
Olmi, il regista che diede voce gli ultimi
La scomparsa di Ermanno Olmi, nel maggio di due anni fa, ha lasciato un grande vuoto nella cultura e nel cinema italiano
di Marco Travaglini
Il grande maestro era nato a Bergamo il 24 luglio del 1931 e morì a 86 anni ad Asiago,in provincia di Vicenza, dove riposa uno dei suo grandi amici, quel Mario Rigoni Stern che con lui sceneggiò (insieme a Tullio Kezich) il film “I recuperanti” nel quale Olmi narrava la vicenda di chi si guadagnava da vivere sull’altipiano dei Sette Comuni, recuperando i residuati bellici metallici della Grande Guerra.

Olmi era nato in una famiglia contadina profondamente cattolica e aveva trascorso la sua infanzia tra la periferia milanese e la campagna bergamasca di Treviglio. Per mantenersi agli studi di arte drammatica e poter diventare, seguendo i suoi sogni,regista e sceneggiatore, trovò lavoro alla Edison, dove realizzò una trentina di documentari tecnico-industriali, alcuni dei quali girati in alta Val d’Ossola e Formazza,raccolti nel bellissimo dvd “Gli anni Edison”. Il suo primo lungometraggio.

“Il tempo si è fermato” del 1959 , è un piccolo gioiello nel quale si narra con grande delicatezza e scarno verismo il rapporto tra uno studente e il guardiano di una diga in un contesto fatto di grandi spazi e silenzi.

Due anni dopo la sua seconda regia cinematografica (“Il posto”) venne presentata alla Mostra del Cinema di Venezia, ottenendo con merito il premio della critica. Nel 1965 Olmi realizzò una straordinaria biografia filmata di Papa Giovanni XXIII, omaggiando il suo conterraneo Angelo Giuseppe Roncalli in “E venne un uomo”) senza incorrere nel rischio di proporre un ritratto agiografico del “Papa buono” di Sotto il Monte al quale si sentiva unito dalle comuni radici bergamasche.

Regista di rara sensibilità sociale, pioniere nel campo del documentario, Olmi è tra coloro che hanno saputo, con lucidità e grazia, dare voce e immagine agli ultimi, regalandoci autentici capolavori come “L’albero degli zoccoli”, “La leggenda del santo bevitore” (Leone d’Oro a Venezia nel 1988),”Il mestiere delle armi”, “Centochiodi” e il bellissimo “Torneranno i prati”, il suo ultimo piccolo-grande film contro la guerra che raccontava il primo conflitto mondiale.

Se per tanti il suo nome è legato alla vicenda della famiglia contadina narrata in dialetto bergamasco de “L’albero degli zoccoli”, con la quale vinse quarantadue anni fa la Palma d’Oro al Festival di Cannes, è giusto ricordare due degli ultimi lavori che richiamano il legame tra la fede e quell’idea di “chiesa dei poveri” legata al Concilio Vaticano II.

Il primo risale a nove anni fa quando Olmi realizzò “Il villaggio di cartone”, una pellicola dedicata al tema dell’immigrazione, nel quale racconta la “conversione” di un vecchio sacerdote che ritrova la fede aiutando gli immigrati clandestini. Un anno prima di morire girò il suo ultimo documentario dedicato a Carlo Maria Martini, l’indimenticabile “cardinale del dialogo”. In una sorta di testamento artistico e spirituale lungo gli ottanta minuti di “Vedete, sono uno di voi” il grande regista sintetizza con efficacia poetica la vita di Martini, dal letto di morte a ritroso fino alla sua nascita, a Torino nel 1927, ripercorrendone la storia attraverso un secolo tra fascismo e democrazia, l’iniziazione del giovane prelato presso i Gesuiti, gli anni di piombo e l’assassinio di Aldo Moro, la figura di Giovanni Paolo II e i turbolenti due decenni di fine secolo, fino al il ritiro dell’Arcivescovo di Milano a Gerusalemme cove continuò gli studi biblici.

La storia di una vicenda umana raccontata attraverso immagini di repertorio, le parole del cardinale e spezzoni di film girati dallo stesso Olmi. Un grande regalo da parte di un uomo che, attraverso i suoi film, non mancava mai di rammentarci che “la semplicità è la necessità di distinguere sempre, ogni giorno, l’essenziale dal superfluo”.