La tradizione del cappone
Il cappone arrosto, ripieno o in brodo: sono piatti tradizionali realizzati in onore delle feste. Per un secondo che sa semplicemente di Natale
di Mario Bocchio
Nel Medioevo, il brodo di cappone (detto comunemente “brodo al cappone”) è stato un piatto tradizionale delle feste di dicembre per celebrare il solstizio d’inverno. Durante le fredde notti di veglia attorno al camino, si raccontavano storie di pasti ricchi e sostanziosi, fatti di ingredienti nutrienti.
Citato in letteratura nel corso della storia, il cappone compare anche nel classico racconto dei “Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni, quando Renzo regala all’avvocato Azzeccagarbugli quattro capponi, considerati all’epoca un’autentica prelibatezza. Il numero quattro era significativo, perchè pare fosse tradizione per le famiglie più facoltose allevare quattro capponi per le feste: uno da regalare, uno per Natale, uno per Capodanno e uno per l’Epifania.
Tra i capponi più conosciuti non solo in Italia, ci sono quelli di Morozzo, nel Cuneese, tutelati come eccellenze.
Il Cappone di Morozzo è un galletto castrato chirurgicamente prima che abbia raggiunto la maturità sessuale e macellato ad un’età di almeno 220 giorni. Secondo il disciplinare dell’allevamento, dopo la capponatura deve essere ingrassato per un periodo di almeno 77 giorni. La razza utilizzata per la produzione del tradizionale Cappone di Morozzo è la nostrana biotipo scuro di Cuneo. Le caratteristiche morfologiche del Cappone di Morozzo sono il piumaggio lucente e variopinto, sinonimo di buona salute, testa piccola di colore giallo arancione, pelle di colore giallo indice di un congruo ingrassamento e un peso variabile tra i 2 e 3 kg.
Come previsto dalla tradizione e garantito dallo stesso disciplinare del Consorzio, deve essere allevato a terra, libero nell’aia o in recinti con una superficie di almeno 5 m² per capo ed alimentato con prodotti esclusivamente vegetali. In base alle recenti normative sul benessere animale, subito recepite dagli allevatori del Consorzio, non vengono più tagliate, come in passato, le creste ed i bargigli.
Ma tra i capponi pregiati ci sono anche quelli di San Damiano d’Asti, dove si svolge l’antica fiera. Vengono alimentati con prodotti aziendali, per la maggioranza mais anche intero. Il giorno della fiera i capponi sono portati in esposizione e venduti, ma capita spesso però che il mercato sia fatto direttamente in cascina.
Le qualità del Cappone di San Damiano sono particolarmente esaltate se cucinato bollito e poi presentato in tavola accompagnato dal bagnèt , oppure abbinato a crostini della classica Grissia Monferrina, forma di pane storica di lunga conservazione.
Come detto, tra i piatti più prelibati della tradizione natalizia c’è il cappone ripieno di un misto di carne di vitello tritata, salsiccia, rigaglie, pane raffermo e latte. Senza dimenticare le spezie: pepe, noce moscata, rosmarino, aglio, salvia, prezzemolo e timo per rendere il sapore ancora più delizioso.
Il tocco in più una volta in tavola accompagnato dalle verdure e rappresentato dai chicchi di melograno, simbolo di fertilità e buon auspicio per il nuovo anno. Un’alternativa al ripieno senza carne? Le castagne: una vera prelibatezza.
La tradizione contadina nel cucinare il cappone, ci ha tramandato l’usanza, nelle freddi notti prima di essere cucinato sul putagè, di lasciarlo su una pietra di Luserna davanti alla finestra della cucina, per fare frollare le carni e nel contempo facilitare la disossatura.
Fonti: Cappone di Morozzo ; Comune di San Damiano. Fotografie: Cappone di Morozzo