Predrag Matvejević a Verbania per il festival Letteraltura nel 2009. Foto di Alexander Karelin

Il “breviario Jugoslavo” di Predrag Matvejević

Scrittore e accademico, nato a Mostar da padre russo di Odessa e da madre croata, Matvejević amava definirsi jugoslavo

Crpiemonte
5 min readJul 13, 2020

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di Marco Travaglini

I Balcani sono la polveriera d’Europa, ma restano anche il barometro di quello che è l’Europa. Resto convinto che ora che i nazionalisti hanno portato tutti i popoli alla rovina, toccherà a noi salvare il salvabile”. Parole nette e chiare, tratte da uno dei colloqui di Predrag Matvejević con il giornalista Tommaso Di Francesco, pubblicati in “Breviario Jugoslavo” da Manifestolibri.

Breviario jugoslavo

Scrittore e accademico, nato a Mostar da padre russo di Odessa e da madre croata, Matvejević amava definirsi jugoslavo. Intellettuale finissimo dalla scrittura chiara e potente, ha insegnato letteratura francese all’Università di Zagabria, letterature comparate alla Sorbona di Parigi ed è stato ordinario di slavistica all’Università la Sapienza di Roma e al Collège de France. Era una delle menti più lucide e appassionate, europeo dei Balcani fino al midollo. Il destino terribile della sua Jugoslavia, dissoltasi nel sangue dei conflitti dell’ultima “decade malefica” del ‘900. era probabilmente il dolore più grande che avvertiva la sua coscienza.

Epistolario dell’altra Europa

E non fece mai nulla per nasconderlo. In una intervista diceva, tra le altre cose “la Jugoslavia semplicemente non doveva esistere più,non contava più. E perché non contava? Per loro ( Europa e Occidente, ndr) era stato “solo” un paese non allineato, che poteva rappresentare un equilibrio che conveniva agli uni e agli altri. Troppo al di sopra delle parti. Così questo paese tampone, questo mondo-tampone è stato azzerato nella percezione dell’Europa occidentale. Eppure finché esistevano questi paesi non allineati non esisteva nei paesi arabi il fondamentalismo feroce, non esistevano nell’ex Jugoslavia i nazionalismi micidiali. Era un mondo che veniva dalla subalternità al colonialismo, compresa la ex Jugoslavia sottoposta all’Austria come una parte dell’Italia nel corso della sua storia. Erano paesi che avevano un’esperienza storica comune, aspiravano ad un socialismo diverso. Facevano insieme l’equilibrio del mondo. Finito il non allineamento la Jugoslavia non serviva più. Lasciamola ai suoi demoni, devono aver pensato in Europa e negli Usa, ai demoni del peggior nazionalismo. E’ quello che è stato fatto”. Un “j’accuse” lucido, duro. In “Breviario Jugoslavo” i pensieri di Matvejević sul destino e i drammi del suo Paese vengono ripercorsi attraverso il lungo rapporto che lo scrittore, autore del fondamentale Breviario mediterraneo, ha avuto con il quotidiano del quale Tommaso Di Francesco è condirettore.

La copertina di Breviario Mediterraneo

Dall’incontro personale con Rossana Rossanda, ai suoi contributi diretti sul giornale, alle tante interviste in occasione della pubblicazione dei suoi preziosi testi come Tra asilo ed esilio(1998), Il Mediterraneo e l’Europa (1999), Pane nostro (2010). Fino ai molti colloqui sui difficili momenti della crisi che si è consumata nei Balcani: dalla beatificazione del cardinale Stepinac alla proclamazione unilaterale d’indipendenza del Kosovo nel febbraio 2008, all’arresto di Milosevic e poi di Karadzic, all’incredibile assoluzione del criminale croato Ante Gotovina, alla piena del Danubio dell’aprile 2006.

Predrag Matvejevic

Un libro piccolo nel formato ma grande nei contenuti e nelle riflessioni che propone. Si legge d’un fiato ma poi obbliga alla rilettura, al ripensamento di tante e tali vicende che — come molta parte della storia balcanica — parlano non tanto a quei lembi di terra ma all’intera Europa di oggi. Questo pensatore dalla volontà tenace e dall’incredibile lucidità di pensiero ha sempre creduto nell’Europa e nell’idea che il vecchio continente sarebbe stato capace di mantenere al suo interno la ricchezza delle differenze. “Né le somiglianze né le differenze sono assolute o costanti: talvolta sono le prime a prevalere, talvolta le ultime”. Era consapevole che “la cultura civica si acquisisce più difficilmente di quanto si creda” ma era anche tenacemente convinto che fratellanza e amicizia rappresentassero dei poli attrattivi ben più forti delle divisioni e dei rancori etnici. Vedeva l’identità di popoli e culture scivolare verso un particolarismo pericoloso, divisivo. Ne soffriva perché lui, nato all’ombra del vecchio ponte che unisce le due sponde della Neretva, si sentiva figlio di “un paese senza frontiere dove poi le frontiere si sono costruite”. Ne parlammo un giorno a Verbania, all’inizio dell’estate del 2009. Era ospite del festival di Letteraltura e sostenne un dialogo pubblico con Furio Colombo su un tema dal titolo terribilmente evocativo: “la maledizione della porta accanto”.

Un altro primo piano dell’intellettuale balcanico

Io ero da poco tornato dalla Bosnia e parlammo a lungo di Mostar, dell’Erzegovina, della storia della città dov’era nato, della “guerra in casa” che aveva devastato e diviso quella un tempo era la federazione jugoslava, del suo sentirsi cittadino europeo.Matvejević era animato dall’ottimismo della volontà di un uomo che vedeva nell’Europa una madre che avrebbe ridato ai suoi figli rissosi la giusta collocazione all’interno della grande famiglia del continente. L’Europa, come qualcuno ha scritto con acume “ non era solo il futuro, ma la costruzione politica che avrebbe risolto i problemi del passato. E lui insisteva sul fatto che il Mediterraneo ed i suoi simboli, come appunto il pane, potevano essere il punto di partenza per una nuova cultura dell’uomo veramente europeo”.

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