I discorsi sulla Costituzione di Piero Calamandrei
Tra i “padri costituenti” che hanno contribuito alla sua redazione figurava il grande giurista
di Marco Travaglini
La nostra Carta Costituzionale, frutto dell’impegno e della serietà di figure importanti per la storia italiana, dotate di grande onestà personale, politica e intellettuale, è un documento di altissimo valore democratico e civile. Tra i “padri costituenti” che hanno contribuito alla sua redazione figurava il grande giurista Piero Calamandrei. Rileggendo dopo tanti anni le sue acute argomentazioni è sorprendente come, seppur a distanza di tempo, non abbiamo perso la loro forza. La “voce” limpida di Calamandrei, profondo studioso e galantuomo dall’integerrima moralità e dalla personalità eclettica ( fu anche scrittore, pittore, amante della musica) fu capace di immaginare il futuro, guardando il mondo con lo sguardo di chi è in grado di mettere a fuoco gli avvenimenti futuri.
Nato a Firenze nel 1889 Calamandrei si laureò in legge a Pisa nel 1912, a ventitre anni; nel 1915 fu nominato per concorso professore di procedura civile all’Università di Messina, tre anni più tardi fu chiamato all’Università di Modena, nel 1920 a quella di Siena e nel 1924 alla nuova Facoltà giuridica di Firenze, dove tenne fino alla morte — a fine settembre del 1956 — la cattedra di diritto processuale civile. Alla Grande guerra partecipò come ufficiale volontario combattente nel 218° reggimento di fanteria; ne uscì col grado di capitano e fu successivamente promosso tenente colonnello. La sua ricca biografia mette in risalto come, subito dopo l’avvento del fascismo, fece parte del consiglio direttivo della ”Unione Nazionale” fondata da Giovanni Amendola.
Durante il ventennio fascista fu uno dei pochi professori che non ebbe né chiese la tessera del Pnf continuando sempre a far parte di movimenti clandestini. Collaborò al “Non mollare”, nel 1941 aderí a “Giustizia e Libertà” e nel 1942 fu tra i fondatori del Partito d’Azione. Fu uno dei principali ispiratori dei Codice di procedura civile del 1940 e si dimise da professore universitario per non sottoscrivere la lettera di sottomissione al duce che gli venne richiesta dal Rettore del tempo. Nominato Rettore dell’Università di Firenze il 26 luglio 1943, dopo l’8 settembre fu colpito da mandato di cattura, cosicché esercitò effettivamente il suo mandato dal settembre 1944, cioè dalla liberazione di Firenze, all’ottobre 1947.
Presidente del Consiglio nazionale forense dal 1946 alla morte, fece parte della Consulta Nazionale e della Costituente in rappresentanza del Partito d’Azione. Partecipò attivamente ai lavori parlamentari come componente della Giunta delle elezioni della commissione d’inchiesta e della Commissione per la Costituzione. I suoi interventi nei dibattiti dell’assemblea ebbero larga risonanza: specialmente i suoi discorsi sul piano generale della Costituzione, sugli accordi lateranensi, sulla indissolubilità del matrimonio, sul potere giudiziario. Nel 1948 fu deputato per “Unità socialista”. Nel 1953 prese parte alla fondazione del movimento di “Unità popolare” con Ferruccio Parri, Tristano Codignola e altri, in opposizione alla “legge truffa”. Accademico nazionale dei Lincei, direttore dell’Istituto di diritto processuale comparato dell’Università di Firenze, direttore con altri delle “Rivista di diritto processuale”, “Il Foro toscano” e “Commentario sistematico della Costituzione italiana”, nell’aprile del 1945 fondò la rivista politico-letteraria “Il Ponte”. Il lascito culturale e giuridico di Calamandrei è ricchissimo di libri,interventi,atti, riflessioni.
