Percorrere i suoi sentieri

Il bosco dei nostri antenati

Il bosco dell’Alevè, nell’alta val Varaita, è la più grande distesa di pini Cembri d’Italia e tra le maggiori d’Europa. Ha origini antichissime. Citato da storici e poeti, ha un patrimonio di alberi centenarie una storia che ci riporta a un tempo in cui gli uomini erano ominidi e la natura una realtà incontaminata

Crpiemonte
5 min readMar 18, 2021

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di Pino Riconosciuto

E’ il bosco che per le sue lontanissime origini potrebbe raccontare dei primi ominidi, il bosco dei nostri antenati. E’ l’Alevè, la più grande distesa di pini Cembri d’Italia e una delle più grandi d’Europa. Nell’alta val Varaita, è una meraviglia della natura che merita di essere incontrata per la sua forte originalità naturalistica che ne fa uno splendore di verdi cupi e di rami dorati dal sole, per la corona montuosa che copre e che lo circonda e per la sua più che veneranda età, che aiuta a farci un’idea di cosa fossero le Alpi moltissimo tempo fa.

L’originalità quasi artistica si un albero

La foresta risale alle glaciazioni del quaternario e deve il suo nome all’occitano èlvou, che significa pino cembro. Si estende su 825 ettari, di cui quasi 700 in purezza, a un’altitudine tra i 1500 e i 2500 metri, nei comuni di Sampeyre, Casteldelfino e Pontechianale. Una collocazione impervia, utileper sopravvivere nei millenni agli assalti voraci degli uomini dei boschi, avidi produttori di legna da ardere e da utilizzare per costruire. Ma anche un rispetto che si è conquistato con il tempo e che ha portato a una legge di tutela dell’Alevè già nel 1400. In realtà una grande ferita nel bosco ci fu alla metà del 1700, quando dopo il passaggio dalla Francia ai Savoia il conflitto per queste terre portò all’abbattimento di numerosi esemplari centenari utilizzati per innalzare un sistema di fortificazioni lungo circa 15 km, dal Monviso al monte Pelvo, attraverso la valle.

Una grandissima varietà di alberi, anche dal valore storico

Ma l’Alevè è riuscito a rimarginare le sue ferite. Dalla metà del ‘900 i suoi semi sono utilizzati per i rimboschimenti di Cembri in tutta Italia e dal 2000 è sito di interesse comunitario dell’Unione europea. Ancora oggi conserva quella magia che l’ha reso protagonista di pagine dell’Eneide di Virgilio, delle opere dello storico latino Strabone e di Plinio il Vecchio. Una storia antica che si sovrappone alla sua per Daniele Orusa, accompagnatore naturalistico e guida turistica, oltre che gestore a Brossasco della Porta di Valle, libreria di montagna, luogo di ristoro e rivendita di prodotti locali (http://www.segnavia.piemonte.it/). “Per me il bosco è qualcosa di profondamente simbolico”, spiega. “Dentro è come se ci fosse la storia di tutta la valle, un’identità che trova origine fin dal tempo dei romani che associavano l’Alevé al Monviso. Un bosco che ha protetto con le sue radici i paesi sottostanti, una realtà unica che ho cominciato a frequentare fin da piccolo e che sento parte di me”.

Daniele Orusa

E’ lo stesso Orusa a guidarci sui sentieri dell’Alevè attraverso un itinerario alla portata di tutti, purché praticato con la dovuta attenzione e prudenza che la montagna merita sempre. “Si parte dalla borgata Castello di Pontechianale, subito dopo il rifugio Alevè. Qui si prende il sentiero che dopo circa un’ora e mezza di cammino con 400 metri di dislivello porta fino al lago Bagnour e all’omonimo rifugio. Si entra così nel cuore del bosco, passando attraverso numerosi punti panoramici che offrono una splendida vista sulla valle. Di fronte resta sempre il Pelvo d’Elva, una cima di 3 mila metri, visibile soprattutto nella prima parte, dove la vegetazione è meno fitta. Sulla strada incontriamo il rifugio Grongios Martre, una piccola struttura recuperata con gusto architettonico e aperta solo per chi pernotta. Sopra ancora troviamo Peiro Grongetto, uno dei primi insediamenti umani all’interno del bosco: una roccia con caverna sfruttata dai primi pastori intorno alla quale sono poi state costruite delle baite di alpeggio. Superando il bivio al lago Secco, da prendere se si vuole fare il percorso ad anello fino al Bagnour e ritorno dall’altra via,incontriamo un pino Cembro enorme, con il tronco ripiegato. Lo chiamiamo l’albero d’Annibale perché la sua forma ricorda quella dell’elefante. Sopra ancora c’è pion Caval, così nominato perché si dice che nelle giornate di nebbia si senta la cavalleria arrivare. Rumori reali, provocati molto probabilmente dallescariche di pietra del Monviso. Infine si arriva al lago Bagnour e al rifugio, un posto incantevole a 2017 metri di altitudine. Salendo ancora è interessante il vallone dei Duc che porta al passo Calatà e si collega al giro del Monviso. Una deviazione che può incuriosire chi fa il giro di Viso”.

Uno spettacolo della natura mozzafiato

Ma il re del posto resta il pino Cembro. Se ne possono trovare esemplari ultracentenari, i due più longevi sono di circa 400 e 600 anni, quest’ultimo sulla costa del monte Cervet; mentre sul versante nord della cima delle Lobbie c’è un Cembro a 2.950 metri di quota, il più alto in assoluto.

All’Alevè non mancano specie vegetali e animali interessanti. Daniele Orusa ci ricorda la nocciolaia, “un uccello presente in tutto il bosco. E’ un corvide della dimensione di un merlo, marroncino. Ricorda la ghiandaia, ma è meno elegante. E’ l’animale che più ha aiutato la diffusione del pino cembro. Vive infatti mangiando i pinoli nelle pigne del pino, e per garantirsi sempre il cibo nasconde pigne e contenuto dappertutto. Ha una ottima memoria, ma non sempre riesce a recuperare tutte le pigne. Così i pinoli che restano perpetuano il pino Cembro”.

Lo spettacolo della natura dato dai pini

Interessante anche un crostaceo, una specie di gamberetto presente solo in questa zona, il Branchipus blanchardi, così nominato in onore del suo primo scopritore, l’entomologo francese Raphaël Blanchard intorno a metà ottocento. Vive nei laghi e nelle pozze dell’Alevè, si dice che si possa trovare solo nel Sahara e da lì si sia insediato nel bosco grazie agli uccelli migratori.

Insomma, l’Alevè è un posto unico e indimenticabile. Percorrere i suoi sentieri tra Cembri centenari ha qualcosa di magico, di fortemente emozionante, quasi di curativo. E’ l’effetto che ci fa tornare indietro nel tempo, quando gli uomini erano ancora ominidi e le piante insieme agli animali e alle pietre regnavano sul pianeta. E’ un bagno rigenerante nella natura madre.

Foto di Daniele Orusa

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