La spagnola, l’epidemia che devastò il mondo
Al termine della Prima guerra mondiale, circa 50 milioni di persone sono morte a causa della febbre spagnola. Le maschere rappresentavano la linea di difesa più diffusa per coloro che non ne erano stati contagiati
ricerca a cura di Mario Bocchio
“Presenti fin dall’antichità - si legge sull’ Enciclopedia della storia universale di De Agostini - le epidemie sono state per secoli un fattore decisivo per l’evoluzione demografica. La comparsa di un’epidemia comportava il brusco e violento rialzo di una mortalità già elevata: le sue conseguenze potevano durare per decenni prima che si ritrovasse un equilibrio. Infatti ogni epidemia causava numerosi effetti collaterali: fuga dalle zone infette, paralisi delle attività economiche e commerciali, calo dei matrimoni e quindi successivo calo delle natalità, ecc.”.
Nella storia le epidemie hanno inoltre provocato contraccolpi culturali e sociali, con il diffondersi di superstizioni e le conseguenti persecuzioni contro coloro che venivano accusati di essere diffusori volontari del male: per esempio, gli ebrei nel Medioevo, gli “untori” della peste nell’età moderna, le stesse autorità pubbliche, come nel caso del colera nell’Italia del Diciannovesimo secolo, che comportò anche moti popolari.
“Ogni anno, il 4 novembre ricordato la fine della Grande Guerra e la vittoria del nostro Paese nel conflitto che poneva fine al lungo Risorgimento - sottolinea lo storico pinerolese Gian Vittorio Avondo - Quella data, però, oltre a commemorare la vittoria e tutti i morti che l’hanno propiziata, rimanda anche a un altro evento che della guerra è stato il frutto: l’insorgere dell’ultima grande pandemia della storia europea, che proprio grazie al conflitto contagiò il mondo intero”. Naturalmente prima del Covid 19, la pandemia degli anni Duemila, che ci sta cambiando il nostro modo di vivere. Il paziente zero della febbre spagnola potrebbe essere stato un soldato della Prima guerra mondiale, che trasportò accidentalmente il virus ritornando nello stipatissimo accampamento militare di Fort Riley, in Kansas. Da quel momento, chi aveva contratto la malattia avrebbe marciato per tutti i campi di battaglia d’Europa e non solo, portandola con sé. Ben un quinto della popolazione mondiale venne contagiata dalla febbre spagnola. Si stima che circa 50 milioni di persone morirono per via della malattia in tutto il mondo, dagli isolati villaggi dell’Artico alle remote isole del Pacifico, un numero di persone tre volte superiore alle vittime mietute dal conflitto vero e proprio. Quando la pandemia si diffuse, dal 1918 al 1920, i medici credevano che la febbre fosse causata da batteri. In ogni caso non avrebbe fatto molta differenza se avessero saputo fin dall’inizio che si trattava di un virus, poiché gli antivirali non esistevano ancora e il vaccino per la febbre non era stato ancora sviluppato.
Tra l’ottobre 1918 e i primissimi mesi del ’19, per rendere più drammatica e angosciante la situazione di crisi globale in cui le nazioni si dibattevano, si scatenò dunque questa tremenda pandemia influenzale dovuta a un virus inizialmente diffuso tra animali domestici e poi mutato attraverso vari passaggi e attrezzato per essere letale nella sua variante umana.
I primi a cadere vittime del morbo conosciuto come “influenza spagnola” (perché la Fabra, agenzia di stampa di quel Paese, diede notizia di alcuni casi benigni registrati a Madrid sin dal febbraio 1918) non furono i più deboli e malnutriti, categorie assai diffuse, bensì soprattutto i giovani nel pieno della vigoria fisica, di età compresa tra i 18 e i 40 anni. Venne interdetto l’accesso a teatri, chiese e altri luoghi pubblici al chiuso, in alcuni casi anche per un anno intero, per paura che i batteri potessero diffondersi in luoghi così tanto affollati. Persino i funerali furono limitati a 15 minuti. Come primo metodo di difesa contro la contrazione e la trasmissione della malattia, venne richiesto di indossare delle maschere, solitamente in tessuto, in pubblico e venne vietato l’accesso a tram, uffici e altri spazi pubblici se non si aveva la maschera. Quando la maschera non funzionava, venivano applicate tutte le possibili alternative. Gli opuscoli suggerivano di masticare il cibo con attenzione e di evitare di indossare vestiti e scarpe stretti, era persino in vigore un divieto di tossire e starnutire in pubblico. I rimedi casalinghi comprendevano gargarismi con il bicarbonato di sodio e l’acido borico, impacchi di sale nelle narici e mangiare cipolle a tutti i pasti. Negli anni Trenta si scoprì che la causa della febbre era un virus e non un batterio. Alla fine del decennio, nel 1938, Jonas Salk e Thomas Francis svilupparono il primo vaccino contro i virus della febbre.
A partire dal Diciottesimo secolo, in Italia altre cinque diverse grandi epidemie si erano susseguite e ripetute nel tempo: la peste, il tifo, il tifo petecchiale, il vaiolo e il colera.
“Come già era accaduto per la peste - continua Avondo - anche in questo caso il morbo della spagnola si diffuse con grande facilità tra la gente, in quanto poteva essere contratto semplicemente per via aerea, ossia era respirabile nell’aria e colpiva l’apparato polmonare”.
Ovviamente, il perdurare della guerra e la grande concentrazione di uomini ammassati nelle baracche delle trincee, non fece che agevolare il passaggio del virus da uomo a uomo, un virus portato a casa da chi andava in licenza con conseguenze che si possono immaginare.
La spagnola, tra il 1918 e il 1920, uccise decine di milioni di persone nel mondo, forse 600-650 mila solo in Italia.
“Ci si sentiva afferrati all’improvviso da un brivido indefinibile, - racconta un cappellano militare - si andava a letto, la febbre saliva paurosamente, una congestione polmonare brevissima e poi…la morte”.
Numerose sono le testimonianze di quella pandemia anche in Piemonte. A Cavour, così come nelle frazioni e nei dintorni - come ad esempio ci ricorda uno studio di ProCavour - l’epidemia causò molti lutti, soprattutto fra i giovani. Fra gli altri anche Mariuccia, una bimba di appena cinque anni, figlia dell’ingegner Maria Emanuele Peyron. Il 9 ottobre 1919, i cavouresi, per celebrare la fine della spagnola, “grati e supplici a Nostra Signora del Buon Rimedio”, organizzarono un grandioso pellegrinaggio al Santuario di Cantogno.
Bibliografia: Cento anni fa l’ultima grande pandemia influenzale: la spagnola