Partigiani a Paraloup

Il debito verso le montagne “resistenti”

Un legame con le popolazioni che consentì anche l’esperienza delle “zone libere” che trovò nel Piemonte del 1944 una realizzazione importante per qualità e diffusione sul territorio

Crpiemonte
5 min readAug 18, 2020

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di Marco Travaglini

Salendo sui monti e percorrendo i sentieri battuti dai partigiani durante i venti mesi della lotta di Liberazione si può misurare quanto forte e radicato sia stato il legame tra gli alpigiani e chi, in quella stagione di democrazia e la libertà, le scelse come terra del rifugio, per resistere e combattere. Un legame con le popolazioni che consentì anche l’esperienza delle “zone libere” che trovò nel Piemonte del 1944 una realizzazione importante per qualità e diffusione sul territorio.

Beppe Fenoglio e le langhe del partigiano Johnny

Furono almeno sedici le esperienze più significative: la celebre “repubblica” della val d’Ossola, la Valsesia, il Biellese orientale, le valli di Lanzo, la val Chisone, le valli cuneesi Varaita, Maira, Grana, Stura, Gesso; le alessandrine val Curone e Borbera e infine il territorio collinoso delle Langhe con la “repubblica” di Alba e quello dell’alto Monferrato a sud del Tanaro. Territori nei quali, esautorate le autorità civili e militari nazifasciste, il controllo delle formazioni partigiane diede spazio a un potere civile e amministrativo esercitato dai Comitati di liberazione nazionale, attraverso la sperimentazione di organismi come le giunte provvisorie di governo.

Garibaldini di Moscatelli in Valsesia

Il desiderio di partecipazione alla vita democratica si manifestò con intensità. Tenere insieme la memoria di questi episodi decisivi per la formazione della Repubblica e il futuro che passerà in gran parte ancora attraverso le Alpi, punto d’unione tra culture e popoli, realtà anticipatrice dell’idea stessa d’Europa, rappresenta una buona ragione per “fare memoria” e pensare all’oggi. Contro i nazisti la gioventù dissidente e ribelle nel ’43 profittò della geografia protettrice delle montagne per nascondersi, evitare il lavoro obbligatorio in Germania, formare le bande partigiane,avviare l’insurrezione armata.

Un cippo sul confine della Repubblica partigiana dell’Ossola

Una ragnatela di sentieri, punteggiata da alpeggi, piccole borgate, passaggi su crinali e bocchette,boschi e pietraie. Ne parla Diego Vaschetto in un libro bello e utile, “Sentieri della Resistenza. Itinerari escursionistici sui sentieri partigiani del Nordovest” ( Edizioni del Capricorno). In Piemonte, nella prima fase, le formazioni partigiane si costituirono soprattutto nelle valli di montagna, partendo da quelle delle Alpi Marittime, attraversate dopo l’8 settembre da migliaia di soldati sbandati.

Il monumento ai partigiani al Colle del Lys

Si trattò di formazioni autonome, non legate, almeno nei primi tempi, ad alcun partito politico: in val Pesio con il capitano Cosa, in val Casotto con il maggiore degli alpini Enrico Martini “Mauri”, intorno a Boves con Ignazio Vian, in val d’Ossola con Alfredo e Antonio Di Dio, in val Strona con Filippo Beltrami, in val Toce con Superti, Cefis, Marcora; in val Chisone con il sergente alpino Maggiorino Marcellin “Bluter”.Si formarono anche formazioni politicamente più organizzate come le unita gielliste legate al Partito d’Azione (tra la val Gesso e la valle Grana) guidate da politici e intellettuali come Duccio Galimberti, Dante Livio Bianco, Benedetto Dalmastro ed ex ufficiali e dell’Esercito come Luigi Ventre, Renzo Minetto, Giorgio Bocca, Nuto Revelli. I “garibaldini”, legati al PCI e alla sinistra, si aggregarono attorno a personalità come Pompeo Colaianni “Barbato”, in valle Po, Giancarlo Pajetta, Antonio Giolitti e Gustavo Comolli, Guido Sola, Battista Santhià e Francesco Moranino “Gemisto” nel Biellese; in Valsesia con Vincenzo Moscatelli “Cino”, Eraldo Gastone “Ciro” e Pietro Secchia “Vineis”. Nel novembre 1943 oltre metà dei quattromila partigiani si trovavano in Piemonte, la regione con la resistenza più organizzata e attiva.

Lapide al Cortavolo di Megolo in memoria dei partigiani di Beltrami

Le nostre montagne sono state terra di nascondiglio e fuga ma anche di scambio e di incontro. Una realtà con la quale si sono confrontati i partigiani nelle zone di frontiera e di passaggi, dal sud al nord del Piemonte.In quella vicenda, nelle scelte che vi confluirono s’intravvede anche il segno del riscatto dei montanari, della rivendicazione di un’attenzione nei confronti della montagna che, nel tempo e ancor più oggi, diventa doverosa per saldare un debito ancora aperto.

Targa in ricordo di Duccio Galimberti

Senza l’aiuto degli alpigiani, dei contadini di montagna, delle donne e degli uomini di quelle comunità i partigiani non avrebbero potuto resistere, difendersi, contrattaccare. Nemmeno la ricostruzione e il “miracolo economico” sarebbero stati possibili senza quell´esercito di braccia che dalle vallate del Piemonte e dalle realtà alpine e prealpine affluì verso le fabbriche del fondovalle e della pianura. Non solo il debito del paese verso le popolazioni e l’ambiente della montagna non è stato saldato ma è aumentato drammaticamente.

Sui sentieri della Libertà di Diego Vaschetto

C’è ancora un enorme distanza in termini di redditi, possibilità economiche, qualità della vita che intercorre tra pianure e montagne. Occorre far sì che, ripensando ai venti mesi della lotta partigiana in Piemonte, memoria e futuro si possano incontrare, sostenendo lo sviluppo delle aree montane come un vero e proprio dovere costituzionale verso popolazioni e territori ai quali in larga parte dobbiamo libertà e sviluppo.

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