Della ceramica la lunga storia

Crpiemonte
12 min readSep 28, 2015

MONDOVÌ NELL’800 FIORISCE L’INDUSTRIA DELLA MAIOLICA CHE SEGUE L’EVOLUZIONE DEI CONSUMI

di Daniela Roselli

Stufe, piatti decorativi, stoviglie e numerosi altri oggetti che arricchiscono le nostre abitazioni hanno spesso origine da un’antica tradizione, quella della ceramica, che si è sviluppata, in particolare, in alcune zone del Piemonte.
I trent’anni a cavallo tra fine Ottocento e inizio Novecento sono, soprattutto per il Monregalese, un nodo importante, un momento in cui muore una realtà industriale e ne nasce un’altra. Sono gli anni in cui prende il via in Italia l’industria pesante, grazie alle commesse ferroviarie a alla conversione imprenditoriale dei capitali d’origine rurale, al Nord emerge l’area del triangolo industriale e nasce l’asse Genova-Novi Ligure-Torino.

Le fabbriche di maiolica del Cuneese

In Piemonte l’area del Cuneese vanta due realtà interessanti: officine meccaniche e fabbriche di maiolica. Quest’ultima, però, è quella che nel tempo ha avuto la storia più gloriosa e, dopo la crisi della seta, ha dimostrato un più tenace radicamento anche negli anni successivi.
Con la maiolica si è in presenza di manufatti che raccontano la propria storia: una brocca, per esempio, parla delle tecniche con le quali è stata prodotta, dell’operaio che ha lavorato alla sua decorazione, dei gusti e dei valori legati all’epoca di fabbricazione. Si tratta di un’industria del consumo, in cui mercato e offerta sono fondamentali. Non si può certo parlare di ceramica senza ripercorrere la storia della domanda, che diventa necessariamente “storia sociale”.
I paesaggi rappresentati nella prima fase ottocentesca della ceramica, soprattutto monregalese, sono chiamati “a castelletto” o “a paesello” e raffigurano vedute serene con costruzioni immerse nella natura, caratteri idilliaci e quasi bucolici. Ciò che caratterizza maggiormente la decorazione di quegli anni è il blu-Savona, accompagnato da un gusto non solo neoclassico ma anche antintellettuale e prerivoluzionario, tipico insomma della Restaurazione sabauda.
Pensando a chi, i maiolichè di Mondovì o di Chiusa Pesio decorano le proprie creazioni? La clientela è quasi esclusivamente “alta”, ovvero appartenente alla nobiltà di provincia o alla borghesia, dal momento che sul territorio piemontese il ceto domestico non è particolarmente numeroso né ha caratteristiche simili a quello parigino prerivoluzionario.
Nel secondo periodo, cavouriano e postunitario (1850–1878) continua la produzione di paesaggi settecenteschi in blu-Savona, per il mercato “alto”. Tra i più famosi produttori, il Piemonte annovera Alessandro Musso, Giuseppe Besio e Lorenzo Montefameglio. Musso, in particolare, accentua l’aspetto neoclassico nel gusto per le rovine, le case diroccate, i castelli in disuso invasi dalla vegetazione e raffigurazioni spettrali, di chiara influenza romantica.

