Il sommergibile “Macallè”

Quell’ unica missione di guerra del “Macallè” e la morte di Carlo Acefalo

Si inabissò nel Mar Rosso nel 1940, Acefalo morì e la sua salma rimase su un’isola per settantasette anni

Crpiemonte
5 min readDec 28, 2017

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di Mario Bocchio

Il sommergibile Macallè si inabissò nel Mar Rosso nel 1940. Carlo Acefalo morì e la sua salma rimase su un’isola per 77 anni finché pochi mesi fa, grazie anche all’impegno del regista italo-argentino Riccardo Preve, fu recuperata e trasferita in Sudan in attesa del rimpatrio. Acefalo era di Monastero Vasco, in provincia di Cuneo, dovrebbe “riposare” accanto alla tomba della madre a Castiglione Falletto nelle Langhe.

Carlo Acefalo

Sulla stampa italiana la notizia del ritrovamento dei resti di Acefalo - deceduto sull’isolotto di Bar Moussa Kebir, a seguito dell’affondamento Macallè - passò quasi in sordina

Il battello non è ancora stato ritrovato, ma alla profondità di sessanta metri, in scarpata degradante a oltre cento, sono stati trovati rottami metallici che molto probabilmente appartengono al sommergibile italiano.

La partenza del “Macallè”

Nel 1938 il Macallè era dislocato a La Spezia e due anno dopo fu trasferito nella base eritrea di Massaua. Il 10 giugno 1940, di pomeriggio, lasciò Massaua al comando del tenente di vascello Dante Morone per iniziare la sua prima missione di guerra, da svolgersi al largo di Port Sudan.

Alcuni uomini dell’equipaggio ritratti a Massaua

Andò però incontro a vari problemi. Il cielo era coperto, e questo rendeva impossibile calcolare la posizione dell’unità in base agli astri; inoltre risultò difficile anche l’identificazione di punti di riferimento sulla costa (il tutto era problematico perché la zona che il Macallè avrebbe dovuto attraversare era disseminata di isolotti, rocce affioranti, secche e scogli).

Il “Macallè” in navigazione

Problema ancor più grave, il 12 si verificarono delle perdite di cloruro di metile - proveniente dall’impianto di condizionamento dell’aria - che però non furono subito riconosciute: si pensò invece che si trattasse di cibo andato a male, e come risultato, entro il 14 giugno, erano intossicati tutti gli ufficiali e quasi tutto l’equipaggio, e si verificarono alcuni casi di impazzimento e delirio.

L’itinerario

Il 14 giugno, all’alba, fu avvistato un faro che si ritenne essere quello delle secche di Sanganeb, ma si trattava in realtà di quello di Hindi Gider, distante in realtà una trentina di miglia. Questo errore causò la perdita del Macallè perché l’ufficiale di rotta ritenne che il sommergibile fosse giunto in acque più profonde, mentre in realtà l’unità era ancora nella zona pericolosa: finito fuori rotta, il Macallè s’incagliò sugli scogli dell’isola Bar Mousa Kebir nelle prime ore del 15 giugno.

Un esempio della intricata rete di isole e secche della costa occidentale del Mar Rosso

Il sommergibile si ritrovò sbandato di quasi novanta gradi su un lato, con la prua completamente fuor d’acqua e la poppa sommersa.

Barr Musa Kebir è un isolotto di sabbia visibile sulle carte, ma difficilmente avvistabile dal mare

Gli intossicati e gli uomini non indispensabili furono sbarcati sul vicino isolotto unitamente alle provviste e ad altro, mentre il comandante Morone ed alcuni altri fra i più sani cercarono di disincagliare il sommergibile. Non risultò possibile, e a quel punto furono distrutti i documenti segreti ed avviate le manovre di autoaffondamento per evitare la cattura dell’unità (che era vicina a territori controllati dalle truppe inglesi): il Macallè, appesantito dall’acqua imbarcata, si disincastrò e s’inabissò scivolando su un fondale di 400 metri di profondità (secondo altre fonti, invece, il sommergibile non sarebbe stato autoaffondato intenzionalmente, bensì sarebbe colato a picco accidentalmente nel corso delle manovre per disincagliarlo).

Paolo Costagliola nel Giugno 1940 a Massaua

Morone si dimenticò però, con ogni probabilità per via dell’intontimento prodotto dall’intossicazione, di inviare alla base un segnale di soccorso (per altre fonti l’ordine sarebbe invece stato dato prima dell’affondamento, ma il locale radio sarebbe stato trovato allagato): l’equipaggio del sommergibile si venne così a trovare isolato su di un’isola deserta, con scarse scorte di viveri e senza che la base avesse idea non solo di dove si trovasse, ma nemmeno che il Macallè fosse affondato.

In piena tragedia

Si provvide quindi a prepararsi per la permanenza: furono approntati dei ripari per evitare di stare sotto il sole cocente e furono razionate le provviste. Dato che sopravvivere a lungo sull’isolotto sarebbe stato impossibile, e la prospettiva migliore era costituita dalla cattura da parte degli inglesi, si decise che alcuni volontari avrebbero cercato di raggiungere una posizione italiana sulle coste dell’Eritrea per mettere in moto i soccorsi.

Il comandante Alfredo Moroni, il gurdiamarina Elio Sandroni negli anni Cinquanta

Lo stesso 15 giugno, in serata, tre uomini - il guardiamarina Elio Sandroni, il sergente nocchiere Torchia ed il marinaio Costagliola Paolo - salirono a bordo di una piccola imbarcazione a vela munita di due remi, con tre bottiglie d’acqua e scarse quantità di pancetta e gallette. Il 17 approdarono sulle coste del Sudan, ma, dato che era territorio britannico, dovettero ripartire; il 20 giugno giunsero infine presso il faro italiano di Taclai, in Eritrea, riuscendo così ad allertare il comando di Massaua.

Bar Moussa Kebir, il luogo che ospitò i resti di Acefalo

Un velivolo inviato da Massaua paracadutò sull’isolotto scorte di viveri e contemporaneamente salpò da quella base il sommergibile Guglielmotti; il 22 giugno recuperò l’equipaggio del Macallè.

Alla ricerca del relitto del “Macallè”

Uno dei membri dell’equipaggio, il sottocapo Acefalo, già intossicato, morì di stenti sull’isolotto il 17 giugno: fu l’unica vittima fra 45 uomini dell’equipaggio. Il guardiamarina Sandroni ricevette la Medaglia d’argento al valor militare.

In quella sua unica missione di guerra il Macallè aveva percorso 450 miglia, tutte in superficie.

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