I Walser in alta Valsesia
Arrivano in Valsesia nel 1200, su invito dei monaci benedettini, e colonizzano molte parti del territorio, lasciando vestigia e tradizioni riscontrabili ancora adesso. Ce ne parla un esperto, lo scrittore Paolo Crosa Lenz
di Pino Riconosciuto
Si chiamano Walser, una contrazione del tedesco Walliser, a indicare i vallesani, gli abitanti del cantone vallese. Sono i protagonisti di una diaspora che a cavallo del medioevo li ha portati a colonizzare numerosi territori dell’arco alpino in Italia, Svizzera, Austria e Francia. Forse la sovrappopolazione nel cantone, forse le condizioni climatiche favorevoli (si parla del periodo del medioevo caldo che rendeva praticabili i valichi di alta quota e appetibili i grandi alpeggi), forse gli inviti rivolti loro da signori e ecclesiastici che avevano bisogno di manodopera per le loro terre, forse un insieme di questi motivi, spinse i walser fino alla nostra Valsesia. Ne parliamo con un esperto, lo scrittore Paolo Crosa Lenz, anch’egli di origine walser.
Come arrivano i walser in alta Valsesia?
L’insediamento dei villaggi walser alla testata della Valsesia avvenne nel XIII secolo sui pascoli inferiori di tre alpeggi: Mud, Alagna e Otro. Le migrazioni coloniche, provenienti da Macugnaga e Gressoney attraverso i valichi del Turlo e del Col d’Olen, furono volute dai monasteri benedettini di San Pietro di Castelletto e di San Nazzaro di Biandrate. Ciò a conferma del ruolo fondamentale svolto dai monasteri nel promuovere la colonizzazione walser. Anche la Val Vogna, che si apre a monte di Riva Valdobbia (l’antico comune di “Pietre Gemelle”), fu insediata dai walser gressonari e presenta tuttora una teoria di minuscoli villaggi che hanno conservato l’antica architettura walser caratterizzata dagli “stadel” (fienili-granai sostenuti da dischi di pietra poggianti su colonnette di legno) e dalle case di legno con loggiati per l’essicazione del foraggio. A Rabernardo è da visitare il Museo Walser, allestito in una casa del 1640 emblematica di un impianto architettonico armonico con l’ambiente dell’alta montagna. Il “modulo di Alagna”, secondo gli studi di Arialdo Daverio, corrisponde al diametro del cerchio formato da un uomo con le braccia aperte; è questo modulo a regolare la pianta di tutta la casa. Il loggiato che circonda la casa corrisponderebbe invece al peristilio di un tempio greco; con una differenza: non è l’edificio per una divinità, ma per un uomo che vive e lavora.
Dove andare per ritrovare tracce walser in quella zona?
In molti posti. La Val d’Otro, ad esempio, è uno degli angoli di civiltà walser meglio conservati sulle Alpi. Un’escursione di un paio d’ore su facili sentieri permette un percorso circolare che visita le sei frazioni: Feglierec, Follu, Ciucche, Dorf, Scarpia e Weng. Oggi la valle è disabitata, ma un tempo vivevano oltre 100 persone e venivano coltivati segale, patate, canapa e orzo; tre mulini e tre forni frazionali per la cottura annuale del pane erano le infrastrutture di una comunità rurale tesa all’autosufficienza. A Otro c’era anche l’asilo, in frazione Follu, mentre gli studenti scendevano quotidianamente ad Alagna. Otro era abitato stabilmente fino a Natale, quando gli abitanti scendevano a svernare ad Alagna e vi risalivano per San Giuseppe. Ad Alagna (Im Land), in frazione Pedemonte (Z’Kantmud), è da visitare il Museo Walser: un tipico edificio rurale d’alta montagna che vede, sotto un unico tetto, il fienile, la stalla e l’abitazione. La riunione in un unico edificio delle tre funzioni (domestica, agricola e pastorale) è tipica dell’architettura walser di Alagna che in questo si differenzia da quella di altre colonie. Il museo raccoglie, sapientemente disposti, attrezzi agricoli ed oggetti domestici che documentano i sistemi produttivi e la vita di relazione di una comunità walser. Il ricco costume festivo femminile era caratterizzato dai ricami a “puncetto” (eseguito con il solo impiego di ago e filo) e dai comodi “scapini” (pantofole di panno). Tre itineraripermettono di visitare l’abitato sparso di Alagna e di conoscerne lo spessore di storia e di civiltà. In frazione Giacomolo vi è la casa dove, nel 1575, nacque Antonio d’Enrico che divenne importante pittore con la firma di Tanzio da Varallo.
Sono rimaste tradizioni walser ancora praticate?
Certo, ne cito una, un’antica tradizione che rivive ogni anno sui monti di Alagna: è la cerimonia del ringraziamento per la positiva conduzione della stagione estiva sugli alpeggi. Il Rosario Fiorito scende dai 1850 m degli alpeggi all’oratorio di S. Antonio; il corteo salmodiante in latino è preceduto dallo stendardo della confraternita del Santo Rosario. Negli anni ’90 la cerimonia (Der Danktog) è diventata simbolica del ringraziamento per quanto la montagna ha data alla vita delle genti walser e vede la partecipazione dei rappresentanti di altre colonie italiane e vallesane.
Ci sono altri insediamenti walser in Valsesia. Ne parleremo in un prossimo articolo.