Oggetti per tutte le tasche

In parallelo nasce una produzione “bassa”, che richiede meno tempo per la decorazione, meno colpi di pennello e raffigurazioni seriali. È un adattamento della tipologia “a castelletto” a una produzione più standardizzata, con lo scopo di abbassare il prezzo dei manufatti. La cura nella produzione “bassa” è decisamente diversa. Le raffigurazioni sono in policromia, i colori sono vivaci, in opposizione al neoclassicismo dell’altro filone di produzione.
Montefameglio, che opera a Mondovì e a Mombasiglio, realizza invece paesaggi a orizzonte curvo, mostra sapienza sintetica del tratto, utilizza spugne e merletti che si affiancano al pennello come strumenti di decorazione. Besio comincia invece a introdurre nuovi temi: l’uccello sul ramo, il classico galletto e, negli anni Settanta dell’Ottocento, compaiono anche piatti popolari con raffigurazioni di visi maschili e femminili. Dal punto di vista economico la borghesia commerciale e professionale acquista peso politico, affiancandosi alla nobiltà riformatrice. Il prodotto “basso” delle fabbriche di maiolica è ora rivolto alla neoborghesia cavouriana, insieme al nuovo ceto dei piccoli proprietari agricoli. Proprio tra il 1850 e il 1870 le ceramiche, soprattutto monregalesi, vedono il massimo periodo di gloria e, da laboratori artigianali, diventano vere e proprie fabbriche, orientate, negli anni Novanta, a produrre il maggior quantitativo nel minor tempo possibile.
L’Ottocento si chiude, dunque, con l’esperienza della “Vecchia Mondovì” — caratterizzata da decori semplici, di gusto popolare, stesi con poche e rapide pennellate dai colori vivaci — e ciò che nasce dopo è completamente diverso: emergono nuovi filoni di produzione seriale volti a catturare il pubblico con stoviglie di uso quotidiano, piatti celebrativi, stile popolare e prezzi modici. Chi oggi possiede ancora una ceramica realizzata dalla vecchia scuola può vantare un “pezzo buono” da sistemare in salotto o regalare in dote ai matrimoni, segno che gusto e tradizioni sopravvivono all’incalzare della modernità. n
www.museoceramicamondovi.it

Un luogo della memoria per la cultura del manufatto

NATO DAL MECENATISMO DI MARCO LEVI, ULTIMO PROPRIETARIO DEL MARCHIO “BESIO”, IL MUSEO DI MONDOVÌ ESPONE PEZZI SIGNIFICATIVI

