Una delle commemorazioni annuali del tragico fatto di sangue

La pistola di mollica e i morti veri

1971, Novi Ligure: tre carabinieri e due carcerati vennero uccisi a rivoltellate durante un tentativo di evasione dal treno

Crpiemonte
7 min readFeb 1, 2024

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Il 25 gennaio 1971, utilizzando una pistola realizzata con mollica di pane indurita e colorata, da sembrare vera, due degli otto detenuti trasportati in un vagone cellulare riuscirono a disarmare e ad avere la meglio su tre dei sette carabinieri addetti al servizio di traduzione. Ci fu quindi un conflitto a fuoco mentre il convoglio transitava tra Frugarolo e Novi Ligure, nell’Alessandrino.

Tre carabinieri e due carcerati vennero uccisi a rivoltellate. Un altro carabiniere rimase ferito. In pochissimi secondi sono state scaricate cinque pistole calibro 9.

I tre carabinieri rimasti uccisi e i due detenuti, morti anche loro

Alla fine il vagone sul quale viaggiavano detenuti e scorta, era sforacchiato dalle pallottole, sul pavimento vi erano manciate di bossoli. Le salme furono trasportate nelle camere mortuarie dell’ospedale e del cimitero. Cinque pistole hanno fatto fuoco, ma ve n’è una sesta che non ha sparato. Non poteva sparare. Era fatta di mollica e tinta con del nerofumo. Era servita, durante la traduzione, per minacciare e disarmare due carabinieri della scorta. Chi l’ha vista ha detto che era la perfetta imitazione di una Beretta, eera un capolavoro. Era stata preparata clandestinamente, forse in qualche cella.

I carabinieri uccisi furono Candido Leo, 48 anni, Clemente Villani Conti, 35 anni, Giuseppe Barbarino, 37 anni. Tutti residenti a Torino, sposati e con figli. Il ferito era Donato Spera, 36 anni. Un proiettile gli spappolò il pollice sinistro, che gli venne amputato.

I due detenuti erano rapinatori feroci e disperati. Paolo Brollo, 27 anni, di San Dona di Piave, era quello che aveva la pistola. Luigi Calciago, brianzolo di 25 anni, anch’egli disposto a tutto e con un passato pieno di crimini. Veniva trasferito alla prigione di Velletri; il suo complice, invece, al penitenziario di Porto Azzurro. Calciago e Brollo si erano conosciuti nel carcere torinese e si sono subito intesi. Hanno progettato d’evadere, ma non era facile scappare dalle Nuove , non sarebbe nemmeno stato da Porto Azzurro o da Velletri. L’unica occasione poteva venire dal trasferimento.

Hanno studiato un piano e scelto il luogo: poco prima della stazione di Novi Ligure, allo scalo San Bovo. Due anni prima, sempre durante una traduzione, due detenuti erano riusciti ad evadere proprio lì, allo scalo San Bovo, immobilizzando la scorta, bloccando il treno col segnale d’allarme. E poi la fuga per i campi. Li avevano catturati la stessa sera.

Il tragico fatto sui quotidiani dell’epoca

Brollo e Calciago hanno pensato a San Bovo ed alla corsa per i campi, ma erano anche certi che non sarebbero stati ripresi. Non avrebbero commesso l’errore degli altri. Al mattino li hanno svegliati che era ancora buio per il trasferimento. Le solite formalità, fogli da firmare. Brollo e Calciago mostravano indifferenza. Con un cellulare li hanno trasferiti a Porta Nuova, assieme a loro vi erano altri nove detenuti che dovevano essere smistati in diverse carceri.

A Porta Nuova, gente infreddolita. I pendolari che scendevano dai treni non avevano tempo di fermarsi a guardare i carcerati che venivano fatti salire su un vagone cellulare. Otto carabinieri di scorta. Oltre a quelli che abbiamo detto (i tre che saranno uccisi e quello che resterà ferito), vi sono l’appuntato Angelo Falletta, 45 anni, Pierino Tiberi, 19 anni, Francesco Montoni, 24 anni, e l’appuntato Giovanni Eramo, di 40 anni. Il capo scorta è l’appuntato Leo. Quasi tutti facevano questo lavoro da molti anni. Trasporti dal carcere a Palazzo di giustizia, trasferimenti attraverso l’Italia. La solita routine quotidiana. Per i carabinieri questi detenuti sono tutti uguali, non stanno a chiedersi se sono rapinatori o assassini o sfruttatori. Sono semplicemente dei prigionieri da prelevare in un posto e consegnare in un altro. Poi si torna a casa dalla moglie e dai figli.

