Don Allamano, testimone del Vangelo fino ai confini del mondo
In piazza San Pietro, domenica 20 ottobre, papa Francesco lo proclamerà “santo”
di Carlo Tagliani
Domenica 20 ottobre alle 10,30 papa Francesco, in una piazza San Pietro che si annuncia gremita di fedeli, proclamerà “santo” don Giuseppe Allamano, fondatore dei Missionari e delle Missionarie della Consolata.
Proclamato “beato” da papa Giovanni Paolo II il 7 ottobre 1990, è - tra i santi sociali piemontesi che hanno edificato ponti di carità tra Ottocento e primo Novecento - quello che sembra avere avuto maggiormente a cuore il desiderato di “esportare” la “buona notizia” del Vangelo fino ai confini del mondo.
Come lo zio materno - don Giuseppe Cafasso - e don Bosco, anche Giuseppe Allamano nasce a Castelnuovo d’Asti (oggi Castelnuovo Don Bosco) il 21 gennaio 1851 in una famiglia di agricoltori. Quarto di cinque fratelli, quando rimane orfano di padre non ha ancora compiuto tre anni.
Terminate le scuole elementari si trasferisce a Torino nell’Oratorio di Valdocco, fondato e diretto proprio da don Bosco. Deciso a diventare prete, entra nel Seminario diocesano di Torino, nel 1873 viene ordinato sacerdote e l’anno seguente si laurea in Teologia all’Università pontificia nel capoluogo piemontese.
Nel 1876, a soli 25 anni, gli viene affidata la direzione spirituale dei seminaristi, che gli consente di dare inizio a quella che per tutta la vita considera l’attività più importante: formare i futuri preti. Quattro anni più tardi diventa rettore del Santuario di Santa Maria della Consolazione, il più caro alla devozione dei torinesi, che chiamano familiarmente “la Consolata” perché rappresenta il “cuore” della città, testimone di gioie e lutti, di vittorie e sconfitte di quindici secoli di storia cittadina. Sempre nel 1880 viene designato rettore del Convitto ecclesiastico di San Francesco d’Assisi, diretto per anni da don Cafasso e trasferito, un decennio prima, proprio nei locali adiacenti al santuario.
Entrambe le strutture versano in condizioni critiche: il santuario è da riorganizzare e restaurare e il convitto è in forte crisi. Don Allamano, però, non si scoraggia e, affiancato da don Giacomo Camisassa, giovane chierico che ha conosciuto in seminario, si rimbocca le maniche. Due anni dopo, nel 1882, il convitto riapre e vengono avviate importanti opere di ristrutturazione della Consolata.
Eccezionale formatore di caratteri e di personalità, maestro di dottrina e di vita, don Allamano vede uscire dal seminario molti preti entusiasti di farsi missionari venire ostacolati dalle diocesi, disposte a offrire alle missioni qualche aiuto in denaro ma non le persone. Decide così, grazie anche all’improvviso sopraggiungere di una cospicua eredità, di fondare nel 1901 l’Istituto della Consolata per le Missioni estere e di organizzare, l’anno seguente, la prima spedizione missionaria in Kenya. L’iniziativa gli attira molte critiche e l’accusa di sottrarre forze e risorse alla Diocesi di Torino a vantaggio delle terre di missione. Lui non si sottrae alle critiche ma procede per la propria strada, al punto che otto anni dopo fonda le suore Missionarie della Consolata.
In anticipo di almeno sessant’anni sul Concilio Vaticano II, don Allamano si rende conto che sul tema dell’evangelizzazione missionaria è necessario sensibilizzare la Chiesa intera. Nel 1912, con altri rappresentanti di Istituti missionari, chiede a papa Pio X di prevedere interventi per far presente ai fedeli la necessità di diffondere il messaggio evangelico nel mondo intero e gli propone di istituire una Giornata missionaria annuale, “con obbligo d’una predicazione intorno al dovere e ai modi di propagare la fede”. Il suo impegno e il suo desiderio che il maggior numero di missionari possibile possa “andare in tutto il mondo per predicare il Vangelo a ogni creatura” prosegue senza sosta, pur tra critiche e incomprensioni di chi lo accusa di mirare più alla formazione professionale e umana delle popolazioni indigene che a battezzare. In anticipo, anche in questo caso, sui tempi.
Missionario senza essere mai uscito dall’Italia, formatore di parroci e di vescovi senza essere mai stato parroco, don Allamano muore a Torino il 16 febbraio 1926. Il suo corpo riposa nella chiesa che sorge all’interno della Casa madre della congregazione, in corso Ferrucci 14, a Torino.