Il ciclismo dei pionieri: il piemontese Bartolomeo Aymo
Negli anni Venti era un corridore capace di fare la differenza nelle grandi corse a tappe
di Massimo Scavino
“Il ciclismo è la fatica più sporca addosso alla gente più pulita” scriveva il compianto Gian Paolo Ormezzano.
E quando si narra di ciclismo eroico e pionieristico, costellato di sforzi titanici, non si può non fare riferimento al piemontese Bartolomeo Aymo, nato a Virle (To) nel lontano 1989.
Epica fu la sua impresa al Tour de France del 1925, quando affrontò la salita sulla strada sterrata dell’Izoard a piedi, riuscendo, nonostante l’immane fatica, a vincere la tappa di 275 chilometri da Nizza a Briançon.
Quell’anno si piazzò terzo nella classifica finale, mentre il Tour andò ad un altro grande italiano: Ottavio Bottecchia.
Aymo iniziò la sua carriera professionistica nel 1919, ormai trentenne, di ritorno dall’emigrazione in Argentina dove aveva cominciato a correre in bici.
Corse per la Ganna, la Legnano, l’Atala, l’Aiglon-Dunlop, la Mifa Olympic e l’Alcyon e si distinse particolarmente nelle corse a tappe.
Partecipò a sette edizioni del Giro d’Italia tra il 1919 e il 1928, vincendo quattro tappe e concludendo quattro volte sul podio.
Gareggiò anche in tre edizioni del Tour de France tra il 1924 e il 1926, vincendo due tappe e concludendo due volte al terzo e una volta al quarto posto.
La sua carriera si concluse nel 1930 quando, appesa la bicicletta al chiodo, si trasferì a Torino, aprendo un’attività da ciclista in Rondò della Forca.
Per gli amanti delle statistiche è ancora oggi il corridore italiano più anziano ad essere salito sul podio del Giro d’Italia (nel 1928, a 38 anni) e ad aver vinto una tappa del Tour (nel 1926 a 36 anni).