Le leonidi, stelle cadenti di novembre

Le stelle cadono a briciole

Questa notte di novembre, il cielo verrà illuminato dalle Leonidi, le “lacrime del leone”, stelle cadenti d’inverno. Il cielo è terso e si vedranno bene dal Sacro Monte d’Orta

Crpiemonte
5 min readNov 9, 2020

--

di Marco Travaglini

Chissà se sarà come due anni fa, quando all’improvviso lo sciame di luminoso fece irruzione nel cielo e migliaia di stelle caddero a briciole, ardendo in volo fino a dare l’impressione di spegnersi nei boschi che dominano le due sponde del lago. Come le lucciole d’estate, effimere e belle. Il lago è immobile, liscio, senza rughe come il volto fresco di una ragazza.

Briciole di stelle cadenti in cielo

Non c’è vento e in cielo appaiono immobili rare nuvole delle quali s’intuisce a malapena il color fuliggine. Né scure, né chiare. Sembrano le lenzuola della signora Beatrice quando, fresche di bucato, vengono lasciate stese all’aria dal marito sul lato sbagliato della casa; non di fronte, verso il piccolo frutteto che delimita il bosco ma su quello opposto, a pochi metri dalla ferrovia. Cammino e sento un peso, quasi portassi uno zaino in spalla.

I viali del Sacromonte

Sarà perché sale ripida quest’antica via che da piazza Motta, nel cuore di Orta, porta al bivio tra il viale del Sacro Monte e il piccolo cimitero di San Quirico. I passi risuonano appena sulle foglie ingiallite che coprono l’acciottolato del sentiero che si snoda tra belle ville e case in pietra. Mantengo un buon passo nonostante la poco piacevole sensazione che qualcosa non stia andando per il verso giusto. E’ più un fastidio che un vero e proprio dolore. Provo una lieve vertigine.

Il chiostro del convento del Monte Mesma

Poca cosa se paragonata a quella che si prova uscendo dall’osteria in quelle sere d’inizio autunno quando i bicchieri si riempiono di vino novello fatto con l’uva americana. Al tempo stesso asprigno e dolciastro, è un vino di piacevoli contrasti. Ma soprattutto è un vino che tradisce chi lo beve. Non occorre abusarne per sentire le gambe pesanti e la testa galleggiare leggera tra le nuvole. E’ “il vino degli aviatori”, come lo chiama Ludovico, usciere della Pretura e assiduo frequentatore dell’osteria del Tempo Perso, quando avverte la necessità di sorseggiare “un buon bicchiere per cacciar via dalla gola tutta la polvere dei faldoni delle udienze”. Mi gira la testa ma non posso dare la colpa al vino che non ho bevuto. Mi appoggio al vecchio muro, tirando il fiato. Non ho mai trovato questa strada così ripida e lunga. Nemmeno d’estate quando il caldo è soffocante o nei giorni della Merla, a fine gennaio, quando respirando a bocca aperta pare che i polmoni prendano fuoco, arsi dall’aria ghiaccia. Riprendo a salire piano e finalmente arrivo al Sacro Monte.

Le statue di una delle cappelle

L’insieme delle cappelle sembra protendersi sul lago, sovrastando l’abitato di Orta San Giulio. Dalla fine del cinquecento il complesso religioso dedicato a San Francesco, grazie a questa sua specificità — l’essere dedicato a un santo anziché alla vita di Cristo o di Maria — si differenzia nettamente dagli altri Sacri Monti. Pare, come dire?, più popolare, alla portata di tutti: devoti, pii, agnostici e persino miscredenti. Senza voler togliere nulla agli altri Sacri Monti questo di Orta ha un qualcosa in più che non saprei spiegare ma che si avverte, s’intuisce, quasi si può toccare. La chiesa è chiusa ma si sente distintamente di là dal portone di legno massiccio il canto dei vespri. Frate Gioacchino mi ha spiegato un giorno che sono la preghiera del tramonto, una delle più importanti ore canoniche della Chiesa. Sono divisi in due parti: la salmodia, il canto dei salmi, e una seconda parte con varie preghiere. Tra i canti s’erge poderoso il Magnificat. “Magnificat anima mea Dominum, et exultavit spiritus meus in Deo salutari meo. Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto, sicut erat in principio et nunc et semperet in saecula saeculorum. Amen”. Non sono quello che si può definire un credente devoto. Diciamo che credo a modo mio, al di fuori dagli schemi e dalle logiche di chi afferma di esserlo e non manca di farlo sapere ai quattro venti. Ho sempre creduto nel riserbo e nella misura. Ascolto i canti ma non oso bussare per farmi aprire, varcando la soglia della chiesa. Non dubito che i frati mi accoglierebbero volentieri. Resto qui, con le mani in tasca e il bavero del cappotto alzato per proteggermi dall’alito freddo del vento. Mi vengono in mente tanti pensieri. Ad esempio la frase del Cantico delle Creature di San Francesco che ho letto al convento del Monte Mesma, non molto distante da quassù, ad Ameno: “Laudate sie mi Signore, per sora acqua, la quale è molto hutile, et humile et preziosa et casta”. Quanto sia utile e preziosa l’acqua lo sanno bene i frati Minori del Mesma. “il fontanino” è l’unica sorgente naturale sul Monte e sebbene povera d’acqua, non è mai capitato che si prosciugasse completamente. I frati, per sopperire alla mancanza d’acqua, già secoli or sono pensarono di utilizzare l’acqua piovana, quella che “la provvidenza regala generosamente ai buoni e ai cattivi”. Impegno e ingegno ai francescani non sono mai mancati.

L’isola di San giulio vista dal Sacromonte di Orta

L’acqua piovana, da allora, viene raccolta attraverso appositi canali nel primo chiostro. Da lì, passando attraverso filtri di sabbia e carbone, giunge purificata nel secondo chiostro dove una cisterna è sormontata da una caratteristica costruzione a forma di tempietto. L’opera idraulica nei due chiostri, ultimata nella prima metà del ‘600, grazie al pluviometro ha consentito la raccolta di dati utili alle statistiche sulle precipitazioni in tutto il bacino cusiano del lago d’Orta. Non so perché mi è venuto in mente proprio questo fatto ma ora sento che il freddo aumenta. Guardo in basso il lago. E’ buio e le luci nelle case e sulle vie paiono fiammelle tremolanti. Improvvisamente il cielo s’illumina al passaggio di due, tre, quattro stelle cadenti.

L’ultima salita verso la chiesa del convento del Sacro Monte d’Orta

Rapidissime, disegnano un arco che attraversa da parte a parte il lago. E poi altre, in sequenza, come quando scoppiano i fuochi della festa di San Vito a Omegna. E’ uno spettacolo che lascia senza fiato: le “lacrime del leone”, al loro passaggio, arabescano il cielo lasciandosi alle spalle delle briciole di luce. Anche quest’anno non mi hanno tradito. La fatica che ho fatto per arrivare quassù, per non mancare all’appuntamento, è stata ben ripagata.

--

--

Crpiemonte

Il canale Medium ufficiale del Consiglio regionale del #Piemonte, dove raccogliamo notizie e approfondimenti.