La Cittadella di Torino, dove si fece esplodere Pietro Micca
La Cittadella di Torino Porta monumentale verso la città, è quanto resta dell’imponente fortezza (demolita dopo il 1856) disegnata nel 1564 da Francesco Paciotto per Emanuele Filiberto, difesa e simbolo della nuova dignità di Torino quale capitale di uno Stato assoluto
di Mario Bocchio
Trasferita la capitale a Torino nel 1563, Emanuele Filiberto, duca di Savoia, come sua prima opera incaricò l’architetto e ingegnere urbinate Francesco Paciotto (1521–1591) di progettare una struttura fortificata adeguata, una cittadella che non solo difendesse la città dai nemici, ma che servisse anche come strumento di controllo e, all’occorrenza, di offesa nei confronti della stessa città.
Iniziata nel giugno 1564 e completata (secondo i conti di cantiere) entro il 1570, con il coinvolgimento di Domenico Poncello (?-1573), con grandissimo dispendio di risorse, l’imponente fortezza bastionata a forma pentagonale era destinata a imporsi come altissimo esempio di architettura militare, da subito modello di riferimento per la trattatistica italiana e europea contemporanea, imitato altrove e replicato dallo stesso Paciotto nella Cittadella di Anversa e in altre sue piazzeforti piemontesi. In seguito fu descritta e rappresentata in pianta da Gabrio Busca (ca. 1540–1605), che ne apprezzò la chiara articolazione degli spazi e il sobrio prospetto, e, insieme al pozzo con la doppia rampa elicoidale, da una tavola del Theatrum Sabaudiae (1682).
La posizione strategica, a sud-ovest del quadrato romano, dal lato più scoperto e non guarnito da fiumi, risultò fondamentale anche dal punto di vista urbanistico, in grado di condizionare tutti i successivi progetti di ampliamento della capitale sabauda, costituendo un elemento qualificante della struttura urbana di Torino fino allo smantellamento delle fortificazioni e della stessa cittadella alle soglie dell’unificazione nazionale.
Sopravvissuta, insieme a quella di Alessandria, agli abbattimenti napoleonici, la Cittadella di Torino cadde infine sotto i colpi del piano di ingrandimento del 1853, che, in ossequio ai criteri definiti da Carlo Promis (1808–1873), destinava l’area in cui essa sorgeva allo sviluppo di un nuovo quartiere. Il 9 maggio 1855 la Cittadella fu declassata ed esclusa dall’elenco delle piazze- forti; quindi, il 22 maggio 1856, se ne autorizzava la demolizione.
In un clima culturale che accordava scarso valore alle opere militari, l’unica struttura che si decise di salvare fu la porta grande verso la città, in seguito (1893) restaurata da Riccardo Brayda (1849–1906) con la rimozione di tutte quelle parti che, a suo parere, alteravano l’immagine del manufatto. Dal 1893 ospita il Museo Nazionale dell’Arma di Artiglieria.
Durante l’incursione aerea dell’8 dicembre 1942 che interessò la città, l’edificio venne danneggiato solo lievemente al tetto e agli infissi. In occasione della guerra di successione spagnola (1702–1714), l’esercito sabaudo reclutò operai e scavatori allo scopo di costruire nuovi passaggi sotterranei della fortificazione.
Tra questi spiccò la figura di Pietro Micca, un umile muratore del Biellese. Nella notte tra il 29 e il 30 agosto 1706 — in pieno assedio dei francesi — forze nemiche entrarono in una delle gallerie, cercando di sfondare i passaggi sotterranei. Il muratore si fece quindi eroicamente esplodere con circa 20 chili di polvere da sparo, al fine di far crollare la galleria ed impedire quindi l’avanzamento nemico.
Nel 1864, in ricordo dell’eroe, fu posta una statua in marmo davanti ai giardinetti del Mastio, verso corso Galileo Ferraris angolo via Cernaia, opera dello scultore Giuseppe Cassano. Nella primavera del 1799 il Mastio ospitò per breve tempo papa Pio VI, in viaggio verso la Francia dove era stato condannato all’esilio dalla violenza anticlericale post-rivoluzionaria.
Durante l’occupazione napoleonica di Torino nel 1800–1814 molte mura e bastioni della città furono demoliti, ma il Mastio fu risparmiato, riconoscendo la qualità dell’edificio. Il 12 marzo 1821 la Cittadella venne assalita da un gruppo di ufficiali carbonari che insorsero per scacciare gli austriaci dall’Italia. Quella notte Vittorio Emanuele I abdicò in favore di Carlo Felice che, aiutato dalle truppe austriache, disperse i rivoltosi.
Fonti:
Giuseppe Torricella, Torino e le sue vie, ed. Borgarelli 1868
museopietromicca.it
Giancarlo Melano, Testimone del Risorgimento — Il Museo Storico Nazionale d’Artiglieria, Centro Studi Piemontesi, Torino, 2011.