Il Diavolo Rosso

Il mito di Sciur Diaul

Le imprese dell’astigiano Giovanni Gerbi divennero ancora più leggendarie in occasione delle sconfitte

Crpiemonte
5 min readOct 22, 2020

--

a cura di Mario Bocchio

Giovedì 13 maggio 1909. Ore 2,53. È notte fonda. Dopo mesi di attesa, finalmente, è giunto il momento tanto sognato. Un gruppo di 127 uomini, le loro biciclette. La folla che invade le strade, in festa: è nato il Giro d’Italia. Una prima tappa di 397 chilometri, giusto per scaldare le gambe, dal capoluogo lombardo a Bologna, passando per Padova e Ferrara. Tra i corridori il più atteso e conosciuto è sicuramente lui, Giovanni Gerbi, il leggendario Diavolo Rosso da Asti. A 24 anni ha già preso parte a tre Tour de France, ha portato a casa la vittoria del primo Giro di Lombardia, di tre Giri del Piemonte, ha trionfato nella celebre Coppa del Re e ha all’attivo il successo nella corsa italiana più ambita di inizio secolo, la Milano-Torino.

Cartolina di Giovanni Gerbi con autografo

Il mito del Sciur Diaul era iniziato nel 1905. La leggenda vuole che, durante una gara, Giovanni cadde rovinosamente e si ferì. Fermatosi in una farmacia a cercare soccorso, vide altri corridori che lo stavano raggiungendo e superando. Non ci pensò un istante: lasciò le cure, prese la sua bici bendato grossolanamente e si gettò all’inseguimento del gruppo. Il sangue che sgorgava dal suo corpo rese ancora più scarlatta la sua tipica maglia da gara rossa. La sorte volle che la corsa passava proprio in quegli istanti da un paesino piemontese dove era in via di svolgimento una processione. Gerbi aveva già recuperato, era davanti a tutti, pedalava con un’andatura folle e indemoniata: alla sua vista, il parroco dovette interrompere la cerimonia. Con gli occhi pieni di stupore e ammirazione, davanti ai fedeli, il prete gli diede del Diaul. Del Diavolo Rosso.

Uomini grossi come alberi
che quando cerchi di convincerli
allora lo vedi che sono proprio di legno.
Diavolo Rosso dimentica la strada
vieni qui con noi a bere un’aranciata
contro luce tutto il tempo se ne va…
(Paolo Conte, “Diavolo Rosso”, 1982)

La bicicletta di Giovanni Gerbi

La tappa è appena partita, in quella notte di primavera del 1909. A poco più di un chilometro dal via, tra la folla impazzita, nel buio di una città ancora poco illuminata, un bambino sfugge alle mani di suo padre. Vuole toccare ad ogni costo il suo idolo. Il bimbo corre come un forsennato incontro al gruppo, corre incontro al mito, corre incontro al Diavolo. E così, dopo pochi minuti di gara, ecco la prima caduta della storia del Giro. Sono sei o sette i corridori a ritrovarsi a terra dopo il capitombolo. Ma chi tra loro ha la peggio è proprio lui, Giovanni Gerbi. Il Sciur Diaul, si rialza, urla e impreca. Se la prende col bambino, se la prende con suo padre che non l’ha tenuto a bada. È furioso. Non tanto per le botte prese, per la mano sanguinante, per il ginocchio contuso e dolorante. Ma perché il suo sguardo, che è corso subito verso la sua bici, la sua “macchina”, ha già capito tutto: la ruota anteriore è spezzata, la forcella è piegata.

Un anziano Giovanni Gerbi posa a fianco di un manifesto che lo ritrae

Le regole del Giro sono chiare: i corridori devono essere messi tutti sullo stesso piano, a nessuno è consentito partire con una bicicletta di scorta. In caso di guai meccanici, l’unica soluzione è ingegnarsi per rimettere in sesto da sé la bici. Nel cuore della notte milanese, il Diavolo è costretto a prendere in spalla il suo mezzo, tornare indietro e correre verso l’officina della Bianchi (tra i più importanti e prestigiosi marchi della produzione da bici da corsa), aperta anche a quell’ora, data la mole di gente per strada. Ci vogliono più di tre ore per sistemare la compagna di viaggio del Sciur Diaul. Il gruppo ormai è lontano, direzione Padova, e arriverà al traguardo di tappa di Bologna dopo 14 ore (quattordici!) passate in sella tra le strade dissestate del nord Italia. Ma i sogni di gloria del Diavolo Rosso sono già svaniti. Il Giro di Giovanni Gerbi, il più atteso tra i 127 uomini al via, è finito prima di cominciare.

La maglia rossa, usa ai trionfi, sembra sanguinare di strazio

Il Diavolo Rosso in azione

Poche centinaia di metri: un bimbo avanti, un capitombolo, un piccolo groviglio di uomini e macchine, poi tutti, uomini e macchine, si rialzeranno incolumi, tranne una macchina — piangente, di dolore e di rabbia, il Campione. Poi, nel chiarore dell’alba nascente, brancolerà un uomo, come sperso, in cerca di un vilissimo cerchio metallico da buttare in faccia alla Sfortuna, passerà un bronzeo volto rigato di lagrime e con la febbre negli occhi, in cerca di un volto amico, di una parola di conforto, di una leva, di un martello, di una fucina. La maglia rossa, usa ai trionfi, sembrò sanguinare di strazio. Ma l’angoscia e il danno devono piegare davanti all’energia indomata dei giorni migliori: l’uomo rialza la fronte, superbo: se l’uomo non è vinto ancora anche la macchina deve rinascere. E rinasce. Dopo più di tre ore la macchia rossa riprende la via, che poteva essere della vittoria e che diventa quella del Calvario. (da “La Gazzetta dello Sport” del 14 maggio 1909).

Bibliografia: Beppe Conti, 100 storie del Giro (1909–2009), Torino, Graphot, 2009;
Paolo Colombo, Gioachino Lanotte, La corsa del secolo. Cent’anni di storia italiana attraverso il Giro, Milano, Mondadori, 2009.

--

--

Crpiemonte
Crpiemonte

Written by Crpiemonte

Il canale Medium ufficiale del Consiglio regionale del #Piemonte, dove raccogliamo notizie e approfondimenti.

No responses yet