzo Parodi Canterò finché avrò qualcosa da dire , Sperling & Kupfer;
Philippe Brunel, La notte di Sanremo, Grasset