Guardia Piemontese, veduta dalla torre normanna

L’enclave valdese in Calabria

Guardia Piemontese venne fondata alla fine del XIII secolo da valdesi, giunti dalle alte valli del Piemonte e del Delfinato

Crpiemonte
11 min readMar 14, 2024

--

La conformazione del territorio, prevalentemente collinare (49,2%), ma comunque montuoso per un buon 41,8%, ha reso la Calabria una regione molto varia nei suoi paesaggi e scorci, talora davvero incantevoli. Molti centri nel corso dei secoli si sono “sdoppiati” tra il paese, posto su alture, e la marina. Tra le minoranze linguistiche sopravvissute in questa regione, oltre all’albanese e alla grecanica, troviamo quella occitana di Guardia Piemontese, piccolo Comune situato a 514 metri d’altezza sulla costa tirrenica cosentina. Qui un vulcano spento ha determinato il formarsi di acque sulfuree forti salsobromojodiche utilizzate per la cura delle malattie della pelle nella frazione posta direttamente sul livello del mare delle Terme Luigiane.

L’antico nome di Guardia Piemontese era Guardia Lombarda, così denominata per la posizione a picco sul mare in difesa dai Turchi.

Il perché di questa isola linguistica, unica nel Meridione, è presto detto: il centro venne fondato alla fine del XIII secolo da valdesi, giunti dalle alte valli del Piemonte e del Delfinato, che si esprimevano nella prima lingua letteraria del medioevo dopo il latino, l’occitano, una lingua d’oc di derivazione neolatina. molto diffusa in età medievale ed ancora oggi insegnata nella scuola elementare del paese.

Tutte le indicazioni stradali e toponomastiche di Guardia Piemontese sono bilingui: italiano e occitano

Pietro Valdo, protoriformatore avvolto dalla nebbia del tempo

Pietro Valdo, detto Valdès, fondatore del Movimento Valdese, fu un mercante di Lione vissuto una generazione prima di San Francesco. Sia Valdo che il “poverello d’Assisi” avevano tratto ispirazione da un versetto della Bibbia in cui Gesù aveva suggerito che per essere perfetti, prima di seguirlo bisognava vendere i propri beni e regalare tutto ai poveri. Non c’è un’ immagine attendibile di Valdo; nel 1924 gli venne dedicato un film muto, ma di lui non si conosce di preciso nemmeno il genetliaco, se non che è da registrarsi attorno al 1100. Dopo una profonda crisi spirituale, Valdo decise di vivere l’esperienza degli apostoli al seguito di Cristo. Vendette quindi i suoi beni e si dedicò alla predicazione del Vangelo. Con il ricavato fece tradurre parte della Bibbia in volgare, un fatto inconsueto ma di grande valore pratico, oltre che simbolico. Valdo non voleva ribellarsi alla Chiesa, ma contribuire a rinnovarla seguendo l’esempio di povertà e carità degli apostoli. In questo periodo infatti tra il clero c’era un alto indice di corruzione. Sia San Francesco che Pietro Valdo fecero della predicazione itinerante il loro lavoro.

Due opposti destini

I seguaci di Valdo si diffusero in tutta Europa. Arrivano anche vicino Torino, nelle cosiddette valli valdesi. Probabilmente Pietro Valdo e San Francesco conoscevano l’uno il pensiero dell’altro. Al terzo concilio lateranense del 1179 a Roma si unirono anche Valdo con i suoi seguaci. Volevano ed ottennero dal Papa l’approvazione dell’ordine ed il permesso di predicare come laici. Il movimento valdese era più forte in Francia, data l’impostazione antipapale di re come Enrico IV e V. Mentre catari ed albigesi venivano sterminati, i valdesi in un primo momento furono tutelati dal vescovo di Lione. Presto però la Chiesa cambiò idea nei loro confronti, sentendosi minacciata nella propria autorità e stabilità. Nel 1184 il movimento fu colpito da scomunica ed iniziarono le persecuzioni e l’espatrio in tutta Europa. Al contrario gli ordini francescani sono ancora oggi annoverati tra i più importanti della Chiesa cattolica.

