Dino Sanlorenzp

Dino Sanlorenzo e l’irriducibile impegno a difesa della democrazia

Da dirigente del Pci non nascose che c’erano anche radici di sinistra all’origine dei terroristi

Crpiemonte
8 min readDec 7, 2020

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di Marco Travaglini

La scomparsa di Dino Sanlorenzo lascia un vuoto profondo nella storia contemporanea del Piemonte. Nato il 22 Maggio del 1930, membro del Partito Comunista Italiano, fu tra i “costituenti” della Regione nel 1970, Presidente del Consiglio regionale dal ’75 all’ 80 e successivamente vice presidente della Giunta regionale fino al 1983 quando lasciò l’incarico per la Camera dei Deputati dove, dal 1983 al 1987, fece parte della commissione affari esteri di Montecitorio. Dotato di un’intelligenza curiosa e vivace, di un carattere vulcanico e anticonformista che lo portava ad esprimere in modo diretto le proprie convinzioni, Dino Sanlorenzo fu tra i principali protagonisti di una lunga stagione politica nella seconda metà del secolo scorso.

Un primo piano di Dino Sanlorebzo

Dirigente politico, segretario della federazione del Pci a Novara per un decennio, intransigente difensore delle istituzioni democratiche, Sanlorenzo ha vissuto con passione e intensità gli impegni istituzionali e di direzione politica. Senza tralasciare l’importanza delle tante esperienze maturate in decenni di impegno pubblico va sottolineato come siano stati in particolare i tredici anni in Consiglio regionale e gli incarichi di vertice a Palazzo Lascaris e in piazza Castello a porne in risalto il ruolo e la prorompente personalità. Quando Dino Sanlorenzo intervenne nel dibattito generale durante la prima seduta del Consiglio regionale, il 13 luglio del 1970, diede prova di una visione larga dei problemi e del ruolo del Piemonte, dedicando una parte importante del suo discorso alla questione meridionale.

Un intervento a Palazzo Lascaris

Sottolineò in quel tardo pomeriggio estivo come, nello stesso giorno in cui s’insediava il nuovo Ente regionale subalpino, accadesse la stessa cosa in “altri Consigli regionali di regioni meridionali che hanno tanti loro figli nel Piemonte”, ricordando “a noi stessi e alle forze politiche piemontesi la lezione di Gramsci, la necessità di unire i lavoratori venuti da tutte le Regioni, realizzare la saldatura fra nord e sud e al tempo stesso operare perché siano affrontati e risolti con metodi e contenuti nuovi i problemi di uno sviluppo distorto, caotico e non programmato secondo gli interessi della collettività”.

Un’immagine recente di Sanlorenzo

Un pensiero lungo, una visione per nulla provinciale dello sviluppo del Piemonte in un contesto più ampio. Del resto le Regioni nascevano nel 1970, come disse in più occasioni “senza soldi e con poteri scritti sulla carta e impossibili da esercitare in concreto”.

Dunque, per coinvolgere i cittadini in quell’impresa che dava corpo ad uno dei dettati costituzionali, occorreva mettere “centro della politica e dello Statuto la partecipazione grazie alla quale si immaginò il loro coinvolgimento fino a creare nella II legislatura gli organismi consultivi, il Comitato Resistenza e Costituzione, la Consulta europea e quella femminile”. Il suo capolavoro politico fu quando, negli anni di piombo, di fronte agli attentati terroristici delle Br, di Prima Linea e della galassia di sigle della violenza che si richiamava al comunismo, ruppe ogni indugio e denunciò con grande energia che non c’erano “compagni che sbagliano ma delinquenti e assassini la cui mira era puntata contro lo Stato, gente che sparava per ammazzare, ferire, gambizzare quelli che erano i “simboli” di quello Stato democratico che intendevano abbattere.

Cominciammo così…

Sanlorenzo, da dirigente del Pci non nascose che c’erano anche radici di sinistra all’origine dei terroristi. E lo denunciò. Disse in una intervista che “per troppo tempo si era pensato ad azioni di provocatori. Si arrivava dagli attentati fascisti, da piazza Fontana. In effetti, ci fu un terrorismo nero prima di quello rosso. C’erano tra i terroristi giovani che arrivano dal variegato mondo della politica e della società. Curcio aveva avuto un’educazione cattolica, come la Cagol. Il figlio di Donat Cattin fu tra i protagonisti di Prima linea. Molti ragazzi provenivano da famiglie-bene. E c’era anche chi era stato nel Pci come Franceschini, Bonavita, Gallinari. Nelle Br c’era di tutto: il fenomeno è stato complesso, ma l’adesione è sempre stata di singoli”.

Gli anni spietati

Sanlorenzo in una lettera all’allora presidente della giunta, Oberto Tarena, scrisse che “la Regione” doveva essere “d’orientamento per la cittadinanza contro la violenza politica”. E quando “i terroristi cominciarono a minacciare di colpire le scuole, decidemmo di intervenire come istituzioni, non potevano essere soltanto più le forze dell’ordine e la magistratura ad arginare quel fenomeno”. Il Pci, anche sotto la sua spinta, scelse di impegnarsi a fondo con i suoi uomini nelle istituzioni dove, a Torino e in Piemonte, dopo il ’75 aveva un peso rilevante. E non furono soli. E’ ancora Sanlorenzo a rammentare che “l’intesa politica era generale. Un ruolo rilevante lo ebbe il capogruppo Dc, Bianchi, medaglia d’argento della Resistenza. I socialisti e il Psdi erano con noi. Con gli altri partiti democratici, Dc, Pli, Pri ci fu unità di intenti. Le nostre furono scelte difficili, ma nette. La politica della fermezza fu giusta. Siamo stati un indiscutibile baluardo, uniti nella difesa della democrazia e della libertà, in prima fila nelle istituzioni per proteggere lo Stato e il Paese”.

