Domingo il favoloso”, la Torino fantastica di Giovanni Arpino

Arpino è morto trentasei anni fa a Torino, il 10 dicembre del 1987

Crpiemonte
4 min readDec 19, 2017

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di Marco Travaglini

In quanto narratore di storie, sento di appartenere a una razza in via di estinzione, poiché la civiltà delle immagini ci sommergerà e i lettori saranno sempre più capaci a leggere, ma sempre meno come numero”. Così scriveva Giovanni Arpino nel 1982, riflettendo sul mondo che cambiava con grande rapidità. Parlando dei personaggi dei suoi libri, aggiungeva: “Tutti i miei personaggi, se ci ripenso un attimo — giovani o vecchi, uomini e donne, operai contestatori e randagi — sono degli emarginati, che vengono a precipitare, pur essendo normali, in una situazione abnorme”. Arpino è morto trentasei anni fa a Torino, il 10 dicembre del 1987.

1964, Arpino vince il “Premio Strega” con “L’ombra delle colline”

Aveva sessant’anni ed era nato nel 1927 a Pola — l’antico capoluogo dell’Istria — da genitori piemontesi. Visse la sua giovinezza a Bra per poi trasferirsi definitivamente a Torino, dove rimase fino alla sua morte prematura. Grande scrittore e maestro della penna al punto da autodefinirsi “bracconiere di tipi e personaggi, cacciatore d’anime”, Arpino si distinse nel panorama letterario italiano per lo stile asciutto e ironico e per la capacità di fissare storie di vita con uno sguardo sulla realtà straordinariamente netido.

La copertina del libro

Nonostante i suoi sedici romanzi e i quasi duecento racconti, da anni sembra incredibilmente scomparso dal panorama culturale italiano e solo in occasione di una ricorrenza piena come il trentennale della scomparsa si torna ad indagare sulla sua figura. Tra i suoi libri c’è anche un bellissimo romanzo-favola, ispirato al genere del feuilleton, “Domingo il favoloso”, pubblicato da Einaudi nel 1975. Il racconto uscì , prima ancora di diventare un libro, in tredici puntate sulla Domenica del Corriere , tra il dicembre 1973 e il marzo 1974, illustrato dagli acquerelli originali di Italo Cremona, con il titolo “Correva l’anno felice”.

La copertina di “Domingo il favoloso”

Domingo, il protagonista, è una sorta di picaro, un po’ furfante, esperto in truffe e trucchi di vario genere, maestro nel poker e mago del biliardo. Ha una “eterna fidanzata”, Angela, che lavora dietro un banco di torrone, e s’innamora di una zingarella affetta da un male incurabile, Arianna, che gli farà scoprire i tortuosi sentieri del cuore. “Domingo il favolosoè il secondo volume della trilogia fantastica di Arpino, iniziata con “Randagio è l’eroe (1972) e conclusa con “Il primo quarto di luna (1976). Già l’incipit della storia promette ritmo e mistero: “Gli restava mezz’ora di tempo.In piedi alla finestra, indifferente alla frescura primaverile, Domingo guardava il corso livido, vuoto. Un vecchio ubriaco apparve all’improvviso tra le silenziose strutture delle giostre, di capanni e logori camioncini che ingombravano da alcuni giorni quell’angolo di città. Il vecchio faticava nel sospingere la sua ombra demente. Domingo lo seguì fin dove la sagoma rimase un attimo ferma nel tremolio luminoso che incorniciava la baracca del tirassegno. Lo vide sparire sotto le cupole buie degli ippocastani”.

“Opere scelte”

Un romanzo assolutamente originale, ambientato nella Torino degli anni settanta, descritta con immagini forti. Una città notturna, con i suoi “corsi lividi”, il vento improvviso che induce “tutti i colombi di Torino a cercar scampo tra grondaie, abbaini e comignoli”, dove le ombre s’inseguono nel “cinereo budello dei portici”. La Torino di Domingo è sulfurea, diabolica. Una città dove si diceva che l’occulto fatturasse più della Fiat. E lui, il protagonista, persona che disdegnava qualunque attività regolare e non accettava di inserirsi nel contesto civile, s’inventava — giorno dopo giorno — mille volte la vita. Fino al punto di svolta, quando incontrò il mondo superstizioso degli zingari: da quel momento la sua vita cambiò fino al punto che tutto ciò in cui credeva, ogni sua certezza, finì in frantumi. Quella di “Domingo” è una grande storia, narrata da uno scrittore di gran classe che seppe esprimersi con garbo, forza e lucidità fino all’ultimo respiro. Sconfitto dalla lunga lotta contro un carcinoma Giovanni Arpino non sprecò nemmeno una lacrima perché, come disse parlando di se, non intendeva correre il rischio “di annacquare l’inchiostro”.

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