Io parto per La Merica
I canti dell’emigrazione piemonteseraccontati da Valter Giuliano in un volume della collana “I tascabili di Palazzo Lascaris”
di Carlo Tagliani
Partono i Piemontesi. Anche loro partono. Emigrano. Fuggono dalla miseria, dalla guerra, a volte dalla persecuzione politica. A volte vanno in cerca di fortuna, per migliorare le loro vite, per fare soldi da mandare a casa ad alleggerire la miseria di chi resta. Partono i piemontesi di ieri come i migranti di oggi. Negli occhi la disperazione e la speranza, nel cuore l’angoscia di chi affronta strade mai percorse e un archivio di ricordi, di affetti famigliari, di amori, che aiuteranno ad affrontare i nuovi orizzonti. Insieme a tutto questo portano con loro la lingua dei padri, la musica, i canti, i balli della tradizione. Pochi torneranno, molti impianteranno le loro nuove esistenze nei mondi nuovi di cui partono alla scoperta.
L’esodo dei migranti, che ha visto distribuirsi nel mondo, nel corso degli anni, quasi 27 milioni di italiani e conta oggi oltre 6 milioni di “piemontesi nel mondo”, riuniti in circa 200 associazioni, è rievocato da Valter Giuliano, componente della Rete italiana di cultura popolare, in apertura delvolume della collana I tascabili di Palazzo Lascaris dedicato ai canti dell’emigrazione piemontese. Ieri come oggi - ricorda l’autore - ad accompagnare il migrante nel suo cammino verso un destino sconosciuto, in terre ignote, è innanzitutto la lingua, patrimonio di cultura immateriale, espressione di identità che viene usata in special modo nel canto per esprimere la struggente nostalgia della terra d’origine o per narrare la cronaca delle tragedie dei lunghi viaggi e delle difficili condizioni di vita che accolgono il lavoratore in terra straniera.
Due sono, a tal proposito, le canzoni emblematiche: Mamma mia dammi cento lire eIl tragico affondamento del bastimento Sirio. In entrambi i canti emerge l’aspetto tragico dell’emigrazione con l’epilogo segnato dalla disgrazia dell’affondamento del bastimento partito per le Americhe, che trasporta con sé nelle acque profonde dell’Oceano ogni speranza e tutti gli affetti familiari più cari. Il mare - osserva Giuliano - ieri come oggi fa le sue vittime strappando alla vita chi va in cerca di un avvenire migliore. Ieri come oggi le acque del mondo sono diventate tombe per donne, uomini e bambini. Ma non è colpa del mare.
L’abbandono della propria terra, il rimpianto per ciò che si deve lasciare, la necessità di mantenere la propria identità segnata dai gesti, dalla fede, dalle lingue del territorio, dai saperi arcaici contenuti nelle filastrocche o nei proverbi, dalle danze popolari, sono il corredo indispensabile che accompagna il migrante e che si esprime nei canti che porta con sé o che crea appositamente per raccontare della propria nuova condizione. La pubblicazione, che ripercorre a grandi linee gli eventi storici e le vicende che hanno portato migliaia di piemontesi ad emigrare in Europa e nelle Americhe e ne ripropone i canti, è consultabile e scaricabile sulla nostra pagina Internet.