La Quaresima interpretata dalla Vecchia

La tradizione della Quaresima tra sacro e profano

Un viaggio dal Piemonte al resto d’Italia sui quaranta giorni che precedono la celebrazione della Pasqua

Crpiemonte
5 min readFeb 13, 2024

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La Quaresima è il periodo di quaranta giorni che precede la celebrazione della Pasqua: secondo il rito romano inizia il mercoledì delle Ceneri e si conclude il Giovedì Santo. Sono pratiche tipiche della Quaresima il digiuno e altre forme di penitenza, la preghiera più intensa e la pratica della carità. È un cammino di preparazione per celebrare la Pasqua, che è il culmine delle festività cristiane e ricorda i quaranta giorni trascorsi da Gesù nel deserto dopo il suo battesimo nel Giordano e prima del suo ministero.

La Quaresima in passato, in diverse zone del Piemonte, veniva genericamente raffigurata con il fantoccio di una megera, detto “la Vecchia”, ornato di collane di frutta secca ed esposto in piazza, oppure trasportato da un carro nelle vie dei paesi e che ha ispirato sin dal medioevo versi poetici. In molti casi a questi fantocci veniva appiccato il fuoco, come eliminazione metaforica della povertà o come atto purificatorio e propiziatorio per i buoni raccolti della nuova stagione.

Ma in Piemonte negli ultimi giorni di freddo, che tende a coincidere con la Quaresima, c’era soprattutto una meravigliosa antica tradizione, canté j’euv, che si traduce letteralmente come “cantare per le uova”.Una volta fatto buio, si avvolgevano nel loro tabarro (un pesante mantello comune in Piemonte), andavano nelle fattorie locali e cantavano finché non svegliavano il contadino, o un membro della sua famiglia o i suoi braccianti. Il contenuto delle canzoni era solitamente sarcastico e divertente, prendendo in giro i contadini che erano cattivi e non rivelavano mai nulla. Avrebbero continuato a cantare, a percuotere tamburi e cose simili, finché il povero contadino non fosse stato costretto ad alzarsi per porre fine a tutto il trambusto, e l’unico modo per farlo era quello di regalare un po’ delle sue preziose uova. Sfortunatamente, una volta fatto ciò, seguivano altri canti, questa volta per dire che anche i festaioli erano terribilmente assetati, e chiedendo come mai il contadino era così cattivo da dare solo cibo quando senza dubbio aveva anche un’abbondanza di vino.

Canté j’euv

Durante gli ultimi giorni di Quaresima, i contadini piemontesi mettevano sempre da parte delle uova per essere sicuri di averne abbastanza per fare una bella frittata per il lunedì di Pasquetta. In questo periodo dell’anno, tuttavia, gli artisti, gli artigiani e i paesani locali avrebbero lasciato ben poco nelle loro dispense dopo i rigori dell’inverno, quindi si inventarono questa meravigliosa usanza.

A Irsina (Matera), si espongono sette pupattole vestite di nero come sette sorelle orfane; ogni domenica ne sparisce una.

La Caremma (traslazione della Quaresima in lingua francese, Carème) è un fantoccio tipico del costume popolare salentino. Secondo alcuni ricercatori questa tradizione troverebbe origine nei romani “oscilla”, ricordati da Virgilio nelle Georgiche , secondo il quale, in ricorrenza delle feste in onore di Libero (le Liberalia) o di Bacco, i pagani appendevano agli alberi figurine di cera, le quali, dondolando al vento, propiziavano il dio a concedere prosperità alle vigne . Altri collegano la figura, che nella mano destra regge un filo di lana con un fuso, con la Moira, una delle tre Parche predisposta a filare il destino degli uomini, mentre nella mano sinistra sorregge un’ arancia amara (marangia), costellata da sette penne di gallina tante quante sono le domeniche mancanti dalla Quaresima alla Pasqua. Alla fine di ogni settimana viene tolta una penna, come liberazione collettiva dalle mortificazioni fisiche e spirituali. A Ruvo di Puglia, in provincia di Bari, la Caremma assume il nome di Quarantana ed il giorno di Pasqua, dopo il passaggio della processione di Cristo risorto, il fantoccio viene inghiottito dalle fiamme.

Le pupattole

In Calabria sono le Corajisime, bambole di pezza, a rappresentare la Quaresima: fantocci vestiti di nero e di bianco, portano nella parte bassa un limone (in alcune aree anche una patata, un limoncello o un’arancia selvatica) intorno al quale si inseriscono circolarmente sette penne di gallina, sei bianche ed una nera o colorata. Il tubero o il frutto hanno un chiaro riferimento all’anatomia femminile e le sette penne rappresentano l’indicazione del periodo di interdizione temporanea ai contatti fisici, la quarantena.

Esiste inoltre un periodo di mezza Quaresima, chiamato “sega la vecchia”. Anche questo affonda le sue radici in un passato di miti e leggende e rappresenta l’enfatizzazione del male e la punizione per raggiungere la redenzione.

La tradizione delle Corajisime in Calabria

Sino agli anni ’50 questo rito era particolarmente diffuso in Toscana, Emilia-Romagna ed Umbria, dove veniva rappresentato utilizzando un antico canovaccio farsesco. Uccidere la vecchia vuol dire abbattere la quercia, ovvero interrompere il processo di invecchiamento della natura. Alla fine della commedia la vecchia risorge grazie alle lacrime di un pezzente che rappresenta il suo sposo. Sotto le sue sembianze sopravvive un antico culto della vegetazione, e infatti la sua resurrezione apre la strada alla nuova primavera.

La tradizione resta viva in forma di ancora oggi in Campania, soprattutto nella cittadina di Alife, in provincia di Caserta, dove si festeggia a metà del periodo quaresimale ovvero il giovedì che precede la penultima domenica di Quaresima e a Forlimpopoli, nella provincia di Forlì-Cesena dal 23 al 30 marzo, dove la “Vciaza” viene segata a metà dai boia sulla piazza con un’enorme sega da boscaioli, mentre dal suo ventre escono dolciumi e balocchi in segno di prosperità.

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