Il Museo della Ceramica di Mondovì, inaugurato nel 2010 nelle sale del prestigioso Palazzo Fauzone di Germagnano (To), è inserito nel rione medievale Piazza, reimpostato radicalmente in età barocca. Un sapiente intervento di restauro ha permesso di recuperare affreschi, stucchi e arredi di straordinaria bellezza.
Nato dalla collaborazione tra il Comune di Mondovì e la Fondazione Museo della Ceramica, l’allestimento del museo è stato realizzato grazie ai contributi del Ministero per i Beni e le attività culturali, della Regione Piemonte, della Fondazione Cassa di risparmio di Cuneo e della Compagnia di San Paolo, con il patrocinio e il sostegno della Sovrintendenza per i Beni culturali e architettonici del Piemonte.
Marco Levi, mecenate illuminato, ultimo proprietario e direttore dello storico marchio ceramico “Vedova Besio e figlio”, negli anni Novanta del Novecento acquista dallo studioso ligure Carlo Baggioli la sua ricca collezione di ceramica monregalese, cui aggiunge parte di quella personale, per consegnare alla città un sogno e un progetto: costituire un museo, luogo di memoria, cura e diffusione della plurisecolare esperienza artistica e industriale del distretto ceramico monregalese.
“Il percorso espositivo — spiega Christiana Fissore, direttrice del Museo — si sviluppa sui due piani nobili del palazzo e conduce il visitatore attraverso un’affascinante esperienza. Nella sala verde del primo piano viene presentata la produzione monregalese in terraglia color crema, di cui sono evidenziate le analogie con una tipologia di ceramiche ideate nell’Inghilterra della Rivoluzione industriale. È stato l’inglese Josiah Wedgwood, pioniere della Rivoluzione, a perfezionare il materiale facendolo assurgere al più alto livello di raffinatezza: la sua cream ware, più tardi nota come Queen’s ware, ebbe un successo straordinariamente rapido e si diffuse in tutta Europa, creando una forte concorrenza tra le fabbriche di maiolica e porcellana. Agli albori del XIX secolo, infatti, anche nel borgo del Rinchiuso di Mondovì inizia la fabbricazione della ceramica a pasta bianca, opaca, fine, densa e ricoperta di una vernice piombifera. La sua somiglianza con l’esotica e preziosa porcellana, la funzionalità e il costo contenuto decretano il suo immediato consenso presso il pubblico consumatore”.
Il percorso espositivo prosegue poi, sempre al primo piano, passando in rassegna le tecniche di decorazione e di foggiatura che hanno caratterizzato, nei secoli, la ceramica monregalese: pittura a pennello, tamponatura “a velo” o “a merletto”, transfer print, foggiatura con parti a rilievo, decorazione a stampino, mascherina e aerografo. La nobile tecnica della pittura a pennello è rappresentata perlopiù da esemplari decorati con soggetti di grande immediatezza espressiva, divenuti oggi pezzi per collezionisti appassionati. Tra i temi più diffusi, i galletti di ascendenza francese, dotati di sontuose quanto improbabili code, uccelli policromi, freschi e spumeggianti fiori disposti singolarmente o in mazzo, paesaggi campiti in bianco e blu eredi della raffinata tradizione ligure.
“Si distinguono dal genere a pennello — prosegue Fissore — due rari e importanti tondi da parata di recente acquisizione, appartenenti al filone decorativo della cosiddetta ‘pittura su ceramica’. Gli esemplari recano sul verso la marca della manifattura di Giuseppe Besio e lo stemma della Regia Accademia Albertina. Il tondo raffigurante il busto di santa Cecilia di profilo, circondata dai simboli del martirio, riporta la data 1887 e la firma del maestro Andrea Marchisio, professore dell’Accademia che ottenne il privilegio di un proprio studio personale all’interno”.
Il percorso del primo piano termina delineando un fenomeno che riguardò le manifatture monregalesi a partire dalla metà del XIX secolo, quando iniziò un processo di semplificazione dei motivi decorativi grazie all’impiego di tecniche seriali a scapito del tradizionale uso del pennello: i temi tradizionali che avevano reso grande la tradizione “Vecchia Mondovì” continuarono a essere rappresentati, insieme con disegni geometrici, mediante l’uso sempre più intensivo di spugne intagliate, mascherine e timbri in gomma.
“Due sale multimediali — spiega la direttrice — completano e arricchiscono il percorso grazie all’uso di un linguaggio artistico contemporaneo di grande impatto scenografico. La sala intitolata ‘Fare ceramica’ introduce al processo di lavorazione della terraglia tenera, il prodotto ceramico che tra Otto e Novecento rese grande l’industria di Mondovì e del suo territorio. Le varie fasi di lavorazione, mutate nel corso dei due secoli con l’evolversi della tecnologia e del contesto sociale ed economico, sono qui illustrate senza l’uso di parole, coinvolgendo attivamente il visitatore nelle immagini e nei suoni. La seconda installazione, ‘Apparecchiare la tavola’, conduce il pubblico attraverso i gesti della preparazione di una tavola, che si imbandisce da sé delle vivande, in un atto denso di poesia, semplice e quotidiano. Qui sono presentati otto diversi esempi di tavole apparecchiate con servizi in ceramica prodotti nel comprensorio monregalese tra Otto e Novecento”.
“La nuova struttura ‘Up’ fa parte da circa un anno del percorso museale — conclude Fissore — e si propone di portare il ‘fare ceramica’ all’interno della sede museale per renderlo non più soltanto luogo della memoria storica ma dimostrazione concreta del potere generativo della cultura. L’unità produttiva, attrezzata per realizzare tutte le fasi del ciclo di produzione, dalla foggiatura alla decorazione del biscotto alla cottura nel forno elettrico, ha l’obiettivo di rilanciare e rivisitare la tradizionale produzione ceramica monregalese anche attraverso la collaborazione con Besio 1842, l’ultimo marchio storico operante sul territorio e sede di sperimentazione e confronto per artisti e designer contemporanei”. “Up” è inoltre utilizzata dagli studenti del corso di Arte ceramica, istituito presso il Museo in seguito alla convenzione con l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino. (dr)
http://goo.gl/SLNGyY

Quando la terracotta si fa arte

A CASTELLAMONTE PROSEGUE L’ANTICA SCUOLA CON RADICI NEL MEDIOEVO. DAGLI OGGETTI DI USO COMUNE ALLE STUFE, ALLA PRODUZIONE ARTISTICA