Il perché di questa differenza di trattamento è dovuto a papa Innocenzo III. Nella Basilica d’Assisi Giotto raffigura questo pontefice mentre sogna che il fraticello sorregga le cadenti mura di San Giovanni. San Francesco infatti fu uno che obbedì (dal latino ab audire = ascoltare) alla Chiesa, prestando attenzione alla parola di Dio e di quanti ne erano i custodi. Questa è quindi la principale differenza tra i due. Mentre Valdo voleva scuotere dalle fondamenta la Chiesa, ammettendo i laici all’interpretazione della Bibbia, Francesco ne puntellava e sosteneva le mura con una nuova spiritualità. Di Valdo non si sa come, dove e quando morì. Il movimento valdese comunque si espanse in Europa grazie all’approvazione popolare. Torre Pellice oggi è la sede principale del movimento valdese. Qui troviamo il Tempio, l’Aula sinodale e il Centro di Cultura Valdese.

Il centro storico

Caratteristiche dei valdesi e differenze con i cattolici

I valdesi erano dei protoriformatori, aspramente condannati dalla Chiesa perché, pur essendo laici, predicavano il Vangelo. Ancor più scandaloso il fatto che persino le donne erano ammesse a questo compito. Con l’avvento della Riforma protestante, i valdesi vi aderirono. Naturalmente, appartenendo al gruppo delle confessioni protestanti, i valdesi:

considerano i Santi persone da prendere ad esempio ma non da venerare, in quanto nella Bibbia, che seguono alla lettera, è scritto di adorare solo Dio. Ne consegue che non usano né statue, né immagini sacre;

non riconoscono la dottrina della transustanziazione;

credono in un sacerdozio universale dei credenti, senza intermediazioni verso Dio, non riconoscono il papa, i vescovi e naturalmente i sacerdoti;

i luoghi di culto sono molto spogli e sobri, perché la vera Chiesa è costituita dalla comunione dei fedeli, non dall’edificio che ha il solo scopo di radunarli;

la comunione viene presa solitamente una volta al mese ed ha solo valore commemorativo; è un invito a partecipare alla cena del Signore. Per i cattolici invece con l’eucarestia si ripete il sacrificio di Cristo.

La riforma protestante

Perché i valdesi scelsero di stanziarsi in Calabria

Dei sei principali paesi valdesi che si formarono in Calabria (Montalto Uffugo, S. Sisto, Vaccarizzo, S. Vincenzo, Castagna), Guardia Piemontese è il solo ad affacciarsi sul mare. Sorse per ultimo, sviluppandosi attorno ad una preesistente torre normanna risalente all’incirca all’anno Mille.

Secondo una delle ricostruzioni storiche, per sfuggire alle persecuzioni e alla miseria i valdesi si stanziarono in Calabria su invito di Zanino dal Poggio, signore del feudo di Fuscaldo, con più flussi migratori collocabili tra il 1265 e il 1273. La Calabria allora rappresentava l’unico angolo d’Europa dove quattro religioni convivevano armonicamente. Infatti oltre ai cattolici vi erano:

gli Ebrei nella zona tirrenica;

i Greci ortodossi nell’area ionica;

gli arabi un po’ dappertutto.

La piccola comunità guardiola aveva una forte voglia di riscatto e registrava un elevatissimo tasso di alfabetizzazione (97%) dovuto alla necessità di saper leggere la Bibbia. Inoltre conosceva profondamente l’arte della tessitura, appresa nel Nord Italia dalla congregazione religiosa degli Umiliati, abilissimi lavoratori della lana. I valdesi in Calabria trovarono una grande quantità di materiali da sfruttare per la tessitura e da esportare: oltre alla lana, la seta, portata di nascosto dai Bizantini, il bisso, fibra animale e marina ricavata dalla Pinna nobilis, un mollusco bivalve che può raggiungere il metro di lunghezza e che si trova solo in Sicilia, Sardegna e nel tarantino. L’unica Penelope dei nostri tempi ancora in grado lavorare il bisso è una sarda, Chiara Vigo, che si immerge in apnea per recuperare questa “seta” marina, in grado di cambiare colore, dal bronzo al dorato al quasi invisibile se esposta in controluce.

La persecuzione dei valdesi

I valdesi, una volta caduti in disgrazia, presero a realizzare tessuti sfruttando l’umile e più economica ginestra, non condividendo poi il frutto del proprio lavoro con i padroni delle terre su cui abitavano. Grazie al commercio via mare i valdesi di Guardia furono in grado di pagare regolarmente i tributi dovuti al marchese Spinelli che li ospitava nelle sue terre. L’instaurazione di buoni rapporti con le popolazioni locali e la discrezione nella pratica della loro religione assicurarono alla comunità guardiola oltre due secoli di prosperità e benessere.

