La trebbiatura del grano, un rito antico oggi diventato tecnologico
Tutti sentivano di appartenere ad un destino comune di cui il frumento, seminato, raccolto e trebbiato era un elemento imprescindibile
di Mario Bocchio
Per secoli, la fine di giugno e la prima settimana di luglio sono stati il periodo di tempo determinante per stabilire se l’anno sarebbe stato da ricordare o da dimenticare.
La raccolta del grano era il momento saliente di tutta l’annata agraria. Un buon raccolto dava serenità, uno scarso raccolto riempiva di interrogativi.
Il pane e la farina erano gli elementi base dell’alimentazione degli italiani e «la battaglia del grano», di mussoliniana memoria, fu il simbolo massimo del valore che aveva questo cereale per la nostra economia.
Nelle campagne della Pianura Padana, fino agli inizi degli anni Sessanta, anno in cui furono introdotte le mietitrebbiatrici semoventi, le mitiche Laverda rosse, la mietitura e la successiva trebbiatura erano un operazione impegnativa e delicata nella quale si manifestava tutto il senso di appartenenza ad un sistema economico, ecologico e sociologico che per secoli ha retto il modo di vivere e rapportarsi con l’ambiente della maggior parte degli Italiani e in particolare di noi piemontesi e padani.
Oggi, il più delle volte attraversando in auto la campagna (o quel che rimane di essa), spesso non riusciamo nemmeno ad accorgerci di un campo con le stoppie di frumento e men che meno che sedimentazioni ciò abbia dentro il nostro recentissimo passato di contadini e agricoltori.
Un tempo i covoni di grano erano preparati dalla mietilega trainata dai cavalli o dal primo trattore, ammonticchiati in mezzo ai campi e pronti per il trasporto verso la trebbiatrice, quando sarebbe arrivata. La mietitura doveva avvenire quando il chicco di frumento era completamente fatto, ma non del tutto maturo, diversamente sarebbe fuori uscito dalla spiga durante le operazioni di mietitura e trasporto. Ciò avveniva generalmente intorno al 20–25 di giugno. A San Pietro, di solito, la mietitura era fatta e i covoni erano ammucchiati secondo una secolare metodologia d’impilamento, nell’attesa che la trebbiatrice arrivasse a trebbiarli.
L’attesa dell’arrivo del contoterzista che avrebbe piazzato in mezzo all’aia tutto l’armamentario necessario per procedere alla trebbiatura era sempre spasmodica. Tutti gli abitanti della cascina erano in attesa che questa piccola catena di montaggio fosse piazzata. Tutti erano pronti a dare il loro piccolo o grande contributo affinchè ogni spiga rilasciasse i chicchi di frumento passando attraverso il «ventre» di quella macchina che avrebbe ingoiato i covoni e avrebbe restituito da una parte il frumento e dall’altra la paglia. Tutti erano consci, pur in ruoli sociali differenti, che il benessere sarebbe passato attraverso la quantità di frumento che sarebbe rimasto sull’aia al termine della trebbiatura.
I bambini gironzolavano intorno, sia per curiosare che per cimentarsi con quella che era l’operazione meccanica più «industriale» dell’essere agricoltori: un motore e delle lunghe pulegge che azionavano una macchina che «estraeva» i chicchi dalla spiga. Tutto era molto affascinante e, sostanzialmente, incomprensibile.
L’odore della pula e della paglia riempivano per giorni tutto ciò che stava intorno a quel cantiere, la polvere si depositava in ogni angolo della cascina. Terminata la trebbiatura, il frumento, ammucchiato sotto i portici delle barchesse, veniva ogni giorno steso sull’aia per esser ulteriormente essiccato dal calore del sole.
Ogni sera veniva riammucchiato. Non un chicco andava perduto, tutte le donne della cascina con tanto di scope e ramazze raccoglievano tutto ciò che le pale e i rastrelli lasciavano indietro. Le mietitrebbiatrici, introdotte a partire dai primi anni Sessanta, hanno cancellato il secolare rito della trebbiatura.
Oggi i dietologi ci insegnano che il pane e la farina «00» sono il male e vanno evitati, contribuendo, dal punto di vista ideologico, a svilire e allontanare quel rito antico. Per certo, irrimediabilmente perso, è quel senso di coesione e rispetto che animava, a fianco delle aspettative economiche, tutta quella gente raccolta intorno alla trebbiatrice nell’aia della cascina. Tutti sentivano di appartenere ad un destino comune di cui il frumento, seminato, raccolto e trebbiato era un elemento imprescindibile.