Sergio Gilardino

Lingua madre, tradizione e integrazione: ‘L piemontèis a l’é mè pais

La poesia possa in qualche modo può avvicinare i popoli

Crpiemonte
5 min readFeb 7, 2023

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di Mario Bocchio

Cosa rispondere a chi dice che il piemontese non ha dignità per essere considerata una lingua? Ne abbiamo parlato con due noti personaggi: il poeta Remigio Bertolino e il professor Sergio Gilardino.

“Credo che la ‘koinè’ piemontese abbia pieno diritto all’appellativo di lingua, non così per i dialetti locali privi di tradizione letteraria, ma che sono diventati però per tanti poeti neodialettali ‘lingua di poesia’. Il carattere schivo e appartato dei piemontesi ha contribuito a lasciare in ombra, a trascurare le grandi figure dei poeti che hanno ‘cantato’ in piemontese. Un esempio, tra tutti, Ignazio Calvo (Torino 1773–1804), autore delle impareggiabili Favole morali, che meriterebbe di essere allineato a Carlo Porta e Gioacchino Belli”, risponde Bertolino, monregalese, maestro elementare che ha provato anche l’esperienza di lavorare nelle acciaierie.

Remigio Bertolino

Ha iniziato a scrivere in dialetto piemontese negli anni Settanta con il racconto breve dedicato alla figura materna scomparsa giovane, Mia mare (Mia madre), illustrato da due acqueforti di Teresita Terreno, A l’ansëgna dij Brandé, 1976. “Che vadano a consultare le storie della letteratura piemontese (Gandolfo-Pacòt, Brero, Clivio, ecc.), in più volumi, a leggere una dozzina di capolavori letterari (teatro, prosa, lirica) tra le centinaia disponibili, che soppesino il lessico dei più voluminosi dizionari e che, poi, consci della propria ignoranza, facciano voto di silenzio perpetuo: quando non si sa la cosa migliore è tacere”.

“Ël vos”

Molto più diretto Gilardino, che annovera una laurea in lingue e letterature germaniche alla Bocconi e il dottorato in lingue e letterature romanze a Harvard. Docente di lingue e letteratura all’Università McGill di Montreal, in Canada, ha realizzato dizionari di varie lingue minori. Ha poi lavorato al dizionario della lingua provenzale alpina. Nella scuola a tempo pieno di Bastia Mondovì Bertolino ha proposto per vari anni il piemontese con i Corsi di Prima mignin. Ama raccontare un’esperienza unica di come la poesia possa in qualche modo avvicinare i popoli: “Un anno trovai a settembre, in classe, una bambina rumena che non conosceva nulla d’italiano, ma che in due mesi acquisì una discreta base di comprensione. Per la rappresentazione teatrale di Natale proposi di tradurre Colinda, una poesia natalizia del poeta rumeno Lucian Blaga. Avevamo una traduzione italiana, che ci servì da specchio. Aiutati dalla bambina procedemmo alla versione nel nostro dialetto. La bambina si sentì al centro della nostra attenzione e ci aiutò intervenendo con osservazioni e questo favorì molto il suo inserimento”.

“Prima mignin”

L’Italia è in fondo un paese privo di una politica linguistica, guidato da linguisti che pensano ancora alla lingua come “prestigio” e mancano di una chiara visione sulla necessità di salvare il residuo patrimonio linguistico ancestrale. “Un’oculata politica linguistica di ripristino e di valorizzazione porterebbe a una drastica riduzione del monolinguismo (l’Italia è all’ultimo posto tra i paesi dell’Unione europea per il bilinguismo), a una migliore accettazione delle classi popolari e degli anziani e a una integrazione degli immigranti nel pieno riconoscimento di ciascun cittadino di conservare la propria identità linguistica - spiega Gilardino -. Le autorità canadesi dagli anni Ottanta agli anni Novanta hanno investito 4.000 milioni di dollari per il biliguismo, il multiculturalismo e la salvaguardia di tutte le lingue amerindiane e degli immigranti. Tra gli amerindiani la reintroduzione, nelle scuole e nei focolari domestici, proprio delle lingue ancestrali è coincisa con una netta riduzione del tasso di alcolismo, di violenza familiare e di suicidio tra i giovani. Tra anglofoni e francofoni nella sparizione di qualsiasi forma di violenza. Tra gli immigranti in un senso di uguaglianza e di piena e dignitosa accettazione della loro presenza e del loro modo di essere. Il Canada, grazie anche alle sue politiche linguistiche, diametralmente opposte a quelle degli Stati Uniti, gode di uno dei tassi più elevati al mondo di con-vivenza pacifica dei gruppi etnici più disparati e di una pressoché totale assenza di terrorismo e di sommosse”.

Quando iniziò a scrivere poesie, Bertolino usò subito l’italiano, ma si rese poi conto che qualcosa non funzionava. Quella che usava era una lingua acquisita, assimilata a fatica, suonava vacua e retorica in bocca ai suoi personaggi di montagna, soprattutto nei monologhi drammatici di cui si serviva. Capì che non poteva più far esprimere in una lingua “straniera” la povera gente di campagna, con cui aveva vissuto fianco a fianco nelle dure fatiche quotidiane. Passò quindi all’uso della lingua materna, un dialetto arcaico, duro ed essenziale, che sentiva nelle lunghe ore invernali, passate accanto al fuoco con la nonna. Un bimbo che in casa apprende dai genitori, o da chiunque faccia parte permanente dell’entourage familiare, una o più lingue (siano essi maggiori o minori), in seguito imparerà meglio le lingue nazionali e internazionali. “Studi condotti sui figli degli emigranti in Canada e sui figli delle popolazioni amerindiane provano che i bimbi che parlano la lingua ancestrale in casa imparano molto meglio in seguito l’inglese e il francese”, conferma Gilardino.

Haiku giapponese

Purtroppo la letteratura piemontese è pressoché sconosciuta dagli insegnanti, apprezzata solo da un ristretto cenacolo di addetti ai lavori. “Nella mia lunga esperienza di insegnante ho spesso invitato a scuola poeti in piemontese. Con il monregalese Carlo Regis abbiamo fatto scoprire a molti alunni e insegnanti la sintesi e la bellezza dell’haiku giapponese. I suoi magnifici monologhi di cani e gatti sono stati la scintilla che ha spinto tanti bambini a calarsi nella parte degli animali e a scrivere testi poetici in piemontese, intensi e commoventi. Con i vecchi programmi di storia, quando in quinta arrivavo ai moti carbonari, dettavo la poesia di Angelo Brofferio Ël pòver esilià, con grande stupore ma anche interesse da parte degli alunni”, fa notare Bertolino.

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