I suoi discorsi sono passati alla storia come quello che tenne il 4 marzo del 1947 all’Assemblea Costituente: “ È un po’ successo, agli articoli di questa Costituzione, quello che si dice avvenisse a quel libertino di mezza età, che aveva i capelli grigi ed aveva due amanti, una giovane e una vecchia: la giovane gli strappava i capelli bianchi e la vecchia gli strappava i capelli neri; e lui rimase calvo. Nella Costituzione ci sono purtroppo alcuni articoli che sono rimasti calvi”. Piero Calamandrei parlava con chiarezza della Costituzione, con un taglio a volte spiritoso,in altri casi accorato. In quei mesi i costituenti erano impegnati a costruire un testo che, oltre ad essere giuridicamente limpido, potesse diventare un effettivo strumento democratico, la “carta d’identità” di uno Stato e di un’intera comunità di donne e uomini liberi.
Calamandrei, giurista di rango, contribuì alla stesura della carta fondamentale della Repubblica cercando subito di coglierne nel medesimo tempo i punti di forza e eventuali debolezze . Una grande lezione di metodo democratico e di passione civile che traeva forza nella sua straordinaria carica ideale. Il 26 gennaio del ’55, meno di due anni prima della sua scomparsa, Piero Calamandrei partecipò a Milano ad un ciclo di conferenze sulla Costituzione rivolte ai più giovani. Nel Salone degli Affreschi della Società Umanitaria, di fronte ad un pubblico di studenti universitari e medi, sostenne come la Costituzione non fosse “una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove: perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile; bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica”. Pronunciò, a quel punto, un memorabile atto d’accusa contro “l’indifferentismo”. Partendo da un luogo comune, già in auge a quei tempi (“ La politica è una brutta cosa. Che me n’importa della politica?) raccontò che ogni volta udiva quel discorso gli veniva in mente la vecchia storiella che aveva come protagonisti due emigranti, due contadini che attraversavano l’oceano su un piroscafo traballante.
Disse: “Uno di questi contadini dormiva nella stiva e l’altro stava sul ponte e si accorgeva che c’era una gran burrasca con delle onde altissime, che il piroscafo oscillava. E allora questo contadino impaurito domanda ad un marinaio: «Ma siamo in pericolo?» E questo dice: «Se continua questo mare tra mezz’ora il bastimento affonda». Allora lui corre nella stiva a svegliare il compagno. Dice: «Beppe, Beppe, Beppe, se continua questo mare il bastimento affonda». Quello dice: Che me ne importa? Unn’è mica mio!”. Rivolgendovi ancora ai ragazzi, sentenziò:“Questo è l’indifferentismo alla politica..”.
Una lezione sulla libertà (“ che è come l’aria:ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare”),sui doveri che si accompagnano ai diritti, sulla necessità di dare il proprio contributo alla vita politica. E aggiunse: “La costituzione, vedete, è l’affermazione scritta in questi articoli, che dal punto di vista letterario non sono belli, ma è l’affermazione solenne della solidarietà sociale, della solidarietà umana, della sorte comune, che se va a fondo, va a fondo per tutti questo bastimento. E’ la carta della propria libertà, la carta per ciascuno di noi della propria dignità di uomo”. Come nel saggio La Costituzione e le leggi per attuarla, sempre del 1955, Calamandrei disse che dagli articoli della Costituzione parlavano a le voci, “auguste e venerande” del Risorgimento: Mazzini, Garibaldi, Cavour, Beccaria, Cattaneo, e altre voci più recenti, come Rosselli, Gramsci e Gobetti, ma soprattutto quelle dei fratelli caduti nelle battaglie della Resistenza. Era un messaggio forte che volle trasmettere ai giovani studenti milanesi in quel discorso che ancora oggi è possibile riascoltare dalla sua viva voce.
Un appello persino pedagogico, nel senso più alto del termine, a non trascurare l’impegno politico e civile per far sì che i principi della Costituzione vivano nella realtà. Calamandrei nutriva grande considerazione nel ruolo della scuola, considerandola “fucina della classe dirigente e luogo di formazione di una cittadinanza consapevole”. Un grande insegnamento che non ha perso un briciolo di smalto e di attualità, a maggior ragione in tempi difficili e sospesi come quelli che stiamo vivendo, settantadue anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione, la principale fonte del diritto della Repubblica.