Pelè sul campo del “Moccagatta”
Edson Arantes do Nascimento, forse il più grande di tutti i tempi, ha appena compiuto 80 anni: giocò una storica partita ad Alessandria. Che ancora oggi viene tramandata da padre in figlio
di Mario Bocchio
Correva l’anno 1968 e per celebrare degnamente gli ottocento anni della città di Alessandria venne organizzata un’amichevole di assoluto lusso, niente poco di meno che contro gli assi brasiliani del Santos, gli stessi che nel 1962 e 1963 avevano conquistato due Coppe Intercontinentali di fila incantando il mondo.
Ma la notizia rimane ancora, a distanza di tanti anni, che sul terreno del “Moccagatta”, che sino allora aveva visto le gesta dei grandi campioni della scuola alessandrina, si esibì Pelè, a nostro avviso il più grande calciatore di sempre. Tre volte campione del mondo con il Brasile, nella sua carriera (praticamente per intero giocata proprio con la maglia del Santos, se si esclude l’ultimo atto con i Cosmos di New York) mise a segno più di mille gol ed i difensori che dovettero affrontarlo ricorsero regolarmente, come Trapattoni, all’uso smodato dei tacchetti sulle caviglie. Più bravo di Maradona e di Messi? Sono frutti di due ere diverse, ma la risposta l’ha fornita recentemente proprio O’Rei: “Quando qualcuno farà mille reti come me allora ne potremo riparlare!”.
Punto e basta. Ma torniamo a quella partita in riva al Tanaro. La squadra paulista era solita schierarsi con questa formazione tipo: Claúdio; Carlos Alberto, Ramos Delgado, Djalma Dias e Rildo; Clodoaldo e Negreiros, Abel, Toninho Guerreiro, Pelé e Edu. Allenatore era Antonio Fernandes (Antoninho).
I Grigi vivacchiavano in serie C, guidati dalla panchina e dal campo dall’oriundo Francisco Ramon Lojacono che, con la potenza devastante del suo tiro, fece sognare un’intera generazione di tifosi grigi.
Al suo fianco gente come Chinellato, Moriggi, Berta, Legnaro, Silvano Villa, Tomy e Tony Colombo. La sfida contro il Santos venne giocata in notturna ed i Grigi alla fine, pur penalizzati dall’enorme divario, ricevettero i complimenti dal “mito”.
L’Alessandria indossò una divisa completamente blu, episodio unico. Il Santos, con il classico completo bianco, rapì la vista ed i sentimenti dei tifosi. Quel fenomeno con il numero 10 compì prodezze degne della sua fama. Allora non era consuetudine scambiarsi le maglie tra giocatori a fine partita ma proprio Pelè uscì dal terreno di gioco indossando la maglia dell’Alessandria col numero 10!
IL TABELLINO
12 giugno 1968
Alessandria-Santos 0–2
Alessandria: Storto; Trinchero, Legnaro; Gori, Lesca (Eco), Lojacono; Cervio (Bonfanti), Berta. Rampanti, Chinellato (Magistrelli), Bonfanti (Recagni).
Santos: Gilmar; Turcao, Ramos, Oberdan, Geraldo; Clodoaldo, Lima, Amaury, Toninho, Pelé, Abel.
Arbitro: Carminati di Milano.
Reti: 48′ Pelé, 58′ Toninho.
Fu una partita che ancora oggi viene tramandata di padre in figlio, proprio come racconta Gigi Poggio, allora bambino e oggi responsabile della comunicazione dell’Alessandria.
“C’e’ un ricordo che mi torna in mente quando penso a quella sera di metà giugno del ’68, quando il Santos affrontò l’Alessandria. Non pensate solo alla suggestione e allo stupore che potevano sorgere in un undicenne, per la prima volta dentro al Moccagatta, illuminato alla luce dei riflettori. A me, quella notte, infatti, fecero effetto soprattutto quelle scarpe tutte nere, lucide, quasi guantate dei brasiliani. Eh, già, per la prima vedevo scarpini con le stringhe dello stesso colore della calzatura che suscitare un effetto cromatico inusuale, tanto da farmi apparire ancor più elegante e dinoccolato il passo e il palleggio di Pelè e compagni. Il Santos, il mitico Santos era arrivato ad Alessandria nell’ambito dei festeggiamenti previsti per l’ottavo centenario della città. Il Comitato organizzatore, pur tra le polemiche e la dietrologia, anche allora imperanti in città, aveva pensato a una serie di appuntamenti di grande suggestione: prima il Santos e poi, a metà luglio, sempre al Moccagatta, gli Harlem Globetrotters, straordinari interpreti di un basket che mischiava tecnica, spettacolo e comicità. Grazie all’appuntamento con la squadra di Pelè, Alessandria si era guadagnata spazio anche nelle pagine sportive dei quotidiani nazionali.
Tra un titolo su Eddy Merckx e uno sui Giacomo Agostini, trionfatore al Tourist Trophy, Lojacono e compagni avevano la possibilità di emergere, almeno una volta in tutta la stagione, dall’anonimato di un’annata, la prima in Serie C, dopo gli anni della B e della A, segnata da risultati decisamente deludenti. Partiti l’anno prima con ambizioni di promozione, ma evidentemente impreparati a cogliere quegli obiettivi, i Grigi avevano bruciato via via una serie di allenatori, senza peraltro scongiurare l’epilogo drammatico della retrocessione. Inevitabile che il pubblico, in quella prima stagione di C, si fosse allontanato, tornando in massa al Moccagatta solo in occasione della sfida con la squadra di Pelè. Ingaggiati con un cachet di 25.000 dollari, circa quindici milioni di lire, i brasiliani erano arrivati nel mezzo di un lungo tour che li avrebbe portati su altre piazze per altre remuneratissime amichevoli. La città li accolse con tutti gli onori, come si conveniva, d’altronde, nel caso di ospiti così prestigiosi. In quel momento, il Santos era soprattutto la squadra di Pelè. A parte l’anziano portiere Gilmar, campione del mondo con la Seleção in Svezia e Cile e il terzino della nazionale carioca Clodoaldo, la formazione di bianco vestita, portava con sè l’alone del mito leggendario del suo numero 10, in quel momento, indiscutibilmente, lo sportivo più importante del mondo. Dall’altra parte, i Grigi in blu elettrico, con il mitico Ramon Lojacono a guidarli in una sfida che sarebbe entrata nella storia della società e della stessa città che quella sera aveva gremito lo stadio, nonostante la temperatura non propriamente estiva. Della partita ricordo poco, se non una gran punizione dello stesso Lojacono che, inarcata la schiena, aveva sparato un missile verso Gilmar che aveva abbozzato la parata a mani aperte, con lo sciaff dei palmi che aveva risuonato in tutto lo stadio. Lo spettacolo vero era però il palleggio elegante degli ospiti, punteggiato dalle loro voci che ne sottolineavano la sequenza; una danza fatta di stop di petto, tacchi e palle serviti di controbalzo. E Pelè ci mise del suo, con un paio di discese palle al piede, di quelle in cui si vedeva la sua classe di funambolo e la sua potenza di atleta, con un gol propiziato da un suo affondo, chiuso dopo una triangolazione, con un destro basso, nell’angolino. Quel calcio a colori, in un’epoca di tv in bianco/nero resta comunque un ricordo indelebile, nella memoria di un undicenne. Altra epoca, altro calcio, stessa magia”.
Bibliografia: www.musegrigio.it