Il Centro di cultura “Giovan Luigi Pascale”

Per custodire e tramandare la memoria storica di Guardia Piemontese nel 1983 vi è stato istituito il Centro di cultura “Giovan Luigi Pascale“, riaperto nel 2011 in occasione del 450° anniversario della strage dei valdesi, nella notte del 5 giugno 1561. Ossimorica coincidenza… Nello stesso giorno a Torino veniva invece sottoscritta la “pace di Cavour“, con la quale era concessa ai valdesi la libertà di culto, seppur in luoghi circoscritti e senza possibilità di fare proselitismo oltre le aree concesse. L’accurata cartellonistica del Centro culturale presenta la storia valdese dall’epoca del fondatore del movimento fino ad oggi. Si può andare a visitarlo tutte le sere da giugno a settembre e su prenotazione durante gli altri mesi dell’anno. Vi affluiscono numerose scolaresche e migliaia di turisti ed ospiti, che possono usufruire di confortevoli alloggi situati nei due piani superiori.

Giovan Luigi Pascale, editore, traduttore e religioso, fu scelto dallo stesso Calvino per predicare ai valdesi di Calabria. Nel 1559 però una bolla di papa Paolo IV paventava la perdita dei beni per i signorotti locali, se avessero tollerato la presenza dei valdesi nelle loro terre. Pascale venne quindi prima strangolato e poi arso sul rogo nel 1560, di fronte a Castel Sant’Angelo. La Curia in seguito, facendo pressioni sui reali spagnoli e sui signorotti locali, spinse il Cardinale Michele Ghislieri, poi papa Pio V, a tentare la conversione tramite l’Inquisizione. Avendo fallito, i ribelli valdesi, su cui era stata posta una taglia, subirono una feroce persecuzione da parte delle truppe spagnole del Vicereame di Napoli, cui si aggiunsero anche criminali comuni cui era stata promessa in cambio l’amnistia. Vennero così annientati i paesi di San Sisto, Montalto Uffugo, Vaccarizzo, San Vincenzo La Costa, Argentina, Santa Maria La Castagna e Guardia Piemontese. Qui, secondo la versione più accreditata, non ci fu nemmeno la necessità di cingere d’assedio le mura, in quanto il feudatario Salvatore Spinelli avrebbe ingannato i guardioli facendo passare per prigionieri diretti alle carceri, 50 militari scortati da armati. Questi, nel colmo della notte, uscirono dalla prigione per andare ad aprire alle truppe dei Caracciolo la porta principale. Per i poveri valdesi si scatenò l’inferno: furono trucidati in modo atroce e le loro case vennero bruciate.

La “Porta del sangue” a Guardia Piemontese

Evitarono il massacro solo alcuni dei ragazzi migliori, presi sulle navi come rematori, belle donne, che finirono presumibilmente nei bordelli di Cosenza, dei vecchi e dei bambini, i quali restarono in loco con regole di regime. Infatti gli ex eretici:

non potevano più parlare la loro lingua;

non potevano sposarsi con altre genti;

non potevano riunirsi in gruppi di più di sei persone;

i maschi dovevano indossare l’abito domenicano, bianco con una croce rossa sul davanti.

Che il controllo della Chiesa fosse molto rigido, lo testimoniano le antiche porte con spioncino apribile solo dall’esterno, tramite le quali i domenicani, giunti nel XVII secolo, controllavano gli ex eretici in ogni momento della giornata. Di queste porte se ne possono incontrare almeno tre in giro per il paese ed una, restaurata, al Centro culturale “Gian Luigi Pascale”.

