Le pesche di ferragosto
Le pesche ripiene, i persi pien, sono un dolce classico della tradizione piemontese. Ecco la versione di Nonna Genia
di Pino Riconosciuto
Con cosa si festeggia il ferragosto se non con le pesche ripiene? In Piemonte è quasi un dolce d’obbligo per la ricorrenza, secondo una tradizione che vede i persi pien risalire alla notte dei tempi. Beh, forse non così indietro, ma abbastanza per rendere nebulosa la nascita di una ricetta che tanto successo continua ad avere, soprattutto intorno a ferragosto, quando le pesche - clima permettendo - in genere raggiungono la piena maturazione e si consegnano alle nostre mani per poterle gustare in questo delizioso connubio con l’amaretto e il cacao.
Non si sa dunque chi dobbiamo ringraziare. Di sicuro non uno chef della reale casa o di qualche aristocratica famiglia. Le pesche ripiene vengono dalla tradizione contadina, erano utilizzate soprattutto per l’intermezzo di metà pomeriggio dai contadini che nella merenda sinoira trovavano le residue energie per continuare fino a sera il lavoro nei campi o nelle vigne.
La ricetta delle pesche ripiene trova formalizzazione ad opera di Pellegrino Artusi, un pilatro della gastronomia nazionale che a fine ottocento, nel suo trattato “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, consiglia di farcire le pesche con i classici biscotti savoiardi, lo zucchero, le mandorle e il cedro candito. Le pesche dovevano poi essere bagnate con il vino bianco e, dopo un ultimo passaggio dello zucchero, cotte in forno.
La diffusione su tutto il territorio nazionale è però successiva, nei primi decenni del ‘900, e deve molto ad Ada Boni che nel 1929 ne pubblica la ricetta nel suo famoso volume “Il talismano della felicità”.
Che i persi pien abbiano a che fare con la felicità è indiscutibile. Per raggiungerla nel modo più compiuto possibile, tra le tante varianti note proponiamo una ricetta che affonda la sua origine nella più profonda tradizione piemontese, in questo caso albese. La prendiamo da un libro nato proprio per custodire il sapere gastronomico di un tempo, quel Nonna Genia in cui Luciano De Giacomi, in collaborazione con Beppe Lodi, ha voluto esaltare quella “cucina povera” che, scrive, “ha spesso - o quasi sempre - sapori e profumi più nuovi, vivaci e caratterizzati che non quelli grigi e impersonali di tanta, troppa cucina di ristorante”. Quando De Giacomi scriveva, nei primi anni ’80, i riferimenti erano ancora le nonne, non essendo ancora arrivato il tempo di Masterchef e delle star della cucina internazionale.
De Giacomi fa riferimento nella ricetta alle classiche “pesche di vigna”, quelle che venivano coltivate ai margini dei filari d’uva e che non sono oggi semplici da trovare. Possono andare bene, non me ne voglia il cantore della cucina albese, anche le contemporanee pesche gialle.
Per 5 persone De Giacomi richiede 10 pesche, 3 cucchiai di zucchero, 5 amaretti, 2 tuorli d’uovo, 2 cucchiai di cacao, 4 gherigli di pesca e burro.
Scrive De Giacomi: “Si prendono le pesche e, dopo averle lavate e asciugate, si aprono a metà, senza sbucciarle. Con un cucchiaio si asporta, con il nocciolo, un po’ di polpa su ciascuna delle due parti. Su un tagliere si trita finemente tale polpa e vi si aggiunge dello zucchero, amaretti sbriciolati, tuorli d’uovo, cacao e alcuni gherigli degli stessi noccioli delle pesche tritati fini. Si forma un amalgama e si riempiono con questo composto le pesche, dando loro bella forma con una lama di coltello. Si spruzza con amaretti pestati finemente; si mettono dei fiocchetti di burro sulle pesche; si unge abbondantemente una teglia di terracotta con burro e si inforna per circa un’ora. Si servono calde o tiepide, mai fredde”.
Se volete si può accompagnare con un Moscato d’Asti. Buon ferragosto!