Tipico paesaggio della Frascheta con la sua inconfondibile terra rossa

Le trunere della Frascheta per leggere la storia di un territorio attraverso i secoli

L’itinerario di Chiara Robboni tra le case di terra

Crpiemonte
7 min readMar 19, 2020

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di Mario Bocchio

All’interno del ricco e variegato panorama della cultura del territorio agricolo alessandrino, in particolare di quella zona di pianura conosciuta come la Frascheta - luogo che si estende nella campagna tra le città di Alessandria, Tortona e Novi Ligure - il territorio si presenta particolarmente denso di storia e di peculiarità architettoniche, alcune delle quali uniche nel loro genere.

Una classica trunera

Le case di terra della Frascheta sono anche definite trunere. Si pensa che il termine trunera prenda il nome da trò o tròn che in alessandrino significa mattone in terra cruda.

Una delle più autorevoli studiose di questo tipo di costruzioni è l’architetto Francesca Chiara Robboni, che sin dalla tesi di laurea e successivamente in una serie di pubblicazioni, ha approfondito la cultura del territorio agricolo alessandrino attraverso l’itinerario tra le case di terra.

I Cascinali Pagella

Come in un viaggio, che procede per scelta individuale di tappe precise, l’itinerario guida la scoperta della storia più remota, proponendo allacci al presente, mettendo in luce ricchezze inedite. Dai resti della preistoria, da appunti e fotogrammi, si ripercorrono le strade romane, la campagna centuriata, nei risvolti e nelle strutturazioni ancora attuali. L’Itinerario viaggia per mappe mentali, costruibili attraverso la storia dei luoghi, ma soprattutto si materializza grazie al contributo documentario delle antiche carte le quali, efficaci come nessun altro mezzo, descrivono a seconda degli scopi, il territorio in esame.

Francesca Chiara Robboni

Seguono all’itinerario fotografie d’epoca, come un rompicapo emozionale, in grado di coinvolgere e creare oscillazioni fra passato e presente, allo scopo di ricreare divari e accostamenti inediti tra i modi severi e semplici della vita contadina di un tempo e il mondo moderno.

La Fraschetta, Galleria delle carte geografiche, Musei Vaticani

Fotografie sbiadite, disegni di rovine, vecchi ricordi, hanno come comune denominatore il paesaggio agrario in evoluzione, gli inverni freddi, le torride estati, la fitta nebbia dell’autunno, le dimore di terra battuta.

Il libro di Francesca Chiara Robboni

Sono chiamate trunere, da tron, il tuono, o per somiglianza il sordo rumore che si genera percuotendo la terra, e sopravvivono integre e affascinanti da secoli, trasformandosi insieme all’uomo adattandosi in modo versatile ai cambiamenti sociali. Con la terra in Frascheta si costruiscono case, cascinotti, parti di cascine, chiese, cappelle campestri, cappelle cimiteriali, muri di recinzione, scuole, municipi,…

Una trunera a San Giuliano Nuovo

“Alle origini non sono che rozze costruzioni asimmetriche, ma col tempo si impara a fabbricare veri e propri palazzotti urbani, tutt’ora riconoscibili come tali se non per qualche distacco d’intonaco. Dopo la guerra, con il mattone, che in origine non vedeva impiego e che in seguito venne utilizzato solo in precise parti con accurato risparmio, insieme alla moderna tecnica del cemento, si soppianta il cantiere della casa di terra. Ecco quindi ciò che resta, contaminato dalle moderne tecniche, abbandonato alla stregua di rovina romantica, abbattuto in quanto ritenuto ingombrante e sterile, il patrimonio delle case di terra è intaccato e volto all’estinzione. L’indagine raccolta sui metodi di cantiere, le analisi svolte con l’aiuto della macchina fotografica e i ripetuti sopralluoghi, mi hanno permesso di compilare, grazie al supporto della letteratura sul tema, variegate e puntuali osservazioni, riguardanti l’orientamento, il numero e i volumi dei corpi di fabbrica ausiliari, le caratteristiche dei singoli manufatti, insieme alle modalità di occupazione degli ambienti” sottolinea Robboni.

Vecchia trunera

Aggiungendo: “Mi è stato inoltre possibile improntare una lettura più sistematica degli stessi, attraverso la suddivisione in determinate tipologie, rispondenti a criteri economici, storici e di diversa necessità di spazi e di immagine. Ad accendere ulteriori interessi sul tema, seguono alcuni esempi di case di terra del mondo, in particolare ho scelto il caso del Fujian, quale assurdo parallelo, che insieme al Bhutan dimostra come un’identica tecnica possa per necessità e ingegno, realizzare dimore tanto simili quanto esorbitanti. Un altro esempio proposto in quanto agli antipodi è il caso delle moschee del Delta interno del Niger, che si elevano come cattedrali di sabbia sulle spiagge deserte e lontanissime”.

