Le Universiadi a Torino (prima parte)
Il capoluogo piemontese ha sinora ospitato due edizioni dei Giochi estivi
Proprio mentre Torino si è messa in moto in vista delle Universiadi invernali del 2025, guardiamo indietro nel tempo nella storia di una manifestazione internazionale nata come Giochi Mondiali Universitari e poi divenuta Universiadi, diremmo per assonanza con Olimpiadi. Il narratore è Augusto Frasca che ci accompagna dalla edizione di Torino 1959 a quella del 1970, sempre nella città sabauda.
Era attesa a Roma, ma l’imminenza dei Giochi Olimpici ne suggerì lo spostamento. A raccogliere il messaggio dell’Universiade 1959, da undici anni al vertice goliardico cittadino, sostenuto sul versante istituzionale da Mario Saini, eporediese di nascita, braccio destro di Bruno Zauli nella gestione del Comitato olimpico nazionale e protagonista in anteguerra dell’organizzazione, nell’Augusta Taurinorum, dei Campionati mondiali universitari e della prima edizione dei Campionati europei di atletica, Primo Nebiolo.
Fu un successo, 43 nazioni, 1.407 atleti sul campo, quattro giorni, dal 3 al 6 settembre, il calendario dell’atletica. Un primato rispetto alla Parigi di due anni prima. Fu un formidabile miracolo diplomatico, costituito dalla presenza di atleti cinesi, rappresentanti di un’entità politica e sportiva fuori dal consesso del Comitato olimpico internazionale e giunta a Torino — nell’imbarazzato sconcerto del Foro Italico, sotto lo sguardo attento della municipalità retta dall’avvocato civilista Amedeo Peyron, democristiano, e nell’induzione in paranoia di Angelo Cremascoli, factotum in segreteria generale, impegnato nell’inedita ricerca di un interprete — provvista di un visto culturale recuperato tramite l’associazione internazionale studentesca di sede a Praga. Un evento senza bandiere nazionali, unico vessillo la grande U con cinque stelle, unico inno il Gaudeamus igitur degli antichi clerici vagantes medioevali, unico simbolo grafico la magnifica riproduzione, ideata da Antonio Donat-Cattin, delle gambe in primo piano di Douglas Alistair Gordon Pirie, britannico conquistatore fra il 1953 e il 1956 di vari primati mondiali di mezzofondo e tuttavia mortificato, nei Giochi di Melbourne, dalle gambe di Vladimir Petrovich Kuts, l’atticciato marinaio di Aleksino che avremmo elevato a nostro idolo temporaneo, al termine della sua cavalcata mondiale sui 5.000 metri, in un radioso pomeriggio romano dell’ottobre del 1957, quando sembrò che sotto la pesantezza delle sue cadenze scorressero millenni di storia dell’uomo.
Ecco le curiosità agonistiche di Torino ’59. Gli esiti di quattro atleti orientali, miglior risultato il 14.6 sui 110 di Kao Chi-chiao, quarto alle spalle di Nereo Svara e di Giorgio Mazza, i 4 metri nell’asta di Chang Chang-fa, il 14.44 di Ku Ke-yen nel triplo, il 22.6 di Chen Chia-chuan sui 200. Le vittorie in abbinata, da lontano, di Giuseppina Leone e della sua corsa satinata — di lì a poco unica medaglia olimpica italiana nella storia dei 100 metri — e di Livio Berruti, 11.7 e 23.8, 10.5 e 20.9. Di Salvatore Morale, 400 ostacoli in 52.1, di Attilio Bravi, salito nel capoluogo piemontese dalla cuneense Bra, 7.46 nel lungo, di Iolanda Balaș, sgraziato fenicottero di Timișoara, fresca titolata continentale a Stoccolma e già ultra primatista mondiale. E di John Holt, prossimo ad occupare nella ristretta sede londinese di Upper Richmond Road, 162, il massimo scranno amministrativo della Federazione internazionale, secondo in 1:50.5 in un combattuto finale degli 800, stesso tempo del tedesco Dieter Heydecke, e titolare nel terzo posto del quartetto britannico nella 4x400.
Poi, nel 1970, dal 2 al 6 settembre, il passaggio epocale della manifestazione. Per Nebiolo, nella sua Torino, l’apoteosi, e con essa l’inclinazione, ipertrofica nella sua progressione, d’essere Primo di nome e di fatto. Tutti coinvolti, nell’occasione: la benedizione di Gianni Agnelli, l’abbraccio del presidente Saragat, l’adesione controllata della irriverente e rischiosa compagine universitaria cittadina, la presenza del capo del Governo Emilio Colombo, platealmente intronizzato in tribuna con feluca goliardica. L’apertura fu celebrata in uno stadio Comunale reso colmo anche per l’accorrere di calciofili interessati all’incontro Cagliari-Sporting Lisbona, arbitrato da Concetto Lo Bello e messo in calendario al termine della cerimonia con l’aiuto di un abilissimo conciliatore di rapporti a nome Andrea Arrica. La regia fu firmata dal concittadino Bruno Beneck a chiusura di una staffetta che coinvolse i migliori atleti italiani del tempo con una fiaccola riproducente la miccia con cui, durante l’assedio di Torino del 1706, Pietro Micca aveva fatto saltare in aria, a difesa della libertà, la storica Cittadella.
Quell’Universiade mosse mezza città, e ne parteciparono amministratori civici, notabili, maestranze e semplici osservatori, con una stampa che fu sollecita ad accompagnare una festa cittadina ricca di internazionalità, e furono i locali Ormezzano, Romeo, Perucca, Perricone, Toniolo, Pacifico, Colombo, i giovanissimi Barberis e Pistamiglio, Barletti e Boscione a dirne e scriverne assieme ai Lòriga, Berra, Signori, Pirazzini, Monti, Massara, Melidoni, Pirona, Mantovani, Vespignani, giunti dal resto d’Italia. Anche tecnicamente quell’Universiade fu un trionfo, nobilitato dai primati mondiali di Heidemarie Rosendahl, 6.84 nel lungo, e di Wolfgang Nordwig, 5.46 nell’asta, con un contorno eccezionale, Renate Meissner-Stecher, Viktor Saneyev, Larry James, Valentin Gavrilov, David Hemery, Miklós Németh, Pat Matzdorf, Maria Sykora, Teresa Sukniewicz, Nadezhda Chizhova, vale a dire il meglio a portata di mano dell’epoca, la vittoria di Franco Arese sui 1.500, i piazzamenti di riguardo di Azzaro, Del Buono, Cindolo, Liani, Simeon. Con Torino, si chiuse un’epoca. Mosca, tre anni dopo, geniale anticipazione nebiolana dei Giochi dell’80, fu l’apertura di una nuova frontiera.