di Alessandra Quaglia

è antica la storia della ceramica di Castellamonte e risale addirittura al popolo dei Salassi, che per primi si insediarono sul territorio, e successivamente all’arrivo dei Romani. Nelle colline del Canavese erano infatti presenti ricchi giacimenti d’argilla rossa ed ecco perché qui si sviluppò la produzione di vasellame e d’oggetti d’uso quotidiano in terracotta. Dal Medioevo si utilizzarono le argille locali per le decorazioni architettoniche di portali, rosoni, architravi di chiese e castelli, e nei secoli successivi come ornamenti nelle residenze dei Savoia.
Sicuramente la fama della ceramica di Castellamonte crebbe dal Settecento, quando gli artigiani vasai cominciarono a produrre anche mattoni refrattari e stufe Franklin o “franklini”, così chiamate perché rimandavano al suo inventore, Benjamin Franklin, che aveva progettato stufe-caminetto che consentivano un risparmio di combustibile.
L’Ottocento segnò il grande sviluppo della produzione di manufatti in ceramica e molti laboratori artigianali si trasformano in fabbriche. Iniziò così a Castellamonte il periodo industriale per la produzione di oggetti d’uso comune, piastrelle per la pavimentazione, caminetti, stufe, statue e busti. Una produzione che rimase attiva nel ‘900 superando anche le due guerre mondiali, fino agli anni Cinquanta, quando si contavano oltre 300 addetti impiegati nel settore della ceramica nelle aziende estrattive e in quelle artigianali. Dagli anni ’60 iniziò un lento declino. Tuttavia, oggi a Castellamonte e nel Canavese diverse aziende hanno saputo rinnovarsi e offrire prodotti di nicchia nella produzione di stufe e caminetti, non solo nella versione classica ma trasformando le stesse con design innovativi, e creando di gioielli, lampade, balaustre e arredi per la casa.
Ceramica oggi è anche espressione dell’arte contemporanea di celebri maestri che realizzano grandiose installazioni e sculture in terracotta. Ne sono testimonianza, ad esempio, la stufa di Ugo Nespolo nella piazza Repubblica di Castellamonte, le cui formelle in ceramica disegnate dal maestro sono state realizzate dagli artisti Sandra Baruzzi e Guglielmo Marthyn con il supporto degli allievi dell’Istituto d’arte Felice Faccio di Castellamonte e cotte nelle fornaci dell’impresa artigiana La Castellamonte. Oppure l’arco di Arnaldo Pomodoro inserito nella rotonda Antonelliana della città in occasione della Mostra della ceramica di Castellamonte del 1995: ogni faccia dell’arco è ricoperta da sette formelle decorate che si alternano ad altre sette formelle lisce, tutte in cotto.
L’occasione per ammirare le opere di grandi artisti e scultori nazionali e stranieri del settore, e gli oggetti prodotti dagli artigiani locali, è durante la Mostra della ceramica di Castellamonte, evento di riferimento nel settore che si rinnova dal 1961 e quest’anno è giunto alla 55° edizione con la presenza tra gli altri dello scultore italiano Luigi Mainolfi, conosciuto a livello internazionale.
http://goo.gl/AmoZlI

