Il Museo Egizio ha quasi duecento anni
SI avvicina l’importante compleanno di una struttura voluta nel 1824 da Carlo Felice di Savoia
di Pino Riconosciuto
Tra due anni scoccherà il bicentenario del Museo Egizio di Torino. E’ il primo museo egizio al mondo per età, essendo stato fondato nel 1824, con gli oltre 37 mila reperti posseduti è il più importante dopo quello del Cairo.
La storia del museo è intrecciata con la lungimiranza del re Carlo Felice di Savoia, il sovrano che decise di dare vita al museo, e con l’attività di uno straordinario piemontese dell’epoca, Bernardino Drovetti.
Figlio del notaio Giorgio Drovetti e di Anna Vittoria Vacca, nacque a Barbania il 4 gennaio 1776. Militare nell’esercito napoleonico nella campagna d’Egitto, rimase ad Alessandria dove ebbe importanti incarichi per il governo francese, fino a diventare console generale. A fianco al lavoro diplomatico, coltivò il suo interesse per l’archeologia dando vita a importanti scavi che lo portarono ad avere una enorme collezioni di reperti, circa 8000.
Ma le campagne di ricerca erano molto costose, e Drovetti decise di rientrare delle spese proponendo l’acquisto della sua collezione ai sovrani europei, a partire da quelli sabaudo e francese.
Qui si inserisce la lungimiranza di Carlo Felice e dei suoi amministratori. In una lettera del gennaio 1820 al ministro degli interni sabaudo, il conte Prospero Balbo, uno dei principali mediatori per la compravendita, Carlo Vidua, enumera i motivi per cui occorre acquistare la collezione: l’arricchimento culturale che avrebbe portato al regno, il polo di attrazione e di visibilità che avrebbe rappresentato un museo unico al mondo per tutti gli amanti dell’arte e della cultura, anche di altri paesi. Non ultima, una giustificazione più sentimentale: era opportuno che il lavoro di raccolta di un piemontese trovasse a Torino un prestigiosa ribalta.
Il 24 marzo 1823 ad Alessandria d’Egitto venne firmato l’atto notarile con cui Bernardino Drovetti nominava Domenico Pedemonte suo procuratore nella trattativa per la vendita della collezione di antichità egizie al Regno di Sardegna. La trattativa andò in porto nel gennaio 1824, quando la vendita venne conclusa con il pagamento di una somma di 400 mila lire.
Molto complesso fu il trasporto dei reperti da Alessandria d’Egitto a Torino. Giunti al porto di Livorno, vennero trasferiti via nave a Genova e da lì, a bordo di carri militari trainati da cavalli, fino a Torino, attraverso mille peripezie dovute alla precarietà delle vie di comunicazione e alla necessità di reperire cavalli in grado di alternarsi nel traino dei pesantissimi mezzi.
La sede del museo venne individuata nell’antico Collegio dei Nobili. Al primo piano vennero poste le Statue, dopo alcuni calcoli che garantirono la tenuta delle volte sotto l’enorme peso. L’allestimento attirò subito l’attenzione degli appassionati e di importanti studiosi, primo tra tutti Jean François Champollion. L’illustre egittologo che nel 1822, insieme a un collega britannico, aveva decifrato i geroglifici presenti sulla stele di Rosetta, fu subito colpito dall’importanza dei reperti presenti nel museo e cominciò a studiarli con tanta applicazione da giungere a chiedere di poterli portare con se per gli approfondimenti necessari. L’autorizzazione non gli venne naturalmente concessa e lo portò ad attriti con il conservatore del museo, Giulio Cordero di San Quintino, il nobile che aveva seguito passo dopo passo l’arrivo dei reperti e la loro collocazione negli spazi scelti e che ora guidava il polo espositivo.
Bernardino Drovetti in tarda età tornò in Piemonte, dove visse gli ultimi anni tra Barbiana e Torino. Qui morì il 9 marzo 1852, ora è sepolto nel Cimitero Monumentale.