Il treno parte da Torino alle 6,41. Il cellulare ha sbarre ai finestrini. Ha sei celle e un gabinetto. Ogni cella ha otto posti. Dà nel corridoio con una porta che ha una finestrella, uno spioncino, che dovrebbe essere chiusa dall’esterno con un catenaccio. Il treno corre nella neve, è venuto fuori un giorno livido, incomincia a piovere, poi la pioggia diventerà nevischio. Nella vettura cellulare undici detenuti nelle celle e otto carabinieri sulle due piattaforme: un’occhiata al giornale, due chiacchiere, ogni tanto qualcuno dei militari percorre il corridoio, dà un’occhiata ai carcerati: quasi tutti sonnecchiano. Ogni cosa è normale e tranquilla. All’arrivo ad Alessandria tre detenuti vengono fatti scendere e portati al carcere di questa città. Due carabinieri scendono e vanno al buffet a comperare lasagne per la colazione dei detenuti. Il vagone cellulare viene intanto agganciato al locale 2811 Alessandria-Genova. È in testa, subito dopo il locomotore. I prigionieri mangiano in silenzio le lasagne calde. Nessuno parla. Tutti sembrano immalinconiti dalla giornata decisamente pessima. Dai finestrini con le sbarre si vede correre via la pianura tutta bianca, con file di alberi scheletriti e voli di corvi. Il treno ha una decina di vagoni, pochi viaggiatori. L’arrivo a Novi Ligure è previsto per le 10,16. Il convoglio dovrebbe fermarsi per lasciare libera la via al direttissimo Torino-Roma, e ripartire alle 10,33. Una fermata come molte altre di un locale, una occasione per i detenuti per vedere gente che va e viene libera, si saluta e si abbraccia felice di rivedersi. Brollo e Calciago sono nella stessa cella. Appena il treno lascia Alessandria si alzano e prendono (chissà dove era nascosta), la pistola fatta con il sapone. È deciso: agire fra una decina di minuti, disarmare la scorta, tirare il segnale d’allarme a San Bovo, mentre il treno si ferma, saltare a terra e via. Per uscire dalla cella è facile. Si bussa alla porta, si dice al carabiniere che viene a vedere che si ha bisogno di andare al gabinetto: ma non è nemmeno necessario questo espediente: sembra infatti che la porta della cella sia stata aperta per la distribuzione della colazione e non ancora rinchiusa. Le fermate a Frugarolo e a Bosco Marengo. Ancora una breve sosta. Sono le 10,12: le prime case della periferia di Novi. È il momento. Brollo e Calciago irrompono fuori della cella, con due salti sono alla piattaforma di testa dove ci sono i carabinieri Tiberi e Montoni. Sono i due più giovani, con meno esperienza, e sembra quasi che si siano isolati dagli altri sei per timidezza, perché tra di loro è più facile parlare. “Mani in alto”, gridano i banditi. Non dicono altro. I due carabinieri sono più sorpresi che spaventati, e prima che possano tentare una reazione sono disarmati. Ora Brollo e Calciago buttano l’arma finta, hanno due vere pistole: Beretta calibro 9 corto. Le puntano alla schiena I dei due militi. “Avanti, con le mani in alto”. Lo scopo è di arrivare con questi ostaggi alla piattaforma posteriore obbligando i sei carabinieri che si trovano lì a gettare le rivoltelle. Pochissimi secondi, si è detto. E il treno corre nel nevischio, “Siete pazzi” grida uno dei sei carabinieri.

Il monumento eretto alla memoria dei tre carabinieri

I due ostaggi sono pallidissimi. Ecco scalo di San Bovo: i banditi i tirano il segnale di allarme. Stridio di freni. Uno dei sei carabinieri approfitta della brusca frenata per colpire un bandito con la bandoliera. Fuoco. Sparano per primi, contemporaneamente, Brollo e Calciago, sparano contro i sei che stanno estraendo le pistole. Gli altri detenuti sporgono le teste dalle celle, e si ritirano subito impauriti. Detonazioni a mitraglia di cinque, sei, sette rivoltelle. Colpi a bruciapelo. L’appuntato Leo cade con una pallottola nella spalla destra, due al ventre, due al braccio sinistro. Cade uno dei banditi. Lampi. Continuano a volare pallottole, il vetro di un finestrino va in frantumi, cadono i carabinieri Villani e Barbaro. Anche l’altro detenuto cade nel corridoio, ferito. Poi gli arriva un colpo mortale. La scena è spaventosa. Nel fumo delle detonazioni si vedono cinque corpi a terra. Il sangue sgorga da molte ferite. Due carabinieri rantolano. Uno dei sopravvissuti afferra il capo di Leo e gli grida singhiozzando: “Eri il mio più caro amico”. Piangono i due militi più giovani. Un carabiniere ai detenuti che ora si affacciano alle porte e guardano sgomenti: “Vi ringraziamo. Se uscivate anche voi dalle celle…” ma non può continuare. L’odore della polvere da sparo prende alla gola, fa tossire. Il manovratore, dopo aver frenato accorre, ma un carabiniere gli grida: “Parti subito, ci sono morti e feriti”. Nessuno dei passeggeri ha sentito gli spari, soffocati dallo stridio delle ruote in frenata. E il treno riprende la corsa con e due banditi uccisi, il carabiniere Barbarino con il cuore spaccato da un proiettile, l’appuntato Leo ed il milite Villani che stanno morendo. E gli altri che piangono per lo choc e per il dolore: “Clemente chi lo dirà a tua moglie e a tuo figlio?” I sei detenuti sono nel corridoio, guardano e sembrano non capire ancora. Il treno entra nella stazione di Novi Ligure con un ritardo di due minuti. LA Infila il binario 3, passa accanto ai viaggiatori che aspettano il Torino-Roma. Nessuno fa caso al 2811 che si ferma a duecento metri oltre, mentre finisce di suonare il campanello che ne aveva annunciato l’arrivo. Sembra tutto normale, ma si affaccia un carabiniere, che grida: “Presto c’è gente che muore. Chiamate le ambulanze”. Ma Brollo, Calciago e il carabiniere Barbarino sono già morti. L’appuntato Leo, i militi Villana e Spera sono portati all’ospedale. I primi due muoiono dopo pochi minuti. Spera guarirà.

Fonte:

Archivio “La Stampa”

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