Nell’antica fornace museo e centro d’arte

Nella frazione Spineto del comune di Castellamonte, in provincia di Torino, si trova uno dei luoghi simbolo delle ceramiche dell’Alto Canavese, rappresentato da un imponente fabbricato industriale, esempio di architettura tipica di fine Settecento che si è conservato per oltre due secoli e oggi è visibile completamente intatto.
Stiamo parlando della più antica fabbrica di ceramiche di Castellamonte, fondata da Enrico Pagliero nel 1814 per la produzione di massa di quelli che erano i tipici manufatti in ceramica utilizzati nella vita quotidiana. La nascita della fabbrica segnò il passaggio dalla lavorazione artigianale a quella industriale di stufe, stoviglie, statue, fregi architettonici, vasi e ornati per giardini. Per tutto l’Ottocento i prodotti della Fornace Pagliero — stufe, Franklin, caminetti, comignoli e anche piatti e pignatte per la cucina — furono rinomati e considerati pregiati perché vennero mantenute le caratteristiche estetiche e artistiche tipiche degli artigiani ceramisti del paese. Il successo dei prodotti, soprattutto quelli di fumisteria, proseguì anche nei primi decenni del ‘900, mentre il lento declino della fabbrica iniziò con lo scoppio della Seconda guerra mondiale.
Presente da oltre duecento anni sul territorio canavesano, se la Fornace nel corso dell’800 e del ‘900 fu riferimento principale dell’industria locale, oggi è diventata il Centro ceramico Museo Fornace Pagliero e mantiene la propria valenza come luogo della memoria storica della lavorazione della ceramica e degli oggetti in ceramica. Non solo: è il sito di riferimento per eventi culturali e mostre d’artisti nazionali e internazionali.
Gli spazi interni, esempio di architettura industriale con le volte di mattone e i saloni in legno, sono infatti utilizzati come aree museali permanenti dove sono esposte tre antiche linee di produzione: dell’Ottocento, degli anni Trenta e degli anni Cinquanta. A testimonianza del lavoro sono anche conservate le attrezzature d’epoca e le vecchie matrici. Gli stessi spazi interni e i cortili hanno ospitato le collezioni dei famosi artisti quali Umberto Mastroianni, Giorgio de Chirico e Alberto Giacometti.
Tutto ciò è stato reso possibile grazie a un progetto di ristrutturazione avviato dal maestro ceramista Daniele Chechi, che nel 2003 acquistò lo stabilimento. L’intervento, che ha anche previsto il restauro delle matrici originali, ha permesso di riattivare due laboratori produttivi sedi delle Ceramiche Cielle/Pagliero1814, attrezzati per la produzione di stufe e stufe Franklin di Castellamonte e di piccoli gioielli in ceramica realizzati a mano.
La fornace rimane dunque un luogo ancora vivo: per la produzione attiva, perché è tra le principali location della Mostra della ceramica di Castellamonte, perché ospita mostre temporanee di opere di artisti di fama internazionale e perché è visitabile durante tutto l’anno, essendo stata inserita dal 2014 nel circuito abbonamento Musei Torino Piemonte.
www.fornacepagliero.it

La casa della famiglia Allaira

Sono migliaia gli oggetti in ceramica conservati dalla famiglia Allaira ed esposti nelle stanze dell’edificio storico che si trova nel borgo di Castellamonte che fu l’abitazione di famiglia fin dal 1600 e dall’800 in parte destinata a fabbrica di ceramiche.
Nelle stanze e nei corridoi sono infatti visibili oggetti domestici e statuari, stufe Franklin, colonne e inserti architettonici che rappresentano la tipicità produttiva di dieci aziende locali. La Casa museo è anche sede di mostre permanenti e della Mostra annuale della ceramica di Castellamonte.
www.casamuseofamigliaallaira.it

I presepi sulle facciate di Castelnuovo Nigra

A Castelnuovo Nigra, in provincia di Torino, nella Valle Sacra, c’è un museo all’aperto di presepi in ceramica. Sono opere murali che sono state installate sulle facciate delle case del centro. Il primo presepe è stato posto nel Natale del 1998 per iniziativa del Comune e della Comunità montana Valchiusella, Valle Sacra e Dora Baltea e dell’Associazione artisti della ceramica di Castellamonte. Ad oggi sono circa ottanta le installazioni di forme diverse: la maggior parte pannelli decorativi e sculture, realizzati da ceramisti canavesani ma anche da artisti di altre regioni italiane che hanno donato le proprie opere al Comune.
www.comune.castelnuovonigra.to.it

Trentacinque artisti, una sola tradizione

Promuovere la lavorazione artigianale e artistica dell’argilla e creare nuovi rapporti tra gli artisti del Canavese sotto il profilo tecnologico, artistico e culturale. Con questi obiettivi è nata nel luglio del 1998 l’Associazione artisti della ceramica di Castellamonte, all’inizio con sette soci fondatori e oggi con 35 affiliati rappresentati dal neopresidente Maurizio Grandinetti. Un numero di tutto rispetto per un’attività artigianale di nicchia che vuole diffondere quest’arte soprattutto tra i giovani. L’Associazione, che dal giugno scorso ha una propria sede nella città, in via Caneva, organizza eventi in Piemonte, laboratori e dimostrazioni di tornitura e cottura di manufatti in ceramica.

Castellamonte e Mondovì città della ceramica

In Italia i Comuni di antica tradizione ceramica sono rappresentati dall’Associazione italiana Città della ceramica (Aicc), come prevede la legge italiana n. 188/1990. In totale sono 34, distribuiti in tutto il paese e tra questi rientrano anche le città di Castellamonte e di Mondovì.
www.ceramics-online.it

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