Precettoria Sant’antonio di Ranverso (foto Facebook)

Sant’Antonio di Ranverso, l’abbazia che fu ospedale

Ancora oggi si ricorda lo spettacolare trasporto del dipinto a Torino con un carro trainato da due coppie di buoi

Crpiemonte
2 min readNov 22, 2021

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di Cristiano Bussola

L’Abbazia di Sant’Antonio di Ranverso sulla via Francigena, fondata verso la fine del XII secolo come Precettoria dei monaci ospedalieri antoniani del Delfinato francese divenne luogo di ristoro e accoglienza di pellegrini e ammalati. In particolare i religiosi curavano gli afflitti dall’herpes zoster, il volgarmente noto “fuoco di sant’Antonio”.

Il santo eremita era considerato protettore degli ammalati di questa infezione e pare fosse l’inventore della cura a base di grasso di maiale che veniva spalmato sulla pelle. L’abbazia divenne quindi un ospedaletto dove si rifugiava chi, come un appestato, era rifiutato dalla società per timore del contagio. Ancora oggi qualcuno, seguendo la tradizione, vi si reca a chiedere la grazia ma è soprattutto la bellezza della chiesa, commissionata da Giovanni di Montechenu, precedentemente Abate di Vivieres nella seconda metà del quattrocento, ad attirare i visitatori.

La caratteristica più significativa della costruzione è costituita dalle tre appariscenti ghimberghe gotiche in cotto con pinnacoli e formelle decorate a ghiande e foglie di quercia, chiara allusione al cibo dei maiali. All’interno vi sono molti affreschi frammentari. Alcuni sono ben conservati come il magnifico polittico di Defendente Ferrari con la “Natività” e le “Storie di Sant’Antonio” donate come ex voto dalla città di Moncalieri.

Ancora oggi si ricorda lo spettacolare trasporto del dipinto a Torino con un carro trainato da due coppie di buoi. Per molti anni gli studiosi si domandarono chi fosse il geniale artista dei “Profeti” e della “Vergine in trono” del presbiterio. La risposta si ebbe casualmente nel 1914 durante i restauri, quando fu trovata la scritta “Picta fuit… Jacobi Jaqueri de Taurini”. Resta però ancora poco chiaro vi fossero o meno interventi di collaboratori.

Sicuramente è del solo Jaquerio la “Salita al Calvario” della sacrestia, di grande forza espressiva nella rappresentazione psicologica dei personaggi che rendono il dipinto un capolavoro, uno dei più prestigiosi esempi dell’arte piemontese del XV secolo.

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