Alexander Langer

Gli insegnamenti del tempo sospeso e le sfide di Alex Langer

Abbiamo vissuto e stiamo vivendo tempi difficili, colmi di preoccupazioni, paure, tensioni

Crpiemonte
5 min readMay 29, 2020

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di Marco Travaglini

Il nostro Paese, come buona parte del mondo, ha trascorso gli ultimi mesi con il fiato sospeso, arrestando le attività, rallentando la vita sociale e quella di tutti noi per far fronte ad un nemico subdolo e invisibile, tanto crudele da imporre un’emergenza sanitaria affinché si potesse evitare il propagarsi dei casi di contagio del virus, debellando la pandemia. Una decisione obbligata, necessaria, persino coraggiosa per chi ha avuto sulle sue spalle l’onere di dover decidere per tutti.

Alexander Langer con Reinhold Messner

Siamo stati costretti a modificare i ritmi quotidiani, le abitudini, il modo di lavorare, sperimentando lo smart working e il distanziamento sociale. Alcuni di noi hanno subito dolorosi lutti, soffrendo in solitudine. Anche i gesti più semplici, quelli che davamo per scontati, sono diventati un tabù, rientrando nella categoria dei comportamenti a rischio. Così, quando abbiamo potuto,ci siamo salutati da lontano, evitando strette di mano, abbracci, gesti affettuosi. Ci si è resi conto di come le telefonate, i messaggi, le email, le comunicazioni sui social non potranno mai sostituire un sorriso, uno sguardo che faccia capire se si sta bene o no, se hai gli occhi tristi o si intravvede un bagliore di felicità, un contatto umano diretto.

Alexander Langer in un altra foto

Questa esperienza inedita di tempo sospeso ci ha insegnato, o dovrebbe averci insegnato, almeno tre cose. In primo luogo l’importanza, l’imprescindibilità delle relazioni umane in una società dove emozioni, affetti, rancori, presente e futuro parevano destinati a vivere solo sui social media. Non so dire tra quanto tempo potremo finalmente scambiarci una stretta di mano, ma il calore di quel gesto, quando è sincero e non relegato ai convenevoli, è qualcosa di insostituibile. La seconda lezione è che i confini, di fronte alla diffusione pandemica del virus si dissolvono, diventano astratti, non rappresentano nulla, non possono fermare i contagi, non mettono al riparo nessuna comunità o nazione.

Il sorriso di Alex Langer

Lo stesso accadde con la nuvola radioattiva di Chernobyl del 26 aprile 1986, trentaquattro anni fa. In un mondo globale e interconnesso l’inquinamento, i virus e le crisi valicano le barriere daziarie e quelle convenzionali e devono essere affrontati con impegni congiunti, insieme. E’ così dal punto di vista ecologico, sanitario, economico e sociale. Chiudersi a riccio, alzare muri e barriere in nome di una presunta sovranità nazionale, srotolare centinaia di chilometri di filo spinato non solo è inutile, ma è senz’altro dannoso. Servono investimenti nella ricerca per individuare e produrre i vaccini per tutti, collaborando.

Il viaggiatore leggero

Servono politiche solidali su scala internazionale e aiuti economici per chi ha meno, è in difficoltà e soffre di più. Servirebbe un nuovo modello di sviluppo che tenesse conto dell’equilibrio tra lo sfruttamento delle risorse, il bilancio ecologico e quello economico. Servono, per quanto ci riguarda e per dove siamo collocati nello scacchiere del mondo, risposte celeri e concrete a livello europeo, assegnando maggior peso e un ruolo più incisivo all’Europa. La terza è la più necessaria e al tempo stesso la più difficile. “Riparare il mondo”, scriveva Alex Langer. Oggi che il nostro modello di sviluppo appare infartuato e si parla di crisi di sistema, le persone come Langer sembrano davvero profeti inascoltati. Il problema è che “riparare il mondo” non è solo una missione culturale e politica; è anche, se non soprattutto, una gigantesca occasione di nuovo lavoro, nuova economia, nuovo e diverso sviluppo.

In viaggio con Alex

E qui la sfida diventa immensa. Tra poco saranno venticinque gli anni che ci separano da quel 3 luglio 1995 quando Alexander Langer lasciò un ultimo biglietto prima di scegliere di allontanarsi volontariamente dalla vita. Poche, dolorosissime parole: “I pesi mi sono divenuti davvero insostenibili, non ce la faccio più. Così me ne vado più disperato che mai; non siate tristi, continuate in ciò che era giusto”. Aveva 49 anni ed era nato a Sterzing-Vipiteno,in Alto Adige. Uomo di frontiera e senza frontiere, senza patria e con molte patrie, intellettuale che parlava cinque lingue e aveva cento vite, costruiva ponti, univa popoli, faceva politica da persona che con molta della politica di quel tempo aveva poco a che spartire, come, sicuramente, non avrebbe nulla in comune con la politica di oggi.

Una buona politica per riparare il mondo

Al Pian de’ Giullari, nei pressi di Firenze, scelse un albero di albicocco in un uliveto, si tolse le scarpe e ci lasciò al nostro “grande freddo”, come disse Daniel Cohn Bendit. Lasciò tutti orfani di migliaia di appunti, riflessioni, parole, strette di mano, viaggi. Lasciò molti scritti e l’eredità difficile da gestire di un uomo ostinato e fragile, curioso, intelligente. Venticinque anni di assenza sono tanti per chi gli ha voluto bene e chi cercava nelle sue parole una risposta o l’illusione di averla. Non credo gli sarebbe piaciuta quest’Europa sempre più cinica, lontana da quella che lui aveva intravisto. E’ facile immaginare il giudizio critico su questo mondo in conflitto con la sua idea di conversione ecologica, di uno sviluppo “più lento, profondo, dolce”, rovesciando il motto olimpico del “più veloce, alto, forte”.

Una stretta di mano

Le sue idee, i suoi scritti e la sua ostinata voglia di costruire ponti l’ha lasciata in eredità a noi. Nonostante abbia molti dubbi e pochissime certezze rimane però la speranza che si debba, comunque e sempre, tentare di “riparare il mondo”. Se capissimo il senso del comune destino, il fatto di condividere in gran parte gli stessi bisogni e ambizioni comprenderemmo di avere anche le medesime vulnerabilità e i difetti che ci rendono umani. Capiremmo così quanto sia necessario prenderci cura l’uno dell’altro, non solo nei momenti di difficoltà, ma anche in quelli di serenità e imparare a non dare nulla per scontato. In quel caso anche il volto triste di Alexander Langer forse di distenderebbe in un sorriso perché avrebbe la speranza, magari tenue, ma certa che staremmo continuando “in ciò che era giusto”.

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