Il Moro e il Carnevale di Mondovì
Il Carnevale di Mondovì - Carlevè ‘d Mondvì in dialetto piemontese - ha origini antiche, risalenti al XVI secolo e ritorna ogni anno ad allietare gli abitanti del basso Piemonte e non solo coinvolgendo tutta la città per almeno dieci giorni
La figura del Moro che raduna il popolo per i festeggiamenti del Carnevale trae spunto da un automa in ferro realizzato nella seconda metà del diciottesimo secolo da un artigiano locale, Matteo Mondino. L’automa, con un martello in mano per battere le ore su una campana, è stato collocato sotto un baldacchino posto sopra la facciata della chiesa di San Pietro, nel centro di Mondovì dove sta ancora adesso.
“Il più audace dei capi Saraceni, il meno crudele e anche l’ultimo presente sulle terre del monregalese”.
Secondo la storia il Moro si rifugia presso la Torre dei Saraceni che domina la Val Tanaro a picco sull’abitato tra Garessio e Ormea, dove l’Imperatore Ottone I lo assedia per scacciarlo definitivamente dalle nostre terre. Ma tutto finirà bene, e il Moro potrà mantenere la sua signoria sui territori nel periodo di Carnevale.
Il Moro diventa quindi uno dei simboli di Mondovì, insieme a quello più antico della Torre del Belvedere e diventa maschera ufficiale nel 1950, con la prima interpretazione da parte di Bastianin Vinai.
La Béla Monregaleisa. Rapita dal Moro durante una delle sue scorribande, Bella si ritrova a vivere numerose avventure al seguito del capo dei Saraceni che la metterà al servizio della principessa Adelasia. Una volta libera Bella parte a capo di un gruppo di persone per inseguire il suo sogno: costeggiando per una settimana il corso del Tanaro giunge nel punto in cui il torrente Ellero confluisce nel Tanaro, risale una collina denominata Monte di Vico: Mondovì e lì si stabilisce creando un grazioso villaggio.
Bella voleva che quella collina fosse chiamata Monteregale: “il monte in cui tutti gli abitanti possano avere gli stessi diritti dei re…”
“Ogni anno a Carnevale”. È questo il titolo del libro promosso dalla “Famija Monregaleisa” che racconta la storia da cui nasce e si sviluppa il Carlevé ‘d Mondvì. Cinzia Ghigliano e Marco Tomatis hanno lavorato sulla “storia del Carlevé”, uno dei pochi che vanta alle sue spalle una vicenda con spunti reali, e con precisi riferimenti storici e geografici: gli stessi spunti che gli autori hanno ripreso e sviluppato. La vicenda narrata si sviluppa quindi in luoghi realmente esistiti ed ancora oggi visitabili, come la torre della frazione Barchi di Garessio, rifugio dei saraceni durante le scorribande dalla Liguria al basso Piemonte tra l’800 ed il 900. Oppure ancora, come la “Rocca dell’Adelasia”: si tratta di un parco che ricade nel Comune di Cairo Montenotte, pensato già nel 1976 e inaugurato nel 1989, che si sviluppa su un’area estesa, di oltre 1.200 ettari e comprende al suo interno un vero e proprio patrimonio naturalistico, dal punto di vista della flora (con formazioni boschive di latifoglie, castagneti, aceri, pini silvestri, faggi e anche lecci), della fauna (caprioli, daini, poiane, ma anche sparvieri e gamberi di fiume) e della geo-morfologia (rocce erose in modo pittoresco, fenomeni carsici, grotte — le caratteristiche “tane”, secondo il dialetto locale). Al centro del parco svetta la “rocca dell’Adelasia”, una formazione rocciosa che domina la zona, da cui si può abbracciare con lo sguardo tutta l’ampia area circostante.
Ed ecco che la concretezza dei luoghi geografici si sposa con i personaggi della storia locale, dove la realtà si intreccia con la fantasia. La rocca trae il suo nome dalla principessa Adelasia, uno dei personaggi principali del Carlevé ‘d Mondvì, figlia dell’imperatore Ottone I, rifugiatasi nei boschi con l’amato Aleramo (altra figura di rilevanza storica assoluta, che diede il nome ad una “marca” del territorio ligure e fu capostipite di una stirpe che dominò a lungo su quelle terre) per sfuggire alla collera del padre, inizialmente ostile all’unione dei due giovani. Sarà proprio ai piedi della rocca che i destini di Adelasia ed Aleramo si intrecceranno con quelli del Moro di Mondovì.
Secondo la tradizione il Moro, ultimo saraceno presente sui territori monregalesi, come detto, trova rifugio proprio presso la Torre dei Saraceni che domina l’Alta Val Tanaro tra Garessio e Ormea. Qui viene assediato dall’imperatore Ottone I che intende scacciarlo definitivamente. Ma grazie ad un compromesso il Moro può tornare a governare sul territorio nel periodo di carnevale. La benevolenza dell’imperatore è dovuta al fatto che il Moro ha offerto ospitalità e protezione alla principessa Adelasia, figlia dell’imperatore, fuggita con lo scudiero Aleramo. Con la benedizione del padre la donna può finalmente coronare il suo sogno d’amore. I due giovani fondano l’odierna Alassio e danno origine alla dinastia degli Aleramici.
Da un capo saraceno all’altro, al Moro fa da controcampo il crudele Ramset che ordinerà la decapitazione del povero contadino Protasio Gorrisio, reo di aver rifiutato la mano della figlia al capo di tutte le orde saracine. La struttura del famoso Bal do Sabre di Bagnasco si snoda attorno alla pubblica esecuzione capitale del povero Protasio, ma in origine il Bal do Sabre era una danza rituale, densa di significati allegorici che rappresentava il risveglio primaverile della natura dopo il letargo invernale. E il risveglio primaverile è rappresentato anche da “J’Aboi e patoci” del Carnevale storico di Ormea che nasce però sempre in contapposizione alla scacciata dei saraceni dall’Alta valle del Tanaro: raffigura infatti la rappresentazione della storica festa, che i montanari dell’Alta Val Tanaro iniziarono nel X secolo quando riuscirono a sconfiggere e ad allontanare i Saraceni che per almeno 60 anni avevano imperversato nel territorio.
Fonte e fotografie: Carnevale di Mondovì