Il monte magico
A due passi da Torino, il monte Musinè non è solo oggetto di leggende, è anche meta di una interessante escursione
di Pino Riconosciuto
E’ visibile da molte zone di Torino, all’imbocco della Valle di Susa, con quell’inconfondibile croce piantata in cima. Il Musinè è da tempo il monte dei torinesi, raggiungibile in qualche decina di minuti dalla città per la sua vicinanza, meta di passeggiate alle sue pendici, segnate dalla pista tagliafuoco che unisce più comuni, e occasione di ascesa sul sentiero ripido che in poco più di un’ora mezza porta dai 380 metri del campo di calcio di Casellette ai 1150 metri della vetta.
Molti sono convinti che il suo nome significhi “monte degli asini” (Mont Asinè). In realtà deriva dal milleduecentesco “Vesinerius”, monte del villaggio, a significare l’importanza che aveva per gli abitanti dei villaggi circostanti che lo utilizzavano per fare legna, pascolare gli animali, raccogliere frutti selvatici, erba, foglie, e qualunque cosa la natura del monte potesse offrire.
Anche il suo aspetto particolare, rigoglioso di vegetazione alla base e fino a metà costa, brullo e roccioso verso la cima - nonostante la relativamente bassa quota dovrebbe permettere lo svilupparsi della vegetazione - ha contribuito a far nascere l’alone di mistero che lo circonda. Ricco di menhir, graffiti antichi e formelle scavate nella roccia nell’antichità remota, per molti è luogo di riti esoterici, serbatoio di energia, dimostrato anche dai numerosi fuochi che apparirebbero e scomparirebbero nella notte, addirittura porta per entrare in un’altra dimensione.
Intorno al Musinè sono fiorite molte leggende. Da quella che vede il re Erode, all’indomani della strage degli innocenti, costretto a sorvolare il monte sul suo carro di fuoco (il che spiegherebbe i bagliori che molti dicono di aver visto intorno alla cima), all’essere luogo di atterraggio degli Ufo (un’altra spiegazione per le luci e i bagliori inattesi), fino ai riti druidici e satanici che si svolgerebbero sui suoi versanti.
La stessa croce bianca alta quindici metri, posta sulla sua cima nel 1901, è un dichiarato riferimento alla croce fiammeggiante con la scritta “In hoc signo vinces” che sarebbe apparsa a Costantino I alla vigilia della battaglia contro il rivale Massenzio proprio sulle pendici del Musiné. Per ricordare quella vicenda alla base della croce è stata posta una iscrizione con firme importanti, a partire da quella del re Vittorio Emanuele III, che la collega proprio a quell’episodio: “A perpetuo ricordo della vittoria del cristianesimo contro il paganesimo riportata in virtù della croce nella valle sottostante in principio del secolo IV”.
Per raggiungere in cima la croce è possibile salire da molti sentieri. Il più diretto e frequentato, soprattutto nei mesi più freddi per la felice esposizione, è quello che parte dal campo sportivo di Casellette. La mulattiera acciottolata è accompagnata dalle stazioni della Via Crucis fino al Santuario di Sant’Abaco, raggiungibile in circa un quarto d’ora. La prima cappella dedicata al culto del santo risalirebbe al 1500. A metà 1800 invece è datata la costruzione definitiva, compresa la via crucis che l’anticipa sul cammino. La Festa di Sant’Abaco, ogni 19 gennaio, porta al santuario molte persone dalle cittadine vicine.
Per salire occorre prendere il sentiero segnalato alle spalle del santuario. Si inerpica su una base terrosa e ghiaiosa, con alcune zone pietrose e rocciose su cui occorre fare attenzione per non scivolare. Non è un sentiero difficile, ma è abbastanza ripido e scivoloso, tanto che soprattutto in inverno è molto frequentato dagli escursionisti come preparazione per la bella stagione. Anche con il buio non è raro vedere persone che salgono e scendono alla luce della torcia frontale. Dal santuario in circa un’ora e mezza si arriva alla vetta, un pianoro erboso che offre una splendida vista. Da lì si osserva una gran parte dell’arco alpino, dal Monviso fino al gran Paradiso passando per l’Orsiera Rocciavrè, il Rocciamelone, le Valli di Lanzo. Non manca lo sguardo sulla pianura e sulla città di Torino. Una tavola di orientamento in acciaio inossidabile permette di identificare le principali montagne visibili da quel punto a occhio nudo nelle giornate di bel tempo. Un colpo d’occhio spettacolare che ripaga della fatica necessaria per arrivare fino in cima.