
Pellizza, Morbelli e Balla tra pittura e fotografia
Pittura e tecnica fotografica furono punti d’incontro fra tre noti artisti che operarono in Piemonte e non solo, a cavallo tra Otto e Novecento: Balla, Pellizza e Morbelli
di Cristiano Bussola
L’incontro con Pellizza all’Accademia Albertina sul finire del XIX secolo, avvenuto su presentazione del fotografo Oreste Bertieri, fu determinante per Giacomo Balla. In quel periodo il pittore di Volpedo soggiornava a Torino, dove era partecipe del clima di socialismo unitario caldeggiato in città da Giovanni Cena ed Edmondo De Amicis. Il successivo incontro a Roma, dove Sibilla Aleramo e lo stesso Cena stavano organizzando scuole per i contadini analfabeti dell’Agro Pontino, resero ancora più intensa l’ amicizia tra i due artisti, accomunati dall’ afflato umanitario verso emarginati, poveri e umili lavoratori, soggetti dei loro quadri. Balla ne ”Il polittico dei viventi” (giornata dell’operaio, il mendicante, la pazza, il contadino) dipinti poco dopo il “Quarto Stato” di Pellizza del 1901, “Venduta”, ”Bambina malata” e “Per ottanta centesimi” di Morbelli propone temi affini per tecnica e contenuti anche se il pittore monferrino, pur partecipe emotivamente, è più realistico, meno polemico e utopistico.

Ma c’è un altro motivo di unione d’intenti: l’amore per la fotografia. Balla era fotografo come il padre, Pellizza dava spesso tagli in diagonale alle opere, Morbelli riteneva questo mezzo indispensabile supporto da tenere sotto gli occhi per completare il dipinto in sostituzione dell’ausilio degli schizzi en plein air. I rapporti tra il Divisionismo e gli anni iniziali dei Futuristi sono lampanti se confrontiamo” Il sole” di Pellizza e “Lampada ad arco” di Balla: stessi i colori divisi per dare una luminosità colta con mescolanza ottica secondo la tecnica del neo impressionismo, diverso lo spirito contenutistico e simbolico. Nell’uno la luce è solare, pensata attraverso il lirismo panteistico della natura e, come asseriva Primo Levi, ”metafora del sole dell’avvenire di giustizia sociale” mentre nell’altro, ormai firmatario del Manifesto dei pittori futuristi del 1910, è esaltazione delle invenzioni moderne che, all’insegna della dinamicità, come auspicava Marinetti, “uccidono il chiaro di luna” inteso come passatismo.
Il ricordo dei primi anni divisionisti ritornerà tuttavia ancora in Balla, dopo l’euforia modernista, quando l’artista si dedicherà di nuovo al figurativo che aveva accantonato per trent’anni.