Filippo Maria Beltrami e i partigiani dell’alpe Camasca
L’alpe Camasca è sempre stato uno dei luoghi più sfruttati dagli abitanti di Quarna Sotto per il pascolo del bestiame, dalla primavera all’autunno
di Marco Travaglini
Per il piccolo paese sui monti attorno al lago d’Orta, conosciuto per la produzione di strumenti musicali a fiato e per aver dato i natali ai genitori del “campionissimo” Fausto Coppi, quell’alpeggio dall’invidiabile esposizione al sole ha sempre rappresentato una ricchezza per l’intera comunità di quel borgo di montagna.
Le baite di Camasca, nel settembre del 1943, ospitarono anche i primi partigiani guidati dal capitano Filippo Maria Beltrami. L’alpeggio cusiano, tra l’ottobre e il dicembre di quell’anno, divenne il centro operativo della formazione partigiana guidata dal “signore dei ribelli” che aveva posto il suo comando nella baita del cavalier Sigisfredo Meneveri.
Da Camasca il nucleo partigiano, irrobustitosi in numero e forza, operò nelle zone circostanti. Tra Pettenasco a Lagna, San Maurizio d’Opaglio e Cesara, Pella e altre località cusiane furono molte le audaci azioni degli uomini del “Capitano” per procurarsi armi, munizioni e di che vivere in quei tempi difficili.
L’alpeggio di Camasca diventò un rifugio per i primi patrioti che ingaggiarono la guerriglia contro i nazifascisti. L’11 novembre del ’43 una squadra, al comando del tenente Bruno Rutto, attaccò il presidio di Gravellona Toce mentre un altro gruppo di sessanta uomini, al comando di Filippo Maria Beltrami, si spostò verso Ornavasso in appoggio all’insurrezione di Villadossola, una delle poche se non proprio la prima azione in campo aperto contro gli invasori del terzo Reich. Tra le formazioni operanti nelle zone tra la Valsesia e il Verbano-Cusio-Ossola vennero a quel tempo stipulate intese e alleanze operative.
Il 30 novembre del ’43 proprio il gruppo “Quarna” guidato dal capitano Beltrami, insieme alle formazioni garibaldine valsesiane di Eraldo Gastone (“Ciro”) e Vincenzo Moscatelli (“Cino”), occupò Omegna . La prima “calata al piano” dei partigiani impegnò poco più di cinquanta uomini che agirono con intenzioni chiaramente dimostrative. L’azione si svolse nel giro di poche ore tra la folla festante e senza necessità di scontri armati. Il “Capitano”” e ” Cino”, ritti in piedi sul cassone di un autocarro, parlarono alla popolazione ringraziandola e incoraggiandola a resistere e ad aver fiducia nei partigiani intenzionati a battersi fino alla vittoria finale. Ma nel pomeriggio, quando ormai i partigiani avevano ormai lasciato Omegna per rifugiarsi in montagna, la milizia fascista locale rientrò in città sparando a casaccio e colpendo a morte un bambino di cinque anni, Luciano Masciadri.
Il tre dicembre si svolse il funerale del piccolo e vi parteciparono più di cinquemila persone, tra le quali si mescolarono numerosi resistenti, mentre i fascisti si rifugiarono in caserma, impauriti. Tra le corone una portava un grande nastro tricolore con la scritta “I Patrioti non ti dimenticheranno”. Fino all’antivigilia del natale del ’43 gli uomini di Beltrami, partendo dagli alpeggi di Camasca, insidiarono il controllo dell’area cusiana alle milizie fasciste della Repubblica di Salò. Dal 23 dicembre il gruppo “Quarna” fu costretto a trasferirsi dall’alpeggio a Campello Monti, in alta Valle Strona, a seguito della minaccia dei tedeschi di bombardare per rappresaglia l’abitato di Quarna, rivalendosi sulla popolazione civile.
Dopo la tragica battaglia di Megolo, in bassa Val d’Ossola, combattuta il 13 febbraio del ’44, dove Beltrami e altri dodici uomini persero la vita dopo quattro ore di aspro combattimento, l’intera zona fu rioccupata dai partigiani guidati da Bruno Rutto. Il 14 aprile 1944, approfittando dell’assenza della Divisione Alpina d’Assalto “Filippo Maria Beltrami”, ribattezzata così in memoria del comandante caduto con i suoi uomini sulle balze della frazione di Pieve Vergonte, durante un’operazione di rastrellamento le camicie nere misero a ferro e fuoco l’alpeggio, bruciando baite e cascinali. Gli abitanti di Quarna videro levarsi in cielo dense colonne di fumo e il vento portò lontano l’acre odore dell’incendio. In poche ore le fiamme mandarono in fumo il lavoro e la fatica di intere generazioni, cancellando parte della storia di quella comunità di montanari. Vennero distrutti ben trentadue edifici in quella tristissima giornata di metà aprile. Ma la Resistenza non si fiaccò e nel nome e nel ricordo di Filippo Maria Beltrami mise radici ancora più profonde, crescendo e rafforzandosi sino ad ottenere la vittoria e la liberazione nella seconda metà dell’aprile 1945.