Il Centro culturale è situato in Piazza della Strage, in prossimità della Porta del Sangue, principale ingresso al paese, così denominata perchè dal castello il sangue delle vittime di quel maledetto 5 giugno 1561 si riversò per le viuzze fino ad oltrepassarla. Quella fu la “notte di San Bartolomeo” italiana. Nel complesso nel cosentino furono massacrati circa 2000 valdesi, di cui 118 solo a Guardia. I loro nomi sono incisi sulla lapide sottostante la cosiddetta Roccia di Val Pellice, nella piazza Chiesa Valdese, dove un tempo si ergeva il tempio valdese. Sopra la lapide è posto un lastrone di roccia alpina a specchio con incisa una parte di un versetto di Isaia, molto significativo per i guardioli:

Considerate la roccia da cui foste tratti…

Il entro culturale “Gian Luigi Pascale”

Solo nel febbraio 1848 i valdesi riuscirono ad ottenere dal re Carlo Alberto il definitivo riconoscimento dei diritti civili e religiosi. In Italia i fedeli di questa confessione protestante attualmente sono circa 50.000 ed i luterani spesso li aiutano economicamente.

I vestiti femminili di Guardia Piemontese hanno un loro speciale codice per identificare coloro che li indossano. Un foulard collocato a destra indicava una donna sposata; se invece è posto a sinistra, comunica che si trattava di una nubile. Le stoffe degli abiti da sposa erano in prezioso tessuto “damadoro” blu o verde con trama in filo d’oro. Tutte le esponenti del gentil sesso portavano in testa il penaglio, un singolare copricapo costituito da una struttura a forma di cuore in ferro e corde di canapa, ricoperta da nastri colorati. Intorno vi si avvolgevano i lunghi capelli intrecciati e poi il capo era coperto da un fazzoletto raccolto dietro la nuca. Questa struttura non doveva essere mai smantellata, neanche per dormire. Il risultato era che presto le donne, cui si strappavano i capelli, diventavano calve. Secondo una recente interpretazione, che dovrebbe essere la più veritiera, sia il penaglio che il fodil, il grembiule a vita alta e in stoffa pesante posto sopra le vesti, non erano indossati per pratiche di espiazione imposte dai domenicani, ma per esigenze di eleganza e decoro. Modelli simili di fodil sono stati rinvenuti vicino al Po. Era poi necessario tenere i capelli pudicamente raccolti, dato l’ambiente permeato di religiosità. Inoltre l’acconciatura con il penaglio era troppo laboriosa per essere disfatta ogni giorno.

Dopo anni di studi, abili signore, le cosiddette Tramontane Guardiole, orgogliose e fiere del lavoro di recupero della loro identità, sono in grado su richiesta di riprodurre fedelmente nel laboratorio di cucito e tessitura sotto lo stabile museale questi antichi abiti, anche su bambole di porcellana.

Ma da dove proveniva la seta usata per le vesti più prestigiose? Fu portata dai Bizantini in Calabria attorno all’anno Mille. L’oro utilizzato per gli abiti da sposa invece era arrivato qui grazie agli Ebrei, con cui la comunità locale aveva una forte interazione. Presenti in Calabria dall’anno Mille, gli Ebrei potevano svolgere in esclusiva la professione di tintori di stoffe, ma poiché erano malvisti in quanto considerati eretici, le loro vasche di tintura erano collocate fuori dalle mura cittadine. Oggi si possono ancora vedere a Civita, piccolo Comune in provincia di Cosenza, uno dei ventuno centri albanesi della Calabria. Nel 1532 gli Ebrei vennero cacciati da leggi razziali per stroncare l’usura.

Il recupero dei sentieri dei valdesi

Sicuramente erano adoperati dai barba, i predicatori itineranti valdesi che viaggiavano sempre in coppia e che forse hanno dato il nome al Lago dei Due Uomini del vicino centro di Fagnano Castello. Lungo i sentieri sono stati trovati due tipi di felci risalenti al Terziario. Una è la gigantesca Woodwardia radicans, con foglie fino a tre metri di lunghezza e l’altra è l’Osmunda regalis, unica felce europea con il tronco. Questa pianta ha subito una drastica riduzione ed in alcune aree ha addirittura rischiato l’estinzione, dato il prelievo indiscriminato di pani di terreno contenenti le sue radici, utilizzate per la coltivazione delle orchidee. I boschi alle spalle di Guardia Piemontese rappresentano la zona a più alta densità vegetativa d’Italia, con faggete che impediscono la vista del cielo. Il tritone alpestre endemico si trova solo qui.

Fonte: Cristina Franco, L’ultima enclave occitana del Meridione

--

--

Crpiemonte

Il canale Medium ufficiale del Consiglio regionale del #Piemonte, dove raccogliamo notizie e approfondimenti.