Il primo traforo alpino, il “Përtus dël Viso”
Nel 1475 ebbe inizio la realizzazione del “Buco di Viso”, oggi grande attrazione turistico - culturale al confine tra il Piemonte, zona del Cuneese, e la Francia, ma ai tempi di Ludovico II Marchese di Saluzzo rappresentava lo sbocco al mare per le valli del Sud del Piemonte e agevolava il commercio dell’oro bianco, il sale
a cura di Mario Bocchio
Al confluire della Val Varaita e la Valle del Po, la vallata pianeggiante che conduce al gruppo alpino del Monviso e dalle cui sorgenti nasce l’omonimo fiume, si scorge il piccolo comune di Saluzzo.
Abbracciando un territorio così vasto, Saluzzo fin dalle sue origini medievali poté svilupparsi dal punto di vista storico e culturale nel prestigioso marchesato omonimo. Intrattenendo stretti rapporti con la vicina Francia e con il Marchesato di Mantova, Saluzzo mantenne la propria autonomia politica, giungendo perfino a contendere con i Savoia il predominio dello stesso Piemonte.
Alla fine del Quattrocento, sotto l’egemonia di Ludovico II del Vasto, il Marchesato di Saluzzo si apprestava a toccare l’apice del suo splendore. Il piccolo regno esercitava un ruolo tutt’altro che secondario sulla regione cisalpina, e così pure sulla scena internazionale, dovuto in gran parte alla strategica posizione territoriale, che rendeva il Marchesato particolarmente ambito dalla Francia per le tratte commerciali.
Queste ultime erano rese estremamente impervie dalla barriera naturale imposta dalle Alpi: l’unico accesso consentito era il Colle delle Traversette, valico alpino posto a un’attitudine di 2950 metri il cui difficoltoso attraversamento procurava non pochi danni alle spedizioni. Per incrementarei i traffici commerciali e portare avanti la politica tradizionale filofrancese, nel 1479 Il Marchese di Saluzzo Ludovico II inviò una richiesta ufficiale al Parlamento di Grenoble per realizzare una galleria sotto il Monviso che rendesse più agevole il passaggio tra le sue terre e il Delfinato: Il Buco di Viso (Përtus dël Viso in piemontese).
Scavato sotto la cresta ovest del Monte Granero ad un’altitudine di 2882 metri, il traforo avrebbe accorciato il viaggio usuale di poche centinaia di metri, ma avrebbe permesso di evitare le ultime rampe del sentieri che, soprattutto sul versante italiano, esponevano le carovane su paurosi strapiombi. In origine misurava circa 100 metri di lunghezza (mentre attualmente è lungo circa 75 metri a causa dell’erosione dei fianchi della montagna) e permetteva appena il passaggio di un uomo e di un mulo carico di materie preziose.
Il Buco era senz’altro un progetto ambizioso, ma i vantaggi per entrambe le parti sarebbero stati notevoli. Il commercio del sale in arrivo dalla Provenza era un’opportunità, ma si suppone che furono i disegni espansionistici a convincere il re di Francia e il parlamento transalpino a realizzare l’opera: con la nuova galleria, infatti, il percorso sarebbe stato più sicuro anche per un eventuale passaggio degli eserciti.
Le difficoltà tecniche di realizzazione dell’opera erano molteplici: rompere le dure pietre della catena del Monviso senza poter usufruire dei mezzi esplosivi (all’epoca ancora sconosciuti in Occidente) costringevano a ricorrere a procedimenti antichi, come quello di surriscaldare la roccia fino a farla calcificare, oppure intridere le pareti con grandi masse di una soluzione di acqua bollente e aceto gettata con forza al fine di disgregarla anche internamente; senza considerare l’approssimazione dei rilevamenti topografici del tempo.
Questi limiti evidenziano la straordinarietà dell’opera, che in soli due anni dall’accordo tra i regnanti vedeva i due versanti delle Alpi, per la prima volta nella storia, collegati.
Durante i secoli si sono verificate diverse chiusure e riaperture per impraticabilità o lavori di manutenzione, ma il Buco di Viso rappresenta oggi una delle opere di ingegneria più importanti del periodo rinascimentale italiano. Undici anni prima della scoperta dell’America, due mondi creavano un passaggio per unirsi per sempre.