Lhi pelassiers della Valle Maira
Parliamo dei raccoglitori e venditori di capelli. Le origini restano indeterminate fra tradizione orale e leggenda
Fondata sulle attività agro-pastorali, l’economia di Elva apparve sempre inadeguata a soddisfare le esigenze della popolazione residente, confinata in alta quota e in permanente lotta con il problema delle comunicazioni. Insuperabile il divario tra densità demografica e risorse.
Unico rimedio l’emigrazione, largamente praticata dall’autunno alla tarda primavera quando il risveglio della natura richiamava il montanaro ai lavori agricoli. Partiva l’uomo adulto lasciando a donne, vecchi e bambini la cura di casa e stalla. Talvolta lo seguiva il figlioletto da poco decenne, collaboratore in taluni mestieri, in ogni caso due bocche in meno da sfamare al magro desco familiare durante il lungo inverno.
Destinazione, per lo più Piemonte e Lombardia, ma pure e soprattutto la Francia. Quale l’offerta di lavoro? Privilegiati erano coloro che già disponevano di un mestiere, spesso attesi nei paesi e nelle cascine al loro passaggio stagionale: arrotini, bottai, bastai, cardatori di canapa, …. Difficile invece la situazione di chi, privo di una specifica “abilità”, offriva soltanto buona salute e forza di braccia. Lo attendevano i lavori più umili. Tra i due estremi, un terzo sbocco: il commercio.
Qui contavano lo spirito d’iniziativa unito alla capacità di entrare in relazione con il prossimo e possibilmente la disponibilità di un piccolo capitale iniziale per l’acquisto della merce. I risultati potevano essere molto soddisfacenti, continuativi e tali da far approdare il commercio itinerante e temporaneo ad attività stabili di notevole consistenza e redditività.
La Val Maira offre in proposito il caso emblematico degli “anciuìe”, i venditori di acciughe. E con esso il caso tutto elvese, non meno singolare, dei “pelassiers”: i raccoglitori e venditori di capelli. Le origini restano indeterminate fra tradizione orale e leggenda. Se tale è senza dubbio il riferimento ad una favolosa fata dai capelli d’oro, si contendono la palma dell’autenticità due versioni.
Una porta a Venezia e a lavoranti veneziani della fine del XVIII secolo con la variante di un soldato, tornato al paese nel 1797 dopo la pace di Campoformio, che sempre a Venezia avrebbe avuto la sua iniziazione. L’altra più plausibilmente conduce alla Parigi della seconda metà dell’800. Qui un intraprendente cameriere di Elva avrebbe sfruttato il casuale incontro con acquirenti americani di capelli, destinati alla fabbricazione di parrucche, per vendere loro le chiome della sorella e delle sue amiche.
Tra le due versioni, come non lasciare spazio alle notizie che vengono da E. Dao e da G. Eandi? Il primo trovò negli Ordinati dell’Archivio storico comunale di Elva, citato tra i consiglieri comunali degli anni 1828–1830, tal Dao Giò Pietro “negoziante in cascami” (di capelli). Il secondo, nel capitolo Commercio del suo “Statistica della Provincia di Saluzzo” (1835), inserì la voce Capelli e riferì di due negozianti, rispettivamente in Savigliano e in Saluzzo, praticanti il commercio di capelli acquistati “dai parrucchieri o direttamente nelle campagne” dove sono in particolare “le contadinelle” che “non isdegnano di sacrificare una lunga capellatura al prurito di ottenere un nastro, un fazzoletto od altro ornamento”.
Non vi è alcun riferimento ad Elva ma di fatto si descrive il lavoro dei pelassiers, probabilmente praticato in diverse comunità prima di divenire prerogativa di Elva (fra esse sicuramente Oncino in Valle Po). Va menzionato anche G. Rajna. Nel suo “Vito Gramo” (1991) sostiene trovarsi la matrice dei raccoglitori di capelli in un altro mestiere, quello di ambulante di stoffe. Sarebbe stata questa l’attività originaria. L’ambulante, fiutata l’esistenza di un mercato dei capelli, avrebbe poco a poco abbinato le due operazioni, con una mano vendendo stoffe e con l’altra acquistando proprio i capelli che avrebbe poi rivenduto ai grossisti. Ciò fin quando la seconda attività si dimostrò più lucrativa e soppiantò la prima confinando le stoffe ad articolo di baratto. Comunque nato, è certo che il mestiere di pelassier si affermò e arrivò sino alla metà del secolo scorso.
Quali le sue caratteristiche? Il mestiere comportava il lungo girovagare dai mesi di ottobre o novembre a maggio per paesi e campagne. Scopo, convincere le donne a privarsi della chioma in cambio di denaro, o più frequentemente di lana, canapa e soprattutto di un taglio di stoffa. Il materiale raccolto era ceduto a grossisti o lavorato per essere poi destinato alla fabbricazione delle parrucche. Fondamentale, per l’esercizio del mestiere, la capacità di persuasione. Occorreva quindi un certo stile, che si esprimeva nell’abbigliamento curato e nello charme in qualche modo da seduttore. Ne era vittima la titolare della capigliatura, magari suggestionata dall’annuncio che la moda aveva adottato i capelli corti, ma più spesso spinta al sacrifico dalla sua povertà e dal desiderio di un nuovo grembiule (col complemento di un fazzoletto per coprire il cranio fino alla ricrescita della chioma). Né raro era il caso della madre che vendeva i capelli delle figliuole, insensibile ai pianti delle stesse.
Importantissimo era sbrogliarsela con lingua e dialetti locali, senza i quali non ci sarebbe stata comunicazione ma era altrettanto importante poter dialogare fra pelassiers senza che gli altri comprendessero; da qui la creazione di un gergo impenetrabile il cui apprendimento faceva parte dell’iniziazione dei giovani quando entravano nel mestiere. Raggio d’azione? Estesissimo. Nord Italia in primo luogo, ma pure le Marche furono frequentate. Una predilezione esisteva per il Veneto, dove, secondo molte testimonianze, la qualità del capello e la povertà della gente andavano a braccetto. Anche l’estero era praticato: Francia, Spagna, persino Scandinavia.
I tratti lunghi di viaggio erano percorsi in treno e poi, a piedi, si setacciava il territorio prescelto. Sacchi di iuta servivano a raccogliere i capelli, un sacco conteneva i tagli di stoffa da offrire in contropartita, un altro di grossa tela faceva da sacco a pelo per le notti trascorse in fienili o pagliai. Il materiale veniva concentrato in punti di raccolta. Un pelassier metteva mediamente insieme dai 50 agli 80 chilogrammi di capelli. Alcuni effettuavano subito la rivendita al grossista, altri portavano la merce a Saluzzo dove, prima del rientro a Elva, si svolgeva un vero e proprio mercato. La merce era valutata in relazione a finezza, ondulazione, colore e lunghezza. Unità di misura il peso, salvo i casi di trecce di particolare lunghezza che facevano caso a sé e spuntavano prezzi molto elevati.
Testo a cura di http://www.chambradoc.it/
Il Museo di Elva https://elvavallemaira.it/il-museo/