Mondine al lavoro negli anni Cinquanta

L’epopea delle mondine tra canto e lotta

Il trapianto e la monda duravano in tutto una quarantina di giorni, tra maggio e giugno, e richiedevano le braccia di decine e decine di migliaia di persone

Crpiemonte
5 min readFeb 14, 2023

--

di Mario Bocchio

Le condizioni di lavoro delle mondine erano faticose: l’orario era pesante e la retribuzione delle donne era molto inferiore a quella degli uomini.

Questo fece crescere il malcontento che, nei primi del ‘900 sfociò in agitazioni e in tumulti. La principale rivendicazione, ben riassunta dalla canzone “Se otto ore son troppo poche”, mirava a limitare a otto ore la giornata lavorativa e riuscì a ottenere alcuni risultati tra il 1906 e il 1909, quando interi comuni del Vercellese approvarono regolamenti che accoglievano questa richiesta.

La lotta sindacale

Le otto ore vennero conquistate grazie a una lotta organizzata da un personaggio locale socialista, l’avvocato Modesto Cugnolio. Il canto di monda ha sempre raccontato le condizioni di lavoro di queste donne nella risaia, chinate sotto un sole cocente, con i piedi e le gambe nell’acqua, tormentati da sanguisughe, bisce, tafani e zanzare. Questo lavoro ha sempre colpito l’immaginario popolare e ha ispirato anche opere letterarie e cinematografiche, come “Riso amaro” del 1949, diretto da Giuseppe De Santis, sceneggiato da Carlo Lizzani e interpretato dall’affascinante Silvana Mangano con Vittorio Gassman e Raf Vallone.

Il trapianto e la monda duravano in tutto una quarantina di giorni, tra maggio e giugno, e richiedevano le braccia di decine e decine di migliaia di persone, che si spostavano dal Polesine, dal Bergamasco e dall’Emilia per andare nei centri di produzione del riso: la Lomellina, il Pavese, il Novarese e soprattutto il Vercellese, che era l’area agricola più importante d’Italia. Si pensi solo, ad esempio, che in un paese come Livorno Ferraris arrivavano ad esserci quasi quattromila mondine. Si trattava di un esodo, per cui possiamo trovare un qualche parallelo con quello dei soldati contadini della guerra 1915-‘18: masse di cafoni meridionali che salivano al Nord per andare a combattere e a morire in quella grande carneficina che è stata la Prima guerra mondiale.

Il celebre film “Riso amaro”

Ma in questo esodo si incontravano con altri italiani, si parlavano, vivevano nelle stesse condizioni ambientali, unificavano i loro linguaggi, intrecciavano le loro culture e le loro abitudini. Si può dire che solo allora l’Italia cominciò a essere unita. Per la monda, sia pure in termini più modesti, avvenne un po’ la stessa cosa: un esercito di donne, di estrazione contadina, provenienti tutte da comunità sostanzialmente repressive e tradizionali, con valori profondamente maschilisti, uscì da quello stato di soggezione e per quaranta giorni visse altrove, una vita molto simile a quel del soldato. Concetti ribaditi più volte dal noto scrittore e studioso torinese del canto popolare Emilio Jona. Infatti le mondine forestiere partivano dai loro paesi di origine su tradotte, ingaggiate da una sorta di “caporali” che organizzavano il loro lavoro; le loro valigie erano delle cassette di legno simili a quelle dei militari, vivevano in dormitori, mangiavano il rancio, avevano una libera uscita, tutto come in una caserma, erano quindi una sorta di esercito femminile. I ragazzi borghesi scendevano la sera alla ricerca di mondine, ad esempio verso Carisio, Arborio, Quinto Vercellese, Ronsecco e San Germano.

Credevano di andare a caccia di ragazze, ma in realtà erano loro a essere i cacciati. C’è ancora chi si ricorda la scritta su di una cascina “Non si accettano non motorizzati”. Erano quindi loro le figure dominanti, erano loro a scegliere e a cercare l’altro sesso in una sorta di gioco e di avventura (a volte sfociante in un matrimonio), ed era soprattutto un piacere del corpo che si acquietava e si liberava dopo la dura fatica del lavoro. E c’era anche questa temporanea scoperta della sessualità e dell’indipendenza, accentuata dal vivere tra donne, e ciò lo si nota anche se si raffronta la canzone di monda con quella di filanda: la canzone di monda è un canto più allegro, gioioso e vitale perché sta fuori dai vincoli repressivi delle comunità d’origine, si espande, anziché nel chiuso, in luoghi aperti, racconta una dura fatica, ma anche una ritrovata libertà. Molte volte le forestiere lavoravano assai di più delle mondine locali. Peraltro c’era spesso un rapporto abbastanza conflittuale tra le mondariso locali e quelle immigrate, che sovente erano viste come delle crumire. E talvolta lo erano veramente, perché durante gli scioperi venivano portate in risaia per supplire alla carenza di manodopera locale.

Saranno poi il socialismo e le leghe contadine a unificare queste due componenti del mondo del lavoro. E qui vediamo l’importanza delle leghe e del socialismo anche nel mondo delle campagne. La jacquerie contadina (il termine jacquerie prende il nome dalla rivolta avvenuta in Francia nel 1358 ad opera dei contadini, definiti sprezzantemente dai nobili Jacques Bonhomme) nei secoli passati, si era frantumata in tante rivolte locali, disorganizzate e spontanee ed era sempre stata repressa nella violenza e nel sangue. Ora il socialismo si presenta, per la prima volta nella storia, come il movimento capace di offrire una prospettiva unitaria e un disegno organico di emancipazione delle classi subalterne. Ai poteri forti della chiesa, della nobiltà e dello stato, il socialismo oppone un’ideologia e una pratica capace di realizzare migliori condizioni di vita e di lavoro e una liberazione, anche culturale, degli operai e dei contadini, che acquistano tramite il socialismo coscienza di sé, del proprio valore e dei propri diritti.

Tenuta “Colombara”, il nmuseo delle mondine

Concetti ben presenti nella visione rurale della rivoluzione fascista, che considera il nucleo contadino come esaltazione dell’istituzione della famiglia e si sofferma sulle provvidenze assistenziali, un importante elemento di mutamento rispetto ai decenni precedenti, che contribuisce anche alla pacificazione delle mondine negli anni ‘30.

La storia scorre veloce come la pellicole di un film. Poi sono arrivati i diserbanti e il lavoro della monda è finito. Guardi ciò che rimane dei dormitori, oggi deserti e molti diroccati, ancora immersi nella risaia, e la terra ti sembra ancora imperlata del sudore di quella gente. Quelle strade che uniscono le cascine alle frazioni e ai paesi da sempre sono un via e vai di vita, di storie e aneddoti che legano le persone ai luoghi in cui sono nate e vissute a ancora vivono, come un arcano filo conduttore.

--

--

Crpiemonte
Crpiemonte

Written by Crpiemonte

Il canale Medium ufficiale del Consiglio regionale del #Piemonte, dove raccogliamo notizie e approfondimenti.

No responses yet