Quarantotto anni fa la strage di Alessandria
La rivolta nel carcere si concluse con la morte di sette persone
di Mario Bocchio
“Mettete i giubbotti anti proiettile, venite giù, venite giù, i detenuti hanno le armi”. Iniziò così la rivolta nel carcere di Alessandria il 9 maggio 1974 in cui morirono sette persone: gli Agenti di Custodia appuntato Sebastiano Gaeta e il brigadiere Gennaro Cantiello, il medico Roberto Gandolfi, l’assistente sociale Graziella Vassallo Giarola, Pier Luigi Campi insegnante della scuola del carcere, e due dei tre detenuti che guidarono la rivolta Cesare Concu e Domenico Di Bona (Everardo Levrero si salvò).
La testionianza è di Leonardo Salerno, nel 1974 aveva 20 anni, da due lavorava al Don Soria e si è congedato da comandante di Reparto nel 1997.
Lo ha raccontato a La Stampa che alla vicenda ha dedicato ampio spazio nel quarantennale della tragedia.
L’allarme scattò alle 10: “Correte c’è una rivolta in carcere”. Allora il Don Soria era l’istituto per le lunghe pene, mentre in via Parma c’era il circondariale.
Era un giovedì, il 9 maggio, vigilia di voto: la domenica per la prima volta gli italiani avrebbero partecipato ad un referendum per decidere se mantenere o meno la legge sul divorzio.
Cominciò una lunga, snervante trattativa. I mediatori furono diversi, fra cui alcuni giornalisti e religiosi: tutta gente di cui per un motivo o per l’altro i rivoltosi si fidavano. Dettarono le condizioni: a loro un pulmino e la garanzia di non essere seguiti. Detto così un piano semplice e un po’ folle. Ma Concu e gli altri pensavano probabilmente che lo Stato non arrivasse a sacrificare vite innocenti in cambio di tre detenuti ritenuti “non pericolosi”, anche se due erano assassini e il terzo rapinatore.
Invece c’era di mezzo quel referendum che prevedeva un grande impegno di uomini nel servizio di ordine pubblico, ma soprattutto che lo Stato dimostrasse di saper controllare ogni situazione. Così arrivò l’ordine di chiudere la vicenda in fretta. Inutili gli sforzi di chi, come il procuratore Marcello Parola, suggeriva di “temporeggiare” e prenderli per sfinimento. A tutto questo si aggiunse la notizia nel pomeriggio dell’uccisione del dottor Gandolfi, la prima vittima.
Un cordone di siicurezza si strinse attorno al carcere finché il venerdì pomeriggio fu dato l’ordine di irrompere e fu la strage, con sette morti e molti feriti.
Già il 17 gennaio del 1974 ci fu una prima protesta nel carcere di Alessandria a cui parteciparono tutti i detenuti che si protrasse per molti giorni: tra le richieste quella di avere le celle aperte per poter circolare liberamente all’interno del carcere.
Appena qualche giorno dopo, anche a Padova scoppiò una rivolta con una cinquantina di detenuti coinvolti che distrussero un’intera sezione. Raffiche di mitra in aria degli Agenti di Custodia, poi le trattative e l’irruzione con i lacrimogeni. Il 17 maggio invece due detenuti evasero dal carcere di Lanciano sparando ad un brigadiere facendosi scudo con un maresciallo richiamato dagli spari.
Fonti: “La Stampa”, “Polizia Penitenziaria” e “www.sappe.it”