
Il Grande Torino, un mito immortale che resiste nel cuore degli italiani
La tragedia colpisce profondamente tutto il paese. Il Torino era il simbolo della ricostruzione in atto e stava ricostruendo la nostra immagine all’estero. Il Tifone titola: “Non credevamo di amarli tanto”. L’ultimo atto della sciagura: il River Plate decide di giocare in onore degli scomparsi.
di Mario Bocchio
La tragedia colpì profondamente il paese in quanto era molto difficile pensare che dei giovani nel pieno del loro vigore, sopravvissuti ad un conflitto feroce come quello che si era appena concluso, potessero morire in quel modo. Inoltre il Grande Torino era stata uno dei simboli del ritorno alla pace dopo le tragedie della guerra e aveva contribuito positivamente a ricostruire la nostra immagine all’estero, dopo il Ventennio della dittatura fascista e la disgraziata decisione di Mussolini di aggredire la Francia e di allearsi alla Germania nazista, per effetto delle tante tourneè all’estero cui aveva dato luogo in quegli anni.
Lo sbigottimento fu probabilmente il sentimento dominante nel corso dei funerali, il sentimento comune alle decine e decine di migliaia di persone che si strinsero intorno ai familiari dei caduti in quel giorno terribile. Fu un titolo del Tifone, giornale sportivo di Roma, a rendere in maniera esemplare l’ondata di affetto che accompagnò i giocatori nel loro ultimo viaggio terreno: “Non credevamo di amarli tanto”.

Ma non soltanto l’Italia scoprì il suo infinito amore verso una squadra che aveva significato tanto nella storia non solo del suo sport nazionale, ma anche del costume. L’ultima appendice della sciagura fu la gara tra una squadra composta da molti dei migliori elementi del nostro calcio, il Torino Simbolo, e il River Plate. I dirigenti argentini infatti, appresa la notizia della tremenda sciagura, avevano deciso di mettersi a disposizione per una amichevole a favore dei familiari delle vittime e senza pretendere una sola lira, sancendo nel modo migliore la solidarietà internazionale verso una squadra e una città così duramente colpite. La partita del 26 maggio, finita 2–2, suggellò la storia di una squadra che non sarebbe più uscita dal cuore degli Italiani.
Una perdita irreparabile
Con la scomparsa del Grande Torino comincia la notte più buia del nostro calcio. La squadra granata avrebbe fornito l’ossatura della nazionale ai mondiali dell’anno sucessivo. Impossibile rimediare alla scomparsa di assi come Mazzola, Maroso o Bacigalupo. Un colpo mortale per le ambizioni dell’Italia.
Il terribile schianto dell’aereo del Grande Torino sul muraglione di Superga, avrebbe riverberato per molti anni i suoi tragici effetti sul calcio italiano, tanto da assumere valenza epocale. Il Grande Torino era infatti quanto di meglio aveva espresso il nostro calcio nel periodo che faceva seguito alla guerra mondiale e già si parlava dell’Italia come della squadra da battere ai mondiali del 1950. Gli stessi brasiliani del resto avevano potuto ammirare all’opera lo squadrone granata nel corso di una tourneè del 1948 durante la quale soltanto il Corinthians era riuscita ad avere la meglio sui torinisti e avevano appurato che col loro apporto, la squadra italiana sarebbe stato un osso duro per tutte le pretendenti al titolo, a partire naturalmente dallo stesso Brasile.

La perdita più irreparabile era sicuramente quella di Valentino Mazzola, uno tra i maggiori fuoriclasse mai espressi dal calcio mondiale, il quale dopo una serie di difficoltà dovute più che altro al peso della responsabilità che si sentiva piombare addosso ogni volta che indossava la maglia azzurra (Parola al proposito disse: “Soffriva solo due cose. Quella mignatta di Depetrini che in campo gli toglieva il fiato e la maglia azzurra che lo innervosiva in maniera incredibile”), era riuscito ad imporre il timbro della sua classe anche alla nostra maggiore rappresentativa diventadone il vero e proprio faro e si apprestava a far vedere ciò di cui era capace anche ai mondiali che si sarebbero svolti nel 1950. Ma oltre a quella di Mazzola pesavano sul nostro calcio le scomparse di giocatori giovani e in grandissima ascesa come Bacigalupo, Maroso, Martelli o di anziani ormai nella piena maturità agonistica come Ossola, Menti e Ballarin. Per non tacere poi di autentici fuoriclasse come Loik e Gabetto. La scomparsa di tutta una generazione di campioni, in un momento assai delicato come quello successivo alla fine della guerra, che aveva impedito per ovvi motivi il ricambio generazionale del nostro calcio d’elitè, costituiva un colpo mortale per le ambizioni presenti e future della nostra Nazionale. Il calcio italiano veniva a trovarsi in pratica all’anno zero.

Eredità difficile
Grezar era stato il primo a rientrare a Torino dopo la guerra. Attaccatissimo alla squadra, come in quel 4 maggio terribile. Per il Torino si apre un periodo molto difficile. Novo prova a ricostruire una squadra degna dei caduti, ma è pressochè impossibile ridare vita ad una compagine irripetibile.
Nel mosaico di storie umanissime che avevano composto l’irripetibile miscela del Grande Torino, una di quelle che risaltavano maggiormente era quella di Grezar. Il mediano era sempre stato attaccatissimo al Torino. Tra l’altro proprio lui era stato il primo a rientrare in città dopo la guerra e questo fatto aveva commosso Novo sino alle lacrime. Era talmente attaccato alla maglia granata da far dire al grande Carlin:”…crediamo che sarebbe morto di tristezza se non fosse perito col Torino. Non riusciamo a vedere Grezar come unico superstite della squadra granata. Troppo l’amava. Morire, ma essere in squadra” . In quel terribile 4 maggio era in squadra…

La tragedia di Superga avrebbe pesato per molti anni sul Torino che, naturalmente, non riuscì mai a risollevarsi a quei livelli, anche perchè da quel momento Novo non si riprese più dal terribile colpo infertogli dal destino.

Per capirlo basterebbe andare a rileggere lo struggente ricordo che egli fece ad un anno di distanza dalla tragedia su “Lo Sport”: “Io li rivedo tutti. Sono tutti qui con me, insieme ai ragazzi di oggi. Se appena chiudo gli occhi li trovo seduti in sede, in via Alfieri. Con ‘Baci’ c’è Puccioni e c’è Romano, con Ballarin e Maroso ci sono Cuscela e Molino, e Giuliano è con Rigamonti. Li trovo tutti, tutti gli altri con quelli di oggi. Una grande famiglia. La famiglia del mio Torino. Oggi davvero parlando di loro che sono i prediletti non posso dimenticare quelli che ogni domenica indossano ancora la maglia granata e con lo spirito agonistico di Mazzola e compagni, anche se non con la loro grande abilità, continuano minuto per minuto la grande storia. Se io non sentissi, o meglio non avessi sentito, l’imperiosa necessità di continuare subito avrei tradito la volontà dei miei ragazzi”.

Purtroppo Novo, nella frenesia di ricominciare e di ricostruire qualcosa che potesse almeno lontanamente assomigliare alla sua creatura fece molti errori, anche se comprensibili, vista la fretta e la disperazione che accompagnarono le sue prime mosse. Probabilmente in questi errori fu aiutato anche dall’aver capito in cuor suo la pratica impossibilità di ripetere il miracolo che aveva portato alla nascita del Grande Torino. purtroppo per lui, per i tifosi del Torino e per gli sportivi italiani, il Grande Torino non esisteva più e non ve ne sarebbe mai più stato un altro.