Sanlorenzo dieci anni fa in occasione del 40° della Regione

Fu sua l’idea di dotare il Consiglio regionale di un organismo come il Comitato Resistenza e Costituzione che vide la luce, con un’apposita legge, nel 1976. L’obiettivo “di riaffermare i valori e gli ideali democratici della lotta di Liberazione che erano alla base della Costituzione repubblicana” era quanto mai attuale. E il primo obiettivo che venne posto fu quello di rafforzare il senso dello Stato. Il Consiglio regionale su iniziativa di Sanlorenzo non esitò a mobilitarsi, convinto che “ il terrorismo andasse sconfitto anche sul piano politico, morale, culturale e ideale; che fosse cioè necessaria la mobilitazione delle coscienze. E la mobilitazione democratica degli uomini e delle istituzioni per far fronte a un nemico della democrazia, il terrorismo” che feriva e uccideva uomini innocenti responsabili soltanto di lavorare in una azienda in crisi, giornalisti, poliziotti che facevano il loro dovere, magistrati coraggiosi con la schiena dritta sull’altare della giustizia. Dal 1976 al 1978 si tennero più di 1.400 iniziative, 650 assunte e promosse dalle autonomie locali, più di 350 assemblee di fabbrica alla presenza di forze politiche, 80 assemblee scolastiche solo nella provincia di Torino, 350 manifestazioni organizzate dalle associazioni partigiane.

Sanlorenzo dieci anni fa in occasione del 40° della Regione

Nel 1978 venne lanciata una petizione con l’obiettivo di promuovere un’azione di solidarietà nel momento più delicato quello in cui si doveva celebrare il processo alle Brigate rosse, già rinviato nel maggio del ’77. In poco tempo la petizione raccolse più di 300.000 firme. E il terrorismo che aveva fatto tante vittime venne isolato e battuto. Dino Sanlorenzo raccontò in diversi libri le vicende nelle quali fu protagonista.

Dal famoso “Gli anni spietati” sulla lotta al terrorismo a Torino nel decennio tra il 1972 e il 1982, a “Noi cominciammo così” dedicato alle radici dell’impegno di centoventi esponenti della vita politica di Torino, a tanti altri tra i quali i due monumentali volumi sulle “Immagini da un secolo”, album fotografici “per la memoria storica del movimento democratico, popolare, antifascista e progressista di Torino”. Una doppia raccolta di centinaia di immagini uscite dagli archivi degli Istituti Storici come quello della Resistenza, la Fondazione Vera Nocentini, il Gramsci, il Centro Gobetti e, cosa ancora più importante, emerse dai cassetti di tanti torinesi che le avevano conservate come memoria della propria famiglia e che hanno contribuito a illustrare una memoria collettiva. Sempre attivo nonostante gli acciacchi dell’età negli ultimi anni, ricordava con lucidità e un misto di delusione e amarezza il tempo in cui i partiti erano composti da tantissimi semplici cittadini che sentivano di essere parte di un progetto generale e riempivano la loro esistenza del significato civile e morale, di una identità laica, di una missione. Non era nostalgia ma desiderio che si recuperasse il primato di una politica concreta e al tempo stesso mossa da grandi idealità, capace di incontrare e interpretare “il dolore del mondo” e la speranza del riscatto degli ultimi. Ostile, durissimo nei confronti di carrierismo e degenerazioni, rilasciò in una intervista dichiarazioni molto critiche, paragonando la situazione venutasi a creare con quella degli anni del suo impegno. “Penso a quegli anni, quando ci riunivamo per scrivere lo Statuto della Regione che doveva nascere. Un lavoro all’inizio gratuito perché non c’erano ancora i soldi dello Stato. Nessuno sapeva come si doveva fare, ma tutti studiavamo, era tutto da inventare. A me poco prima avevano proposto di andare in Parlamento: ho rinunciato perché mi interessava questa esperienza delle Regioni che stavano finalmente per nascere dopo anni di ritardi politici essenzialmente voluti dalla Dc”. E aggiunse, con una certa fierezza: “Con noi c’erano persone della levatura di Mario Giovana, Valerio Zanone, Nerio Nesi, Adriano Bianchi, medaglia della Resistenza, Adalberto Minucci. In quarant’anni si sono persi i principi che avevamo allora. La politica era davvero un servizio. Io arrivavo da Novara e si stava in Consiglio regionale ogni giorno dalle nove di mattina e poi il sabato e la domenica a spiegare sul territorio quello che stavamo facendo. Prima i principi erano merito, onestà, coerenza. Adesso sono apparenza, successo, denaro. Un cambiamento radicale, difficile da correggere. Ora fare politica significa occupare un posto dove si guadagna bene, non dovrebbe essere così. Ci sono persone che fanno politica e non sono più in grado di parlare ad un comizio o di scrivere un articolo in cui esprimono le loro idee”.

Il peso degli anni non gli fece perdere un grammo della passione e dell’impegno, preoccupandosi che l’opinione pubblica maturasse un rifiuto totale della politica ( “sarebbe drammatico”, diceva). Nutriva la speranza che la politica, soprattutto nel suo campo d’appartenenza, potesse e dovesse mostrarsi diversa, migliore. A Dino Sanlorenzo il Piemonte e Torino devono tanto. Il rigore e l’impegno, accompagnati da una forte passione civile e una profonda umanità, ne hanno fatto un indimenticabile protagonista della storia delle istituzioni regionali subalpine.

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