Scorcio del paesaggio tipico della Fraschetta tra Alessandria e San Giuliano Nuovo, con i tipici gelsi

Al ritorno dal viaggio lontano ci ritroviamo tra le strade dei campi, lungo i percorsi del lavoro contadino, disseminati di richiami religiosi, legati alla terra e al cielo, che come stazioni obbligano il passante alla sosta e all’introspezione. Sono i percorsi devozionali, croci, cappelle, chiesette campestri, inserite in un reticolo dalle maglie larghe, che ha come fulcro la chiesa di ciascun paese, che nel solito pentagramma fa rimbalzare ad ogni ora il suono delle proprie campane dalla sommità del campanile e ne ascolta l’eco nella campagna.

Abbazia di Rivalta Scrivia

Tra queste emergenze, differenti nei tratti particolari, ma accomunate dalla stretta parentela dei luoghi, degli spunti e dei costruttori, due complessi meritano particolare attenzione; sono l’abbazia di Rivalta Scrivia, le cui origini sono così remote da consacrarla madre delle campagne e dei coltivi (che prima di allora non erano che fitta boscaglia) e il complesso monastico di Santa Croce in Bosco Marengo, anch’esso luogo preferito dalla storia per la quantità di vicende particolari occorse data la sua matrice cinquecentesca e per la ricchezza artistica che incarna e contiene, grazie all’opera congiunta di Pio Ve del Vasari.

Santa Croce a Bosco Marengo

A questo punto, tra i numerosi argomenti possibili, Francesca Chiara Robboni ha scelto di trattare un tema caro alla fotografia in ciò che l’affascina alla vista dei fusti contorti, delle antiche cortecce che appaiono visi anziani, radici e rami stellati di gelsi, che contaminano ovunque rari la campagna. Paiono disegni di bambini, assenti e presenti in fila indiana, abbattuti ogni anno in silenzio, rimandano al ricordo dei nonni, i quali sempre raccontano per non dimenticare, della loro vita e del lavoro.

Colonna commemorativa della Battaglia di Marengo

Qui in Frascheta non si vestivano capi di seta, si raccoglievano foglie arrampicandosi sugli alberi di gelso, mangiando le more, si curava la crescita dei bozzoli e, quasi come fossero figli, li si metteva al caldo delle coltri nel letto una volta alzati la mattina.

Mappa illustrativa della Relation de la bataille de Marengo redatta da Louis Alexandre Berthier

Dai nostri paesi non passa la via della seta, ma la campagna è piena di gelsi e c’è lavoro in più per riempirsi le mani. Altri alberi infine sfogliano storia, come sfoglia il tronco dalla loro corteccia, sono i bianchi fusti dei pioppi, baluardi di libertà repubblicana, a comporre viali, ombrose fronde sulle piazze, antichi bersagli dei conservatori e dei racconti leggendari. Segni inequivocabili del passaggio francese, seguono il glorioso e corposo contributo che la Battaglia di Marengo da alle nostre campagne, un evento che permise alla nostra piccola storia di entrare a fare parte della grande storia. Napoleone coi suoi eserciti percorre in lungo e in largo la pianura della Frascheta, seminando vittorie e vittime, documentando grazie all’ausilio di capaci topografi tra cui il famoso torinese Piero Baggetti, lo stato di fatto, meravigliosamente nel dettaglio, consentendoci ora di osservare e percorrere in prima persona questi luoghi.

Lejeune - Bataille de Marengo

La battaglia di Marengo comportò devastazione e ricostruzione, tuttavia portò con se una ventata europea di confronto e di nuove iniziative progettuali che, realizzate oppure no, diedero contributi e perdite significative, non che diedero il via ad una serie di commemorazioni sul tema ancora attuali. Pietro Oliva racconta di un colossale progetto per la costruzione di una città sul luogo della battaglia, capitale italiana dell’esaltazione napoleonica, che non vide la luce per motivi sia economici che di assenza del diretto interessato ormai esule a Sant’Elena. Oltre a questa sono variegati i racconti folkloristici, leggendari che la tradizione oralmente tramanda: sono queste le vicende degli astuti Mandrogni, fatti risalire ai preistorici abitatori della Frascheta, ai Saraceni che invasero dall’Appennino, agli antichi domatori di cavalli, i moderni criminali che non possedevano neppure il cimitero data la consuetudine di morte in prigione, oppure quelle legate al mito di Marengo, alla lotta incessante del popolo antifrancese che in Frascheta aveva i propri banditi buoni, come anche la vicenda amorosa di una ricca fraschetana che abitò la corte francese dello stesso Napoleone divenendone amante. Non mancano coloriti racconti tragicomici del vivere contadino, surreali alcuni, veritieri gli altri sino ad intrecciare fatti di cronaca. Che l’intero della ricerca non esaurisca il tutto è ovvio, questo lavoro intende suggestionare e proporre nuovi percorsi di conoscenza e tutela, affinche il panorama tutt’altro che sterile, sia portavoce di se stesso.

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