Il caffè espresso sulla “Gazzetta Torinese”

Espresso alla torinese

L’espresso non nasce a Napoli, ma a Torino. A inventare la macchina alla fine del 1800 Angelo Moriondo, un imprenditore alberghiero che la usò nei suoi locali

Crpiemonte
4 min readDec 30, 2021

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di Pino Riconosciuto

Che relazione può esserci tra il caffè espresso e la bagna caoda? Nessuna, verrebbe da dire, se non che uno può essere bevuto dopo l’altra. Invece no, ce n’è un’altra: l’origine. Entrambi vengono dal Piemonte, il primo da Torino. Avete capito bene: l’espresso non è nato a Napoli, ma a Torino.

Tutto merito di Angelo Moriondo, un imprenditore del settore alberghiero che all’esposizione generale di Torino del 1884 si presentò con questa strana macchina in grado di sfornare caffè a quella che, per il tempo, sembrava la velocità della luce.

Il brevetto del caffè espresso

Moriondo veniva da una famiglia di imprenditori. Un suo antenato aveva ottenuto alla fine del 1700 dai Savoia la licenza per produrre vermouth. Il padre aveva fondato con il cugino nel 1850 un’azienda che produceva cioccolato, la “Moriondo e Gariglio”. Trasferitasi a Roma con l’unità di Italia l’azienda è ancora attiva.

Angelo Moriondo invece si dedicò al settore alberghiero. Ai tempi della Esposizione generale era proprietario del Grand-hotel Ligure di piazza Carlo Felice, con l’omonimo caffè, e dell’American Bar, nella Galleria nazionale di via Roma.

Angelo Moriondo

Uno dei suoi problemi era come mettere a disposizione un buon caffè il più in fretta possibile ai frettolosi clienti che frequentavano i suoi locali. Moriondo era ingegnoso, ideò un sistema per far giungere in fretta l’acqua bollente al caffè e poi nella tazzina e con l’aiuto del meccanico Martina riuscì a costruire la macchina per il “caffè istantaneo”, l’espresso di oggi. La macchina era una specie di campana in rame e bronzo, alta circa un metro, con un sistema di rubinetti e serpentine: scaldandola con il carbone o con il gas, l’acqua veniva fatta bollire e poi, attraverso le serpentine, raggiungeva il contenitore con il caffè. L’acqua veniva quindi portata in pressione ed ecco il caffè depositarsi nella tazzina. La Gazzetta Piemontese elogiava il macchinario, capace di preparare “da una a dieci tazze di caffè in due minuti, e fino a trecento caffè in un’ora. E il caffè riesce concentrato e saporitissimo”.

Una volta ottenuto il brevetto il 16 maggio, Moriondo espone la macchina nel “Chiosco del caffè Ligure”, vicino all’entrata della Galleria dell’Elettricità, con un grande successo di pubblico e di critica, tanto da guadagnare la medaglia di bronzo per la sua invenzione. Il cronista del settimanale dell’esposizione così ne parla: “Qui si trova il modesto chiosco del signor Moriondo dove si ammira la famosa caffettiera miracolosa, invenzione del Moriondo stesso, con cui si preparano dieci, venti, cento tazze di caffè in pochi minuti”. E in un altro articolo dello stesso settimanale si commenta con ironia: “È la caffettiera portata al suo massimo sviluppo, ridotta quasi ad essere pensante, e se Redi (Francesco Redi, poeta aretino del 600, ndr) che ce l’aveva contro “l’amaro e rio caffè” tornasse in vita, potrebbe vedere come il mondo si preoccupi più del caffè che della poesia, più delle caffettiere che dei poeti.»

Il manifesto dell’Esposizione generale italiana del 1884

L’esposizione decretò dunque il successo della “Caffettiera” di Moriondo, che continuò a perfezionarla con ulteriori brevetti Per il suo tempo era una vera rivoluzione, una macchina all’avanguardia, con la caldaia dotata di tutti i controlli e di valvola di sicurezza; era inoltre versatilissima, potendo davvero produrre da una a molte tazze di caffè anche grazie alla maniglia porta-filtro che la rendeva veramente una macchina per il caffè espresso.

Ma l’interesse di Moriondo era concentrato tutto nel settore alberghiero e della ristorazione, fece costruire alcuni esemplari della macchina, ma li utilizzò esclusivamente nei suoi locali. Mai immaginò di avviare una attività di produzione su ampia scala.

L’idea venne poi a un milanese, Desiderio Pavoni, che agli inizi del ‘900 acquistò i brevetti ed iniziò la produzione in serie di queste macchine fondando la Ditta Pavoni. La diffusione fu veloce ed il successo immediato. Senza produrre, pare, alcuna invidia in Moriondo che continuò a occuparsi della sua attività e contemporaneamente a brevettare nuove migliorie della sua macchina, quasi a rivendicarne il primato, fino a pochi mesi prima della morte che lo colse nella sua casa di campagna, a Marentino, nel 1914. Aveva 62 anni.

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