
Di nome faceva Serse, di cognome Coppi
L’annullamento della Parigi-Roubaix per l’emergenza sanitaria, ci riporta alla mente il fratello del Campionissimo
di Mario Bocchio
Provi una strana sensazione: ogni anno questo luogo ti sembra più bello perché pedali in uno scenario incantevole, però vuoi che finisca il prima possibile avvertendone il pericolo. La Parigi-Roubaix è polvere nel vento, è pavé e leggenda. Nel cuore dell’Inferno del Nord, ci sono stradine di sassi che sono le più famose nella storia del ciclismo: chilometri di mito con le mani salde sul manubrio e le ruote piangenti. È il fascino indiscreto del pavé e la sua feroce pretesa: martirio per molti, gloria dei pochi.

Era il fratello del Campionissimo. Era un suo gregario. Era forse, proprio per il vincolo di sangue, la persona capace di godere della sua più totale fiducia, ma anche di condizionarlo.

Serse Coppi ebbe un tragico destino. Il 29 giugno del 1951, al Giro del Piemonte, infilò con la ruota un binario del tram, cadde e picchiò la testa a terra, in corso Casale a Torino, a poche centinaia di metri dall’arrivo al Motovelodromo. Le conseguenze dell’incidente non sembrarono in un primo momento gravi, ma dopo essere rientrato in albergo le sue condizioni peggiorarono improvvisamente e l’infortunio si rivelò fatale: fu colpito da un’emorragia cerebrale e morì a soli 28 anni.

Serse Coppi nel 1949 colse nel velodromo di Roubaix la vittoria più importante della sua carriera. Ma quel giorno, non fu il primo a tagliare il traguardo e nemmeno pensava di aver vinto. Era successo che i tre corridori che si trovavano in fuga — il francese André Mahé, il belga Frans Leenen e il basco Jésus-Jacques Moujica quest’ultimo caduto negli ultimi chilometri e, quindi, attardato, giunti davanti al velodromo di Roubaix — confusi dalla fatica, disorientati dalla folla, distratti da auto e moto al seguito della corsa, perfino ingannati da un gendarme, cominciassero a girare intorno al velodromo cercando l’entrata. Infine trovarono un ingresso, ma era quello sbagliato, quello riservato alla stampa. Mahé comunque vinse la volata davanti a Leenen, esultando da vincitore. Serse giunse poco dopo di loro, vincendo la volata del gruppo degli inseguitori.
Ricorda Marco Pastonesi che per avere l’ordine d’arrivo definitivo ci vollero sei mesi. Subito la vittoria fu attribuita a Mahé, che ricevette un mazzo di fiori. Poi pare che lo stesso Fausto spinse Serse e la Bianchi a inoltrare reclamo - Mahé non aveva seguito il percorso ufficiale - e il giudice francese Henri Boudard dichiarò vincitore Serse. La decisione fu comunicata a Mahé mentre stava facendo la doccia. Gli organizzatori si dissociarono dalla giuria e stabilirono di assegnare i premi secondo l’ordine cronologico in cui i concorrenti avevano tagliato il traguardo. Cinque giorni più tardi, la Federazione francese ribaltò la decisione della giuria e confermò la vittoria di Mahé. Su ricorso della Federazione italiana, in agosto quella internazionale, l’Uci, giudicò che non esistevano vincitori: la corsa doveva ritenersi annullata. A questo punto si appellarono sia la Federazione francese sia quella italiana. E in novembre (!) la Federazione internazionale sentenziò finalmente che avevano vinto tutti e due: Mahé e Serse Coppi. Primi a pari merito.
L’anno dopo, come a voler mettere tutti d’accordo, ci pensò proprio Fostò. Arrivò primo. Si tratta ancora oggi del secondo successo di un corridore piemontese nell